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Gambe e tattica, Buitrago succede a Nibali

26.05.2023
5 min
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TRE CIME DI LAVAREDO – La vittoria di Santiago Buitrago sotto le Tre Cime probabilmente è figlia della delusione di ieri. In Valle di Zoldo il colombiano della Bahrain-Victorious avrebbe voluto fare meglio. Molto meglio. Quella era una delle frazioni che aveva cerchiato in rosso.

Ma il Giro d’Italia è così. Un giorno stai bene e uno paghi. Succede agli uomini di classifica, figuriamoci ad un ragazzo di neanche 24 anni.

Questa mattina quando la fuga è andata, lui era sempre guardingo. Non si era mai mosso prima. Poi sono state la gambe e le prime pendenze dolomitiche a mettere in chiaro le cose. A quel punto la Ineos-Grenadiers ha lasciato fare e “Santi” si è potuto mettere comodo.

Spesso il colombiano è stato “messo in mezzo”: gli oneri di chi è il più forte. Usare una buona tattica è stato vitale
Spesso il colombiano è stato “messo in mezzo”: gli oneri di chi è il più forte. Usare una buona tattica è stato vitale

Una fuga difficile

Comodo per modo di dire. La sua esuberanza poteva essere il rivale numero uno. E anche i compagni di fuga, avversari insidiosi.

Per tutta la tappa il suo direttore Franco Pellizotti gli ha dovuto dire di non perdere mai di vista la testa della corsa, che poteva essere pericoloso, ma anche di non tirare sempre lui. Cosa non scontata, quasi un ruolo che ti casca addosso quando chi è in fuga con te sa che sei il più forte.

Gestire la fuga di oggi non è stato semplice dunque per Buitrago e anche per la sua squadra. Proprio perché era il più forte, molti facevano affidamento su di lui per l’impulso della fuga. E questa cosa in corsa i suoi compagni di attacco gliel’hanno fatta pesare.

«Tanti corridori – ha detto Buitrago – mi hanno detto che dovevo tirare io perché ero quello più vicino in classifica. Ma io volevo giocarmi diversamente le mie carte. E poi pensavo alla tappa. Volevano che chiudessi sempre io e per questo non volevo una gara aperta. Avrei dovuto fare tanti scatti».

«Ma in questo Pellizotti mi ha aiutato molto. Soprattutto nel finale, quando Gee ha attaccato prima della spianata, mi ha detto di stare tranquillo. Io però lo vedevo. Era lì a trenta metri. Franco mi ha detto di non scattare. Solo ai 1.500 metri mi ha detto di dare tutto. E così ho fatto». 

Nibali ha premiato Buitrago. Lo Squalo aveva vinto quassù 10 anni fa, quando Santi aveva appena 13 anni e sognava di diventare un pro’
Nibali ha premiato Buitrago. Lo Squalo aveva vinto quassù 10 anni fa, quando Santi aveva appena 13 anni e sognava di diventare un pro’

Nel ricordo di Nibali

«Vincere sulle Tre Cime, una delle salite più importanti di questo Giro, per di più da solo, è stata una vera emozione. Mi ricordavo quando aveva vinto Nibali quassù, con la neve. Io ero un bambino e oggi mi ha premiato lui. Alle sue spalle c’erano tanti colombiani: Betancur, Uran, Duarte».

In sala stampa, dalla mascherina che Rcs Sport ha imposto dopo i tanti casi di Covid, di Buitrago si scorgono solo gli occhi. E come spesso accade nei colombiani lo sguardo è sempre velato da un filo di nostalgia.

«Il sacrifico più grande per me è stare lontano dalla mia famiglia – spiega Santi – perché è vero che ad Andorra, dove vivo quando sono in Europa, ho molti amici, ma non è la stessa cosa che stare a casa. Sono qui da gennaio. Non è facile.

«Oggi però sono contento, perché il mio Giro sin qui era stato un po’ grigio». 

Pellizzotti sfinito

Franco Pellizzotti completa il giro attorno al Rifugio Auronzo e va a parcheggiare la sua ammiraglia, un anello obbligato che fa incolonnare le auto già per il ritorno a valle a fine tappa. E’ lui che ha seguito ogni metro di Buitrago. 

«Sono sfinito – racconta Pellizotti – in pratica mi sono diviso fra Buitrago in testa e Milan in coda al gruppo. Oggi per Jonathan era molto dura». Ma certo a dominare è il sorriso. 

«La vittoria di Santi? Alla grande. Si è preso la tappa più bella di questo Giro. Quando lo affiancavo gli dicevo di gestirsi, perché io conosco molto bene questa scalata e so che sono tre chilometri e mezzo terribili. Interminabili.

«Gli ho detto di prendere Gee come punto di riferimento, ma non di chiudere subito su di lui. Ed è stato bravissimo ad eseguire il tutto».

Buitrago (classe 1999) conquista la tappa delle Tre Cime. La dedica è per la famiglia. «E per tutti coloro che sanno dei miei sacrifici»
Buitrago (classe 1999) conquista la tappa delle Tre Cime. La dedica è per la famiglia. «E per tutti coloro che sanno dei miei sacrifici»

Classifica in futuro?

Ieri Buitrago è rimasto fuori dalla fuga ed era deluso. Oggi si è voluto rifare. «Ieri era più teso – confida Pellizzotti – oggi più tranquillo. Sapeva di avere una buona condizione. Dopo la vittoria dell’anno scorso a Lavarone ci aspettavamo, e soprattutto lui si aspettava, di ripetersi e oggi ha vinto una tappa splendida. Perché qua vincono in pochi».

«Mentre per la classifica abbiamo voluto testarci. Santiago è un ragazzo giovane, non dobbiamo guardare gli altri giovani che vanno già forte, lui deve crescere… e sta crescendo. Noi non gli mettiamo pressione. Lo aspettiamo… basta che ci creda lui».

«La classifica – replica Buitrago – arriverà quando imparerò a gestire le tre settimane, quando saprò andare forte a crono e in pianura… Ma un giorno arriverà qual momento».

Altro passo verso il quarto posto: le Tre Cime di Caruso

26.05.2023
5 min
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TRE CIME DI LAVAREDO – Prima la pioggia, poi il sole e il caldo, finché di colpo sul traguardo si è abbassata una nuova aria gelida e la temperatura è scesa a dieci gradi. Buitrago ha vinto la tappa, davanti a Gee e Cort Nielsen. Roglic ha trovato la grinta per saltare Thomas sulla riga. Dopo di loro Almeida e, insieme a lui, sul traguardo è passato anche Damiano Caruso, stanco ma non sfinito. Ha la faccia nerissima per il freddo e l’acqua presi in abbondanza sul Passo Tre Croci e così la prima cosa che fa è infilarsi nel giubbino felpato con l’asciugamano attorno al collo.

Alla partenza da Longarone, Caruso era di buon uomore: consapevole di stare bene
Alla partenza da Longarone, Caruso era di buon uomore: consapevole di stare bene

Obiettivo quarto posto

Dunbar si è staccato proprio nel finale, il siciliano ha retto bene e si è ripreso il quarto posto in classifica generale. Manca la crono di domani, poi potrà dire di essere il primo alle spalle del podio dei più forti.

«L’avevo detto – racconta – non mi arrendo. Sapevo che il discorso podio fosse pressoché chiuso, però il quarto posto non lo regalo (Damiano ha ora 42 secondi di vantaggio su Dunbar, ndr) perché, comunque sia, per me e anche per gli italiani è un buon risultato. Insomma, questa è stata una giornata più che soddisfacente per il mio team. Domani andiamo a fare l’ultima cronoscalata e sarà sicuramente un’altra bellissima gara, con un finale incerto tra i primi tre. Io spero di definire il mio piazzamento…».

De Plus e Arensman hanno fatto un ritmo che Caruso ha definito «bastardo» e ha impedito gli scatti
De Plus e Arensman hanno fatto un ritmo che Caruso ha definito «bastardo» e ha impedito gli scatti

Il ritmo bastardo

Mentre davanti gli uomini della Ineos Grenadiers scandivano il ritmo più adatto per Thomas, Caruso ha preso il suo passo e l’ha portato fino al leggendario traguardo del Giro.

«Onestamente il Giau non è stato affrontato con un grandissimo ritmo – ammette – ma quest’ultima salita sicuramente è stata sufficiente per portarci tutti al limite. Oltre alle pendenze, qui la quota fa il suo gioco e quindi alla fine è venuto uno spettacolo totale. Davanti per gli uomini in fuga e dietro per quelli di classifica.

«Uno vorrebbe provare ad attaccare, ma quando c’hai un Arensman e un De Plus che tirano a un ritmo così bastardo, dove vai? E se loro già tirano a 6,5 watt/chilo, cosa ti vuoi inventare? E’ impossibile fare la differenza, è già tanto se non ti staccano. Forse per questo viene penalizzato lo spettacolo, ma fa parte del gioco. Conosciamo questi squadroni…».

Al livello del 2021

E’ un Caruso più che buono, difficile dire se al livello di quello che nel 2021 arrivò secondo alle spalle di Bernal e riuscì a vincere una tappa. Di certo però il campo partenti di questo Giro parrebbe avere una superiore consistenza.

«Sull’ultima salita – ricorda – avevo buone sensazioni, poi hanno cominciato a forzare. Quando è partito Roglic, chiaramente non potevo seguirlo. Però mi sono detto: “Il mio passo è buono, continuo così e forse riesco a ritornare sotto”. Infatti dopo un po’ mi sono girato e ho visto che dietro si era fatto il vuoto. Quest’anno mi sembra che il parterre sia stato di primo’ordine. Davanti a me, ma anche alle spalle ci sono tutti ottimi corridori. Quindi vi dirò: se confermato, il quarto posto mi soddisferebbe molto».

Caruso ha tagliato il traguardo alle Tre Cime in 7ª posizione, assieme ad Almeida
Caruso ha tagliato il traguardo alle Tre Cime in 7ª posizione, assieme ad Almeida

Pronto per la… spiaggia

Infine, prima che riprenda la via di valle per raggiungere il pullman parcheggiato poco sopra il lago di Misurina, gli chiediamo qualcosa su come finirà il Giro d’Italia.

«Dipende come andrà domani – dice – perché qualcuno può ancora pagare lo sforzo di oggi. Però Thomas, mi sembra abbastanza in controllo. Oggi sono proprio contento per la nostra squadra e per tutto il Giro della Bahrain Victorious. Volevamo piazzare uno dei nostri in fuga e Buitrago è stato veramente bravo, perché non era facile. Alla fine questa era la tappa per lui. Da buon colombiano, a queste altitudini ci va a nozze, sono felicissimo per il ragazzo e per la squadra.

«Penso che per noi siano state tre settimane ampiamente positive. Anche le mie sensazioni sono andate in crescendo. Sono praticamente pronto per andarmene al mare. Non vedo l’ora di tornarmene a casa mia…».

Quel gran via vai di rulli nei giorni del Giro

19.05.2023
6 min
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CESENA – Rulli di qua e rulli di là. Davanti al bus, negli hotel, all’arrivo e prima della partenza di una crono. Alla fine lo strumento che dovrebbe rendere immobile la bici è quello più ballerino! Scherzi a parte, durante un Giro d’Italia o comunque nelle corse più importanti, i rulli vengono usati parecchio e in più situazioni.

E visto quel che ci ha detto Ronny Baron (nella foto di apertura), probabilmente li vedremo anche dietro al palco di Crans Montana questo pomeriggio.

Ed è proprio il meccanico della Bahrain-Victorious che ci racconta di questo via vai dei rulli. Abbiamo scoperto che c’è un approccio spesso soggettivo da parte degli atleti nei confronti di questo strumento. C’è chi ama farli e chi invece cerca di limitarne l’uso allo stretto necessario. Nel giorno di riposo, per esempio, Intermarché-Wanty Gobert e Soudal-Quick Step erano nello stesso hotel. Nel piazzale, quando tutti i corridori delle due squadre stavano partendo, Niccolò Bonifazio sgambettava sui rulli. E Davide Ballerini gli diceva: «Ma come è l’unico giorno di sole e stai lì sopra?!».

Protagonisti a crono 

I rulli diventano protagonisti nel giorno della crono. Sono fondamentali per il riscaldamento.
«Certamente in quel caso – spiega Baron – recitano un ruolo importante. In base alle posizioni in classifica, quindi degli orari di partenza dei nostri atleti, cerco di capire quanti ne devo preparare. Non ne tiro fuori otto, come i componenti del team, ma solo quelli che servono affinché i corridori non si accavallino. Nella crono di Cesena per esempio ne ho preparati solo tre. Va tutto in base alle tempistiche».

Quando si deve preparare un rullo, almeno per la crono, non ci si limita a mettere lo strumento a terra. Si tratta di preparare il tappetino, il ventilatore, un appoggio per asciugamano e borraccia, integratori… In qualche caso, come alla Bahrain, si usa un leggìo sul quale viene posta la tabella del riscaldamento.
«Se i ragazzi partono troppo ravvicinati tra loro – aggiunge Baron – devi tirarne fuori di più. Il riscaldamento gli porta via minimo 30′-40′ e quindi devi fare un po di calcoli».

Nel riscaldamento prima delle tappe, l’allestimento dei rulli è molto più scarno rispetto a quello di una crono (in foto, Luca Covili ieri a Bra)
Nel riscaldamento prima delle tappe, l’allestimento dei rulli è molto più scarno rispetto a quello di una crono (in foto, Luca Covili ieri a Bra)

Per il riscaldamento

Mentre un tempo prima del via di una tappa particolarmente insidiosa ci si scaldava su strada, oggi sempre più spesso si tende a fare i rulli: pratica messa in atto soprattutto da chi deve andare in fuga (come Covili ieri a Bra) o se c’è una partenza complicata, magari con degli strappi o una salita. E’ necessario essere caldi, almeno quel tanto, per non accumulare una grande dose di acido lattico che poi sarebbe difficile da smaltire. Le “botte” di acido al via e “a freddo” sono quelle che presentano il conto più salato.

«In questo caso – riprende Baron – la procedura è un po’ più snella rispetto alla crono. Basta mettere il rullo a terra e il corridore inizia a scaldarsi».

Ma chi decide se fare i rulli o meno? E’ una scelta a totale discrezione dell’atleta? Replica Baron: «E’ una scelta tra direttore sportivo e corridore. Solitamente ce li chiedono in caso di una partenza in salita o comunque condizioni difficili o semplicemente se fa freddo. In questo caso il riscaldamento è più breve rispetto alla crono. Dura 15′-20′ e i ragazzi pedalano abbastanza tranquillamente».

«Ma non sempre è il capitano a farli. Anzi… Di solito tocca a qualche corridore che deve fare un lavoro per il leader, come tenere chiusa la corsa o, al contrario, che deve prendere la fuga. Comunque non li preparo tutti a prescindere, ma in base a ciò che mi dicono i diesse».

E per il defaticamento

Se i gregari usano i rulli spesso alla partenza, il capitano invece entra in scena nel dopogara. Soprattutto oggi si fanno (quasi) sempre. Le tappe finiscono a pomeriggio inoltrato, ci sono poi i trasferimenti e si arriva in hotel piuttosto tardi. Passa un bel po’ prima del massaggio. Si è visto che una blanda attività di scarico, il defaticamento, in tempi ristretti agevola il recupero.

«In questo caso – riprende Baron – dobbiamo portare i rulli in zona premiazione se il capitano è chiamato per esempio a indossare una maglia o comunque a salire sul palco, oppure glieli prepariamo al bus.

«Solitamente, sia per il riscaldamento che per il defaticamento dopo le tappe in linea, mi viene detto un’oretta prima quanti ne devo preparare. Li fanno soprattutto se hanno terminato la tappa facendo un grande sforzo. Questo defaticamento consiste nel pedalare quasi “a vuoto” per creare un rilassamento muscolare alle gambe, togliere un po’ di tensione senza dover spegnere immediatamente il motore dopo il massimo sforzo».

E lo sforzo massimo nel finale è una discriminante non da poco. Dopo la frazione di San Salvo, per esempio, il cui arrivo era in volata e dopo tanta pianura, nessuno, neanche gli uomini di classica, è salito sui rulli.

«A volte, soprattutto in fase di arrivo – conclude Baron – è veramente complicato sistemarli. Magari devo portare i rulli su un arrivo in cima, sistemarli in pendenza.

«Ma anche al via di una crono non sempre è facile. A Fossacesia, per esempio, tra i bus e la partenza c’erano un paio di chilometri. In quel caso sono serviti un doppio rullo e una doppia bici. Una al bus e una a ridosso del via. I ragazzi pedalavano fino a pochi istanti prima di salire sulla rampa. Insomma, una bella logistica».

Milan e la Reacto: assetto e dotazioni da sprinter

18.05.2023
6 min
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VIGNOLA – Il primo riposo di questo Giro d’Italia è stato in maniera anomala un giorno soleggiato con temperature decisamente primaverili. Non siamo distanti da Maranello, dove i cavalli nascosti da carbonio e uno strato di vernice rossa ogni giorno ringhiano e urlano sulle strade modenesi. Arrivati all’albergo di Vignola dove alloggia la Bahrain Victorious, all’ombra dei bus, abbiamo incontrato la giovane maglia ciclamino Jonathan Milan.

Nonostante i suoi 22 anni e un’indole degna dei motori ruggenti di queste parti, il friulano a questo Giro ci ha fatto già saltare sulla sedia con le sue volate rigogliose di watt e strattoni alla bici. Ed è proprio della sua Merida Reacto che ci siamo fatti raccontare, tra aneddoti, posizioni e accorgimenti. 

La più grande

A vedere le sue volate, la potenza è uno degli elementi che più si notano in ogni pedalata. Per questo approfondimento abbiamo chiesto a Jonathan ogni dettaglio. A partire dalla taglia: quale utilizza?

«La più grande – dice Milan – una L, non ho mai provato telai più piccoli. Anche se qualche velocista preferisce usare una misura più piccola per essere più aerodinamico, per avere il telaio più reattivo e disperdere meno energia. Però io questa necessità con questa bici non l’ho mai avuta. Sono tre anni che ho le stesse misure, magari c’è stata qualche piccola variazione su manubrio, posizione, levette alzate o abbassate, sella avanti e indietro, però il telaio è sempre rimasto lo stesso. 

«Ho sempre avuto un manubrio da 40 centimetri – spiega – alla fine per fare le volate, penso che sia l’ideale. Se è troppo stretto, i gomiti si allargano e si vanno a sbilanciare le cose. Poi vabbè l’aerodinamica mia personale è un’altra cosa che bisogna rivedere sicuramente (ride, ndr). Non ne userò uno più stretto. Avevo pensato addirittura di allargarlo per aprire la gabbia toracica quando sono giù, però alla fine ho deciso di restare così, perché mi trovo bene. A inizio anno volevo fare un paio di modifiche, almeno provarci, però mi sono detto: perché farlo? Se mi trovo bene, meglio mantenere questo assetto».

Posizione e aerodinamica

Un altro aspetto che in queste volate fatte con la maglia ciclamino indosso non è passato inosservato è la sua posizione “anomala“. Quando tutti i velocisti tendono a portare il naso più vicino alla ruota anteriore, per Jonny l’unica priorità è sembrata quella di erogare più potenza possibile. 

«Il primo anno – ricorda Milan – ero di mezzo centimetro più alto e poi piano piano sono andato un po’ più in giù per cercare di essere più aerodinamico. Le modifiche non sono state tante. L’anno scorso sono stato un sacco fermo. Ho finito l’annata che mi sentivo veramente bene e ho detto: “Bene adesso possiamo fare qualche prova, è il momento giusto“.  Perché se si aspettava magari l’inizio di quest’anno con un qualche chiletto in più e magari un po’ più di rigidità, non mi sarei sentito tanto bene e avrei messo mano alla bicicletta non essendo al top. Quindi l’anno scorso ho alzato di pochissimo la sella, è stata tirata un po’ più avanti per far sì che la pedalata traesse più spinta dal pedale. 

«Avevo fatto – dice – delle piccole modifiche, millimetriche, sui pedali e sulle tacchette, con cui mi sono veramente trovato bene. Ho cambiato anche scarpe. Sono uno molto precisino. Sono bello delicato, queste cose qua riesco a sentirle subito: sella avanti, indietro, alta, bassa, manubrio, leve…».

Una linea aero per questa Merida Reacto
Una linea aero per questa Merida Reacto

Comfort, rigidità e peso

La Merida Reacto ha un telaio aero che però riesce ad accomunare varie caratteristiche. Così siamo partiti da una domanda base per farci raccontare questo telaio. In che ordine metteresti, comfort, rigidità e peso?

«Essendo un sprinter – spiega – ed essendo fisicamente grande, la rigidità deve essere al top. Poi ci metto il comfort perché noi stiamo molte ore in sella. Infine il peso perché magari è una caratteristica su cui si può chiudere un occhio. Avendo una bici grande, sono sempre stato abituato a non farci troppo caso. In questa Reacto trovo assolutamente queste tre caratteristiche. Però dico che, nonostante le dimensioni e la sua grandezza, il peso è anche molto basso. 

«Sono io che che devo costruirmi meglio fisicamente, perché più dritta è la bici, meno disperdi e più scarichi potenza sui pedali. Di solito punto sempre a cercare di tenerla più ferma possibile, perché tagli meglio l’aria».

Ruote e rapporti

La qualità costruttiva di Merida è fuori discussione, perciò con Milan abbiamo approfondito anche gli allestimenti, a partire dalle ruote Vision 60 SL, i copertoncini Continental Gran Prix 5000s Tr e i rapporti del suo Shimano Dura Ace Di2 disc.

«Le ruote da 45 millimetri che vedete – dice Jonathan – le abbiamo montate nelle ultime tappe per alleggerirla. Di solito uso le 60, mentre le pressioni andiamo a concordarle di volta in volta. A me piace tenerle un po’ più altine. Non mi piace più di tanto guidare col bagnato, ma siamo fortunati perché con Continental siamo molto ben attrezzati. Abbiamo i 28, però al Giro di Croazia lo scorso anno ho provato anche i 30 e i 32 e devo dire che non si hanno problemi a guidare in condizioni anche stressanti. Nella prima tappa che ho vinto c’era una discesa molto tecnica e insidiosa, bagnata e con le foglie per terra. Ero dietro a Matej (Mohoric, ndr) ed era la prima volta che provavo a seguirlo. Mi sono detto: “O mi fido e vado con lui, oppure tiro i freni e vado giù alla Jonny”. Alla fine ci ho provato, mi sono fidato e sono rimasto stupito per la tenuta. 

«Per quanto riguarda i rapporti – conclude – nelle prime tappe in volata ho sempre usato il 55. Nella prima penso di essere riuscito a tirare il 12 e montavo una cassetta con il 30. Invece, per le ultime tappe con più salita ho montato il 34, con il 54 davanti. Preferisco andare su un po’ più agilino che impallarmi la gamba, ma di solito lascio che a comandare siano le sensazioni. Se per caso non mi sento molto bene fisicamente, faccio le volate con un rapporto più agile. Quando a Napoli ha vinto Pedersen credo di aver sprintato con il 54×13, sicuramente troppo agile».

Per Milan una volata da pistard? Risponde Martinello

08.05.2023
5 min
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Silvio Martinello di volate sull’asfalto e sul parquet ne ha fatte un’infinità e pochissimi come lui possono dare un giudizio sull’imperioso sprint di Jonathan Milan sul rettilineo di San Salvo.

Il gigante della Bahrain-Victorious ha scavato un solco proprio negli ultimi metri e ha disputato uno sprint con una cadenza pazzesca, ben oltre le 120 rpm. Una volata così ci è parsa molto da pistard. Pensieri che abbiamo condiviso con Martinello appunto.

Sappiamo che il friulano aveva un 55-40 anteriore e un 11-30 al posteriore. Jonathan non ha fatto la volata con l’11 al posteriore, almeno fino al momento in cui gli si è aperto il varco e ha iniziato a spingere a tutta. Ma ci dicono che a fine gara avesse l’11 in canna, pertanto è lecito pensare che lo abbia inserito negli 50 metri (probabilmente, quando abbassa la testa per l’ultima volta).

La cosa bella è che pur con un dente in più mantiene quella cadenza. Ma al netto di queste congetture ponderate, partiamo da quel che c’è di concreto.

Il solco che ha scavato Milan negli ultimi metri è pari ad una bici
Il solco che ha scavato Milan negli ultimi metri è pari ad una bici
Silvio, rivedendo la volata dall’alto Milan fa una differenza pazzesca negli ultimi 30-40 metri. In quel frangente dà una bicicletta di vantaggio a tutti…

Vero, quella differenza che Jonathan è riuscito a fare negli ultimi metri è perché ha mantenuto la frequenza di pedalata molto elevata. La stessa che era riuscito ad esprimere fin dal momento in cui ha deciso di partire. Gli altri invece non ci sono riusciti.

Una volata di personalità…

Si è scoperto un velocista importante. Per carità, Milan le sue volate le aveva già vinte, ma in contesti completamente diversi. Quello del Giro d’Italia è un palcoscenico di maggiore rilevanza, con sprinter di grande spessore. Credo che questo successo lo proietti in una nuova dimensione. Ora chiaramente dovrà riconfermarsi perché il ciclismo è così.

Spiegaci meglio…

Il giorno dopo si riparte e si rimette in gioco tutto. Siamo di fronte ad un atleta che se conferma queste belle cose potrà offrire qualcosa di molto, molto interessante. E cosa non secondaria, ieri per me ha acquisito grande consapevolezza.

Torniamo al discorso della cadenza, l’elemento che più ci ha colpito del suo sprint… Sembrava quasi che spingesse un dente in meno degli avversari…

Non ho informazioni sul rapporto che ha utilizzato. Ma teniamo in considerazione che quello di ieri era un rettilineo senza difficoltà quindi da potenza, da forza pura. Senza contare che lo sprint è stato disputato leggermente controvento. La Alpecin-Deceuninck ha fatto un ottimo lavoro e Jonathan è stato abilissimo a sfruttarlo in qualche modo.

Cioè?

Per me, lui la la volata l’ha vinta in due frangenti. Il primo: all’ultima curva, grazie anche al lavoro di Pasqualon, quando è riuscito a portarsi sulla ruota di Kaden Groves, il quale aveva due compagni di squadra che lo hanno lanciato. Il secondo: è stato bravo/fortunato, nel momento in cui è partito lo sprint. Si è dato qualche spallata con Bonifazio che ha perso il duello fisico. Questo poteva indurlo ad andare sulla destra (alle transenne, ndr) e restare chiuso.

Milan invece si è buttato al centro…

Esatto, ma soprattutto in quel modo si è aperta la strada davanti a lui. In quell’istante ha scaricato tutta la sua potenza e ha fatto la differenza (ed è vero, dall’inquadratura aerea si vede un netto cambio di ritmo, ndr). Ieri era indubbiamente il più forte. Ripeto: mi auguro che questo successo gli dia quella consapevolezza nei propri mezzi che serve molto… soprattutto al velocista. E lo stesso alla sua squadra. Merita fiducia anche per i prossimi traguardi.

Martinello (a sinistra) impegnato con Villa nella madison. Silvio si augura che Milan possa portare avanti questa disciplina della pista
Martinello (a sinistra) impegnato con Villa nella madison. Silvio si augura che Milan possa portare avanti questa disciplina della pista
Parliamo invece dello stile di Milan. Facendo un’analisi quasi estetica, non è ancora compostissimo. Per esempio al suo fianco c’era Groves che era schiacciato sul manubrio. Jonathan invece era più alto e muoveva moltissimo le spalle. Forse c’è ancora qualcosina da migliorare?

L’atteggiamento estetico è relativo. Che Milan si muova parecchio è vero, ma comunque ha un ottimo stile. Nello sprint viene abbastanza naturale scomporsi, soprattutto quando – come lui ieri – ti stai rendendo conto che stai vincendo e subentra anche un po’ il timore di essere rimontato. Pertanto vai a cercare tutte le energie che hai a disposizione, utilizzando anche la parte superiore del corpo. Quando prima parlavo di consapevolezza nei suoi mezzi, mi riferivo anche a questo aspetto: le volate gli diventeranno più naturali e resterà più composto. Ma alla fine quello che conta nel ciclismo è passare per primo sulla linea d’arrivo!

Milan nei mesi scorsi in pista in via non ufficiale ha fatto anche delle madison, che richiedono un altro colpo di pedale rispetto ai più “statici” inseguimenti siano essi a squadre o individuali: secondo te gli hanno dato questa brillantezza ulteriore?

Sicuramente sì e mi auguro che continui su questa strada. Le madison lo aiuteranno a migliorare aspetti che negli sprint di gruppo sono determinanti: come la velocità, il momento in cui partire, il colpo di pedale… 

Ti ricorda qualche velocista del passato? Anche per il suo stile?

Mi ricorda un po’ Marcel Kittel. C’è anche una certa somiglianza nella struttura fisica. Ma è anche vero che ha vinto con una tale differenza che col tempo potrei paragonarlo anche a Petacchi e poi ancora a Cipollini. Loro due vincevano con questi margini. Nel ciclismo è bello e curioso fare accostamenti, però sono accostamenti che possono anche diventare ingombranti, quindi aspettiamo un po’.

L’urlo di Milan fa tremare San Salvo

07.05.2023
5 min
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SAN SALVO – Pasqualon e la sua barba ridono e sprizzano felicità. Il suo compagno di stanza Jonathan Milan ha appena schiantato il gruppo dei velocisti e nella vittoria c’è stato il potente zampino del corridore veneto approdato quest’anno alla Bahrain Victorious.

«Lo sapevo che oggi avrebbe vinto – grida Pasqualon per farsi sentire nella baraonda del dopo arrivo – perché ha la gamba, lo avevamo visto nella cronometro. Ero certo che se l’avessi lasciato al posto giusto, avrebbe fatto una grande volata. Ho fatto il doppio lavoro, ma così abbiamo preso la rotonda davanti. Non doveva partire prima dei 300 metri. Così è andata ed è stato fantastico.

«Il finale era difficile e c’era quella strettoia. Abbiamo fatto 20 chilometri davanti per non prendere rischi. Gli dicevo di guardare avanti. Eravamo in tre: Johnny, Caruso e io. La cosa importante era metterli entrambi nella posizione giusta, perché Damiano è in classifica e la caduta c’è stata fuori dai 3 chilometri. Quando ho visto che Damiano era al sicuro, mi sono dedicato a Milan…».

Pasqualon lo ha pilotato alla grande: i due sono compagni di stanza
Pasqualon lo ha pilotato alla grande: i due sono compagni di stanza

“Solamente” la volata

A San Salvo c’è la gente delle grandi occasioni. Una marea di pubblico che ha invaso il villaggio d’arrivo e poi si è riversata sulle transenne, cosicché quando Milan lascia esplodere la sua volata, l’arrivo trema e poi esplode. Johnny passa e non smette di urlare. Il suo diesse Pellizotti, raggiunto al telefono, dice che non era certo che Jonathan potesse districarsi nel caos della prima volata del Giro, in mezzo a velocisti freschi e scaltri come gatti selvatici. Ma quando davanti alle ruote del friulano si è aperto il varco e Bonifazio si è spostato, allora la musica è cambiata.

«I ragazzi hanno fatto veramente un ottimo lavoro – mormora Milan e sembra quasi in trance – mi hanno tenuto tranquillo nelle prime posizioni. Per tutti gli ultimi chilometri mi ripetevano sempre: “Ora stai tranquillo, stai tranquillo, stai dietro di noi. Stai coperto. Bevi. Mangia”. Alla fine mi hanno guidato nelle prime posizioni del gruppo e io ho dovuto… solamente fare la mia volata. Sono davvero contentissimo per questo. Devo dire un immenso grazie alla squadra…».

La tappa si è trascinata a lungo al piccolo trotto: nel finale l’andatura è impazzita
La tappa si è trascinata a lungo al piccolo trotto: nel finale l’andatura è impazzita

Un urlo liberatorio

Il sorriso. Il silenzio. Le parole a bassa voce. Qualche lacrima. Nell’intervista durante il viaggio di andata verso Pescara, avevamo avuto la sensazione del bambino al cospetto della corsa dei sogni. Nonostante sia un campione olimpico, l’idea di debuttare al Giro lo scuoteva dentro. E oggi che il sogno di vincere una tappa si è avverato, guardandolo negli occhi e ricordando le prime chiacchierate di quando era dilettante, riconosciamo un’emozione che forse non aveva mai provato prima

«Quell’urlo – racconta – è stato liberatorio. Mi sono passate in testa tante cose. Tanti allenamenti fatti a tutta. I brutti momenti passati all’inizio stagione con le cadute. La stanchezza che ho avuto addosso. Poi ho pensato alla mia famiglia che mi guardava da casa – qui si commuove e trattiene a stento una lacrima – ecco tutto qua. Mio padre aveva corso il Giro prima di me, non sapete quanto sia importante esserci arrivato».

Quando ha potuto sprigionare la sua potenza, alle spalle si è scavato un solco
Quando ha potuto sprigionare la sua potenza, alle spalle si è scavato un solco

Vigilia nervosa

Aveva sviato ogni attesa legata alla crono, non avendola preparata. Il suo avvicinamento al Giro non è stato dei più sereni. Il trapelare delle voci per cui il prossimo anno andrà alla Trek avrebbero potuto guastare i rapporti in squadra e forse qualche mal di pancia in casa Bahrain Victorious c’è anche stato. Invece alla fine la squadra ha scelto per il meglio. Pellizotti ribadisce che se hanno deciso di portarlo, la fiducia è massima.

«Dopo le classiche – dice Milan raccontando gli ultimi tempi – mi sono allenato il più possibile per non soffrire le salite e arrivare alla fine delle corse il più veloce possibile e credo che abbiamo fatto un ottimo lavoro. Quando ho tagliato la linea del traguardo è stata un’emozione che mi è salita dentro. Ero praticamente scioccato e lo sono tutt’ora per la volata che ho fatto».

Raccontando la sua vittoria, Milan è passato da momenti di gioia, all’incredulità, fino alle lacrime
Raccontando la sua vittoria, Milan è passato da momenti di gioia, all’incredulità, fino alle lacrime

Grazie al CT Friuli

Prima di salutare, qualche parola di gratitudine va anche al Cycling Team Friuli, in cui è sbocciato. Fu Roberto Bressan tre anni fa a portarlo al cospetto di Marco Villa in un ritiro azzurro in Slovenia, perché potesse valutarlo e farne una delle colonne del quartetto d’oro a Tokyo. E furono ancora loro a convincerlo delle sue potenzialità anche su strada: l’autorità e lo stupore con cui Jonathan vinse in volata la tappa di Rosà al Giro U23 del 2020 fu solo l’antipasto della potenza mostrata oggi.

«La cosa speciale di quella squadra – sorride – sono l’amore e la passione che i direttori sportivi e tutto lo staff mettono nel tirare su gli atleti. Penso che il segreto del fatto che in quell’angolo di Friuli ci siano tanti buoni corridori è solo questo. Perché di fatto io sono lo stesso di stamattina, solo con un risultato in più. Mi sono messo in gioco, tutta la squadra oggi lo ha fatto e mi ha dato fiducia e per questo devo ringraziare veramente tutti. Non penso di essere cambiato tanto in questi pochi minuti…».

In attesa che Milan torni dalle premiazioni, al bus Bahrain si stringono mani e si commenta la corsa
In attesa che Milan torni dalle premiazioni, al bus Bahrain si stringono mani e si commenta la corsa

La serata ha il sapore dolce della vittoria tricolore. Il Giro d’Italia è bello quando ci fa parlare italiano ed è anche meglio quando a farlo è un giovane di grande talento su cui costruire un’ipotesi di futuro. In casa Bahrain Victorious stasera si brinderà e poi si tornerà a guardare il percorso. Domani può essere un’altra bella giornata, altre per Milan ne verranno. Caruso è uscito indenne dalla trappola della caduta. Con il mare davanti e le montagne ancora bianche alle spalle, il Giro manda in archivio la seconda tappa. Ci vediamo domani.

Stakanovista Mohoric, due mesi intensi di classiche

26.04.2023
4 min
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LIEGI – Dalla Omloop Het Nieuwsblad del 25 febbraio, alla Liegi-Bastogne-Liegi dello scorso 23 aprile: Matej Mohoric si è fatto tutta, ma proprio tutta, la Campagna del Nord. O per meglio dire la primavera delle classiche. Perché non va dimenticato che nel mezzo di queste undici prove c’erano anche la Sanremo e la Strade Bianche.

Il corridore del Team Bahrain Victorious si ferma a parlare con noi tra uno scrocio di pioggia e l’altro alla vigilia della Doyenne, in occasione della presentazione delle squadre.

Mohoric non ha vinto in questo scorcio di stagione, però è salito sul podio della Kuurne-Bruxelles-Kuurne. Di certo la sua non è una primavera da buttare. Poteva averla chiusa dopo la Roubaix, dopo l’ennesima brutta caduta e le tante botte e invece è andato avanti. Poteva rassegnarsi al dominio ora di Pogacar, ora di Van der Poel, ora della Jumbo-Visma, ma neanche per sogno. Questa sua campagna di classiche gli ha riservato spunti interessanti che analizziamo insieme.

L’intervista con Mohoric (classe 1994) alla vigilia della Liegi
L’intervista con Mohoric (classe 1994) alla vigilia della Liegi
Matej, dicevamo: ti sei fatto tutte le classiche più importanti di primavera…

Questo era il mio programma! All’inizio è andato tutto bene. Mi sono piazzato un paio di volte, poi i due obiettivi principali erano il Fiandre e la Roubaix e non sono andati un granché. Fisicamente stavo bene, però non ho raccolto nessun risultato, quindi c’è un po’ di rammarico. Però guardo avanti e spero di far bene prima o poi. 

Sei stato anche sfortunato. Hai subito diverse cadute, ma ti sei sempre rialzato, mostrando molta grinta. In tanti avrebbero detto basta dopo che i due obiettivi principali erano alle spalle ormai…

Sì, però la vita non sempre va come si vuole. La cosa più facile è dire che uno non ce la fa, che è meglio restare a casa… Però io credo che bisogna tentare sempre. Anche perché se non parti, non puoi nemmeno vincere. E neanche provarci…


Hai fatto tutta la Campagna del Nord, c’è stato un momento di picco di forma? Ed eventualmente quando era previsto?

Sono stato sempre abbastanza bene, ma era previsto un picco di forma per il Fiandre e la Roubaix. E infatti devo dire che di gambe in quei giorni mi sono sentito davvero bene. Però purtroppo per delle circostanze avverse non ho fatto risultato. E mi dispiace proprio perché sapevo di stare bene. Stavo meglio dell’anno scorso…

Mohoric ha chiuso la sua primavera alla Liegi. Due mesi in cui ha preso il via a tutte le classiche. Ha saltato Brabante e Scheldeprijs
Mohoric ha chiuso la sua primavera alla Liegi. Due mesi in cui ha preso il via a tutte le classiche. Ha saltato Brabante e Scheldeprijs
Se il picco era previsto per il Fiandre, avevi deciso di sacrificare un po’ la Sanremo? Eri consapevole che forse non eri al 100 per cento…

Esatto. Alla Sanremo non ero al 100%, consapevole del fatto che il mio obiettivo principale era la Roubaix. La Roubaix più del Fiandre. E infatti poi sono stato meglio dopo, nonostante la caduta al Fiandre.

Al netto dei dolori, cosa ti porti dietro da Fiandre e Roubaix? Le puoi vincere?

Sì, secondo me sono alla mia portata. Quest’anno posso dire che non ero tanto lontano dal tenere il passo con i migliori. Alla Gand, per esempio, non ci sono riuscito perché a un corridore davanti a me è scesa la catena e non potevo passarlo in quel momento. Ho perso l’attimo. Altrimenti sarei rimasto attaccato ai due Jumbo-Visma. Al Fiandre, la prima caduta, quella in cui è rimasto coinvolto anche Pogacar, un po’ mi condizionato. Dopo quella scivolata non ero più al 100 per cento.

Mohoric ha capito che con ottime gambe e un po’ di buona tattica, quei 3-4 fenomeni si possono battere
Mohoric ha capito che con ottime gambe e un po’ di buona tattica, quei 3-4 fenomeni si possono battere
Insomma, in prospettiva hai fatto un buon lavoro…

Sì, io sono convinto che nel futuro, se tutto va bene, posso vincere sia il Fiandre che la Roubaix. E tornerò.

Non parti battuto in partenza! In queste classiche abbiamo sentito corridori, anche importanti, partire per il secondo posto o per il piazzamento perché in gara c’era uno o più di quei quattro fenomeni…

No, no… e questo purtroppo è vero. Nelle ultime corse, più di una volta nel gruppo, quando la situazione si era delineata, in tanti hanno corso per un piazzamento e questo mi dispiace. Anche all’Amstel quando siamo rimasti fuori perché ci hanno attaccati di sorpresa, mancava molto e c’era il tempo di rientrare. Però non c’erano le squadre che volevano sacrificarsi per andare a prendere la fuga.

E come si può fare?

Bisogna adattarsi e fare del proprio meglio. Magari non facendosi sorprendere e così giocarsela non contando sugli altri.

Una “buona” fatica. Il diario di Buratti al Tour of the Alps

23.04.2023
6 min
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PREDAZZO – Il ghiaccio lo aveva rotto alla Freccia del Brabante, ma Nicolò Buratti, malgrado la gran fatica, è ben felice di aver capito al Tour of the Alps ciò che lo attende tra i pro’. E’ quello che ha sempre voluto e adesso non fa certo il difficile se gli ultimi giorni sono tosti.

Alla corsa dell’Euregio abbiamo seguito un po’ più da vicino il 21enne della Bahrain-Victorius, formazione che era partita con l’obiettivo della vittoria finale e che ha chiuso sul podio grazie al terzo posto di Jack Haig. Ne abbiamo ricavato una sorta di suo diario giornaliero di tappa in tappa. Un momento in cui esprimere le proprie sensazioni che il friulano di Corno di Rosazzo ha accettato di buon grado, riuscendolo a gestire altrettanto bene. Parlare a caldo quando l’acido lattico ti sta mordendo ovunque non è la circostanza preferita di un corridore, ma Nicolò non ci ha mai negato un sorriso.

Nonostante la fatica, Buratti giudica molto buona e formativa l’esperienza al Tour of the Alps
Nonostante la fatica, Buratti giudica molto buona e formativa l’esperienza al Tour of the Alps

Prima tappa

La frazione inaugurale del Tour of the Alps prevede 2.470 metri di dislivello in meno di 130 chilometri di corsa. L’arrivo austriaco di Alpbach non appare troppo duro, a parte un tratto in doppia cifra di pendenza.

«C’è poco da dire – esordisce Buratti – qui si fa fatica. E’ stata una tappa corta e piuttosto esplosiva. Il ritmo è stato elevato in generale. Sono arrivato abbastanza stanco però ho cercato di aiutare la squadra nel miglior modo possibile in base alle mie capacità. Prima dell’ultima salita, che era bella dura (Kerschbaumer Sattel, 5,2 km al 10%, ndr) mi sono staccato e sono arrivato al traguardo cercando di recuperare».

Seconda tappa

La tappa numero due del “TotA” ha 400 metri e 35 chilometri in più rispetto al giorno prima. Sul traguardo della Ritten Arena a Renon vince ancora Geoghegan Hart (stavolta in uno sprint ristretto) ma la Bahrain-Victorius piazza Haig e Buitrago sul podio parziale. Inoltre il colombiano prende la maglia azzurra di miglior scalatore.

«E’ stata una giornata altrettanto dura come ieri – spiega Nicolò mentre si disseta con una aranciata – la tappa è stata più controllata, anche se il ritmo è comunque stato alto. Personalmente sono più contento perché sono riuscito ad aiutare molto di più la squadra. Il mio lavoro l’ho svolto. Anche oggi, sulla salita che portava a Renon, sono venuto su tranquillo».

Il compito di Buratti (in terza posizione) al TotA è stato di quello di lavorare per la squadra fino alle ultime salite
Il compito di Buratti (in terza posizione) al TotA è stato di quello di lavorare per la squadra fino alle ultime salite

«La squadra che c’è qua – aggiunge – in pratica è quella che andrà al Giro d’Italia, quindi i compagni sono in rampa di lancio. In ogni caso dal Brabante ad oggi è stato un percorso piuttosto positivo per me. La classica belga è stata corsa in maniera più simile alle gare U23 e devo essere sincero che non mi sono trovato troppo fuori luogo. Qui invece al Tour of the Alps è dura. C’è tanta salita, sono tutti scalatori e tutti in condizione pre-Giro. Insomma, si fatica e basta (sorride mentre ci saluta, ndr)».

Terza tappa

Il Tour of the Alps entra nel vivo con una frazione di non semplice lettura. Si scende dall’altopiano di Renon e si viaggia sulle fondovalli che portano sotto Trento. Praticamente tutta pianura tranne i due GPM di giornata. Dieci chilometri verso il Lago di Cei (a circa due terzi della tappa) e poi gli ultimi quindici abbondanti di ascesa (al 7,5 per cento) che portano a San Valentino di Brentonico.

«E’ stata una tappa dura come ci avevano anticipato – ci dice Buratti mentre i massaggiatori si preoccupano di coprirlo dall’aria fredda – le gambe stanno iniziando a bollire, a perdersi un po’ per strada. Anche se affaticato, tuttavia sono riuscito a finire abbastanza bene. Adesso vediamo come recupererò stasera. Domani si arriva a Predazzo e quella sarà veramente la tappa più dura di tutte. In ogni caso per me è sempre più un banco di prova importante. Per me sono le prime esperienze con i pro’, quindi è utile per fare gamba. Prendo quello che viene senza problemi».

Alla partenza della quarta di tappa da Rovereto, Buratti era sereno sapendo cosa lo aspettava
Alla partenza della quarta di tappa da Rovereto, Buratti era sereno sapendo cosa lo aspettava

Quarta tappa

Ha ragione Buratti, quella che parte da Rovereto è la tappa più incline al format della corsa. Un continuo su e giù per le vallate trentine per un totale di 3.600 metri di dislivello spalmati su poco più di 150 chilometri. Nel frattempo il meteo è diventato più inclemente e alla partenza scappa qualche goccione d’acqua. La pioggia accompagnerà i corridori fino a Predazzo. Nicolò lo intercettiamo tra il suo bus e il podio-firma. Non si aspetta nulla di particolare, sforzi a parte, ma l’umore appare buono. La sua tappa durerà poco più della metà.

«La fatica si è fatta sentire – ci racconta nel tardo pomeriggio – soprattutto con la partenza subito in salita (quasi sedici chilometri verso Passo Sommo, sopra Folgaria, ndr). Non è stata la mia miglior giornata e di conseguenza ho pagato un po’ più del dovuto. E’ vero, ho concluso in anticipo il mio Tour of the Alps però rientra tutto in quello che può considerarsi bagaglio di esperienza.

«Era la mia seconda gara con i pro’, una gara di una certa caratura tra l’altro, visti i partecipanti. Ho accusato un po’ il ritmo alto di andatura del gruppo. Tuttavia penso che queste mazzate facciano bene per crescere e capire il livello».

Dopo un periodo di recupero, Buratti potrebbe tornare in gara al Giro di Ungheria dal 10 al 14 maggio
Dopo un periodo di recupero, Buratti potrebbe tornare in gara al Giro di Ungheria dal 10 al 14 maggio

«Adesso farò qualche giorno di recupero – chiude Buratti – Devo ricaricare le batterie al meglio, poi tornerò ad allenarmi per i prossimi appuntamenti. Forse potrei correre il Giro di Ungheria però vedremo. So che devo continuare a migliorarmi per arrivare al livello dei grandi che si giocano le corse. E’ stata un’ottima esperienza, soprattutto perché alla fine ho fatto una settimana con la squadra. Sono molto contento perché mi ha consentito di conoscere meglio l’ambiente e capire come si muove una squadra World Tour durante una corsa a tappe. Prendo con piacere il lato positivo di questi giorni di fatica».

Dal Fiandre all’Inferno, la “settimana santa” di Pasqualon

09.04.2023
5 min
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La settimana che va dal Giro delle Fiandre alla Parigi-Roubaix è detta “settimana santa” e quest’anno con la Pasqua di mezzo lo è nel vero senso della parola! Ma come vengono gestiti questi questi sette giorni che separano i due monumenti del pavè? A darci un’idea di come vadano le cose è Andrea Pasqualon.

Il corridore della Bahrain-Victorious ci ha raccontato il suo andirivieni tra Belgio e Italia. Della necessità di recuperare, ma anche di riportare su di giri il motore.

Pasqualon (classe 1988) impegnato al Fiandre di domenica scorsa. Il veneto lo ha chiuso al 36° correndo in appoggio a Mohoric e Wright
Pasqualon (classe 1988) impegnato al Fiandre di domenica scorsa. Il veneto lo ha chiuso al 36° correndo in appoggio a Mohoric e Wright
Andrea, tra Fiandre e Roubaix: come hai gestito questa settimana? Partiamo dal post gara di domenica scorsa…

Ho preso il volo per l’Italia la sera stessa dopo la corsa. Volevo tornare a casa per staccare un po’, stare in famiglia e uscire davvero in tranquillità nei giorni successivi.

Cosa hai fatto dunque il lunedì e il martedì?

Lunedì riposo totale. Ed era proprio quello che mi serviva, perché domenica scorsa è stata proprio dura, dura… Corse come il Fiandre sono super stressanti. Poi si è visto che velocità abbiamo fatto, le cadute… E i volti degli altri a fine corsa la dicevano lunga. Lunedì ho passato gran parte del tempo sul divano. Il martedì ho fatto due ore e mezza molto easy. Mi sono reso conto di essere ancora stanco, tanto che stavo vedendo un film con mia figlia e mi sono addormentato sul divano di nuovo. E questo la dice lunga.

Mercoledì?

Sono tornato in Belgio. Mi sono allenato quassù. E ho fatto un’uscita non troppo lunga con piccoli lavori di riattivazione. Sessioni di 10′-15′. Mi sono voluto allenare anche per fare il massaggio. Mi massaggia Pierluigi Marchioro e con lui, veneto come me, si parla di in dialetto, si scherza, si stacca in qualche modo. Ma nei due giorni a casa, essendo caduto, sono andato anche dall’osteopata. Per questo, ripeto, sono tornato in Belgio il mercoledì di buon ora.

Pasqualon con il massaggiatore Marchioro, conosciuto ai tempi della nazionale U23
Pasqualon con il massaggiatore Marchioro, conosciuto ai tempi della nazionale U23
Giovedì ricognizione? In questi casi avete una tabella di lavoro? Come si fa?

Esatto: ricognizione. Abbiamo provato gli ultimi 120 chilometri della Roubaix. Non c’è una tabella vera e propria ma si cerca di fare i segmenti in pavè di buon passo, ma sempre in sicurezza (si veda il caso Guazzini con il bacino rotto nella recon, ndr). E’ importante fare la ricognizione per individuare le pressioni ideali, i rapporti e per individuare le linee più sicure, capire dove c’è un po’ d’erba e dove invece si può stare sulla “schiena d’asino”. E poi io durante la ricognizione ho il compito di parlare molto con i ragazzi e di comunicare con l’ammiraglia affinché scrivano il più possibile, prendano appunti.

Un ruolo di responsabilità…

E’ molto importante conoscere ogni insidia. Poi è chiaro che in corsa non riesci a passare sulla linea migliore o che pensavi di fare, però hai idea delle condizioni che ti aspettano in quel tratto di pavè.

Quando avete fatto il briefing tecnico?

Tra venerdì e sabato soprattutto. Se ne è parlato anche prima, ma il venerdì abbiamo rivisto i filmati delle passate edizioni, c’era più relax e si parlava con tranquillità.

La recon di giovedì scorso. Momento cruciale della “settimana santa” (foto Instagram)
La recon di giovedì scorso. Momento cruciale della “settimana santa” (foto Instagram)
Andiamo avanti con la preparazione: venerdì cosa hai fatto?

Una girata tranquilla, un paio d’ore. Dal venerdì soprattutto l’obiettivo principale è diventato il recupero. Alcuni compagni hanno fatto riposo assoluto. Io lo avevo fatto lunedì e quindi una sgambata l’ho fatta.

Ieri, sabato?

Più o meno la stessa cosa. Un’oretta e mezza con pausa caffè.

Fronte alimentazione: come hai gestito questa settimana?

Nei primi due giorni post Fiandre ho fatto lo scarico di carboidrati. Quindi ne ho mangiati molti in meno, a vantaggio di proteine e verdure. Verdure che servono soprattutto per riempire la pancia, per ovviare al senso di sazietà. Poi dal mercoledì sera, anche in vista della “recon” impegnativa del giovedì abbiamo iniziato a rimangiare i carboidrati. Serve la gamba piena.

E nei giorni successivi?

I carboidrati sono andati ad aumentare, sempre di più. Mentre calavano le verdure. In particolare il sabato: tanti carboidrati sin dal mattino. Io mangio anche 500 grammi di pasta in bianco. Dopo tanti anni di riso in bianco e pollo, preferisco non utilizzare troppo i condimenti, sono diventato un po’ delicato di stomaco, diciamo così. Comunque si arriva alla mattina del via con un bel carico glicemico, perché c’è da spendere moltissimo.

Pasqualon ha ribadito l’importanza di individuare la linea migliore tra “erba” e schiena d’asino
Pasqualon ha ribadito l’importanza di individuare la linea migliore tra “erba” e schiena d’asino
E gli integratori?

Diciamo che i sali minerali ancora non si usano molto, tanto più che quassù siamo sui 10°-12°. Ho utilizzato le proteine post gara o allenamento e gli aminoacidi essenziali, sempre prima e dopo gli allenamenti. Ma va detto che ormai questi sono contenuti nelle proteine e da soli non si prendono più molto spesso.

Abbiamo parlato di preparazione e alimentazione: e i pensieri tra Fiandre e Roubaix, Andrea?

Bisogna cercare di staccare tra questi due super monumenti. Queste corse esigono una concentrazione massima, neanche paragonale ad una tappa di un grande Giro. Anche la mente deve essere libera. Ogni istante, ogni elemento come il vento, una curva, uno spartitraffico può essere decisivo. E per questo aspetto, ma in generale direi, è molto importante dormire bene e tanto.

Tu a che ora vai a dormire in queste situazioni?

Verso le 22. Passo una mezz’oretta al telefono. Ma proprio in questa settimana ho letto il libro di Sonny Colbrelli (Con il cuore nel fango, ndr), della sua Roubaix. E’ stato bello rivivere le sue emozioni, quel che ha vissuto in carriera e in quei giorni. Oggi fa un po’ effetto vederlo a bordo strada a darci le borracce. Mi sarebbe piaciuto molto lavorare anche per lui. Essere il suo gregario di lusso, tanto più che in passato siamo stati compagni di squadra.