Il 6 febbraio, ieri, El Chaba ne avrebbe compiuti 50. Avrebbe, se solo avesse potuto…
Sei dicembre 2003, una mattina come tante alla clinica San Miguel di Madrid. Anzi, no, perché per José Maria Jimenez i giorni non sono tutti uguali. Non lo sono più, da quando quella maledetta piovra non lo ha avvolto con le sue spire. “El Chaba”, il selvaggio, è ricoverato da tempo per combattere contro la depressione, che non lo lascia un attimo e che due anni prima lo ha portato al ritiro anticipato, in una fredda mattina di febbraio.
Si era vestito di tutto punto, guanti, passamontagna, la bici bella lustra in garage. Doveva solo uscire: «Magari mi siedo un attimo sul divano» e quell’attimo fu lungo ore, affrontando una paura mai incontrata prima. Ancora più terribile, perché non ne riusciva a trovare la ragione. Alla fine chiamò il suo ds, Eusebio Unsué: «Perdonami, la mia carriera finisce qui».
Al Giro 1999
Da allora è stato un “entra e esci” dalla clinica. I giorni non sono mai uguali, ci sono quelli “down” nel quale non sembra esserci un futuro e quelli “up” dove José sogna di tornare a inforcare la bici e sfidare quello lì, il romagnolo. Non c’è mai stato un confronto alla pari fra i due: poteva essere nel 1999 al Giro, ma allora lo spagnolo non era al massimo della forma. Provò a contenere la furia di Pantani nella scalata al Gran Sasso, ma l’unico risultato fu di essere il “migliore degli umani”, arrivando a 23” dal Pirata, primo in classifica e Jimenez secondo. Lo spagnolo andò presto in crisi tanto da finire 33° e Pantani, bè, si sa come finì quel Giro…
La rivincita poteva esserci qualche mese dopo alla Vuelta, lì sì che Jimenez era in forma. Sull’Angliru fece impazzire tutti, ma Marco non c’era.
El Chaba y Marco
El Chaba ci pensa spesso a Pantani. Non proprio un amico, però qualcosa c’è che li accomuna, forse il modo guascone di affrontare le salite che gli altri tanto temono, perché non è certo la fatica che fa paura. Forse la vera sfida fra i due è stata quella del 16 luglio 2000, al Tour. Jimenez è scatenato, se ne va sulla Madeleine anche se manca tanto all’arrivo con un pugno di compagni d’avventura che si perdono via via sulla strada. Per molti chilometri gli altri non guadagnano, finché gli dicono che dietro è infuriata una grande battaglia fra il Pirata e Lance Armstrong che lo aveva irriso per la sua vittoria al Mont Ventoux. Alla fine Pantani se l’è levato di dosso, con rabbia, continuando a spingere.
“Ma io che ti ho fatto?”, pensa Jimenez. Pantani è un tornado che guadagna a ogni pedalata e spazza via tutto e lo spagnolo è sottovento. Lo riprende a 3 chilometri dall’arrivo, prova a resistere ma sono le mosse della disperazione. Arriverà con 40” di distacco. Non è finita, non può finire così…
L’ultima fuga
E’ una bella mattinata, alla clinica San Miguel, molti parenti di pazienti lo riconoscono e si avvicinano timidamente per un autografo, per qualche foto. E’ una bella mattinata, José dice di sì a tutti, poi però si blocca. «Scusate, mi è venuto improvvisamente un gran mal di testa, fatemi sedere». Si siede, ma non passa. Chiamano i medici di turno, qualcosa non va. Lo portano subito via. E’ un infarto. Questa volta è una fuga inaspettata e non lo possono riprendere. José se ne va, a soli 32 anni, ma Pantani lo seguirà dappresso, due mesi dopo e quella sfida che tutti volevano vedere è rimasta nella fantasia dei tifosi, senza un vincitore assoluto. Il 6 febbraio José Maria avrebbe compiuto 50 anni: se cercate il suo nome negli albi d’oro dei grandi Giri, non c’è. Eppure è stato un grande proprio perché sapeva colpire l’immaginario collettivo. Non ci riescono tutti.