Tra WorldTour e abbandoni, un quadro d’insieme sui giovani azzurri

10.12.2024
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Le statistiche dicono molto, a proposito dello stato di salute di un movimento sportivo. Si parla tanto della crisi del ciclismo italiano, proviamo ad andare a fondo al discorso affrontando il tema della produzione di talenti a livello giovanile. Per capirlo abbiamo bisogno di uno specchio, costituito in questo caso dalle convocazioni degli azzurri per europei e mondiali fra juniores e under 23, tenendo in considerazione anche i risultati.

Dainese primo agli europei 2019, inizio di una carriera ancora in piena ascesa
Dainese primo agli europei 2019, inizio di una carriera ancora in piena ascesa

Armata azzurra: 73 in 5 anni

Che fine hanno fatto tutti quei ragazzi? Perché parliamo di un numero imponente, considerando che abbiamo preso in esame solo un quadriennio, quello tra il 2019 e il 2023 (non la stagione appena conclusa perché con presenze di juniores ancora al primo anno, in fase di formazione anche puntando al salto diretto della categoria successiva). Ebbene, nei 4 anni in questione (il che significa 5 manifestazioni europee e 4 mondiali visto che nel 2020 si organizzò in extremis solo la rassegna per gli elite) sono stati ben 73 i ragazzi che hanno vestito l’azzurro.

Partiamo dai risultati. Che si tratti di una generazione ricca di talento lo si desume da quanto è stato portato a casa dagli azzurri. In sede mondiale possiamo vantare 5 medaglie di cui ben 4 d’oro: i titoli mondiali di Tiberi (crono junior 2019), Battistella (strada U23 2019), Baroncini (strada U23 2021) e Lorenzo Milesi (crono U23 2023) più l’argento di Alessio Martinelli da junior nel 2019. A ciò vanno aggiunte 15 presenze complessive in Top 10.

Mondiali 2019, Tiberi vince la crono junior e si rivela al mondo. Ora è leader alla Bahrain Victorious
Mondiali 2019, Tiberi vince la crono junior e si rivela al mondo. Ora è leader alla Bahrain Victorious

I 20 ragazzi italiani nel WT

Agli europei ci sono 2 titoli (con Andrea Piccolo nella crono juniores e Alberto Dainese su strada U23 entrambi nel 2019), 4 medaglie e ben 26 presenze fra i primi 10. Numeri che dicono di una qualità molto alta.

Ma che fine hanno fatto tutti questi ragazzi? Il primo dato che emerge è che su 73 nomi presi in esame, ce ne sono ben 20 che sono approdati in squadre WorldTour, pari al 27,4 per cento. Significa che i principali team hanno investito su quei talenti, trovando risposte concrete. Parliamo di giovani che si sono già affermati come leader e elementi di punta anche al massimo livello, basti pensare a Jonathan Milan per le volate o a Andrea Tiberi come uomo da classifica nei grandi giri. Ma anche di gente in via di costruzione, come lo stesso Baroncini frenato da troppi infortuni ma che ormai sta imboccando la luce in fondo al tunnel.Oppure pensiamo a Pellizzari che trova spazio in una corazzata come la Red Bull – Bora Hansgrohe.

Matteo Scalco, uno dei tanti giovani che Reverberi ha preso sotto la sua ala protettrice
Matteo Scalco, uno dei tanti giovani che Reverberi ha preso sotto la sua ala protettrice

Non tutti possono essere campioni…

Ci sono poi quelli che in proiezione dovrebbero seguire la stessa strada, visto che sono ben 10 i corridori dal passato fra gli azzurri e dal presente nei devo team delle squadre WT. Un tragitto preferenziale verso il grande ciclismo che va allargandosi sempre più e che lascia ben sperare, soprattutto unendo questo numero a un altro, gli 11 neoprofessionisti che approdano al mondo principale fra WorldTour e Professional. Con tutti i suoi problemi, il ciclismo italiano continua a produrre talenti, poi starà a ognuno di loro ritagliarsi lo spazio giusto.

E’ forse quello il cammino più difficile: convincere i direttori sportivi delle proprie capacità, delle proprie ambizioni corroborandole con prestazioni e risultati. Non tutti ci riescono, c’è anche chi legittimamente si ritaglia un posto come gregario e si specializza, ma fa sempre parte di quel percorso di maturazione ciclistica che segue ogni corridore. Non sono certo tutti Pogacar.

Lorenzo Balestra, quel 5° posto agli europei 2020 sembrava l’inizio di qualcosa di grande
Lorenzo Balestra, quel 5° posto agli europei 2020 sembrava l’inizio di qualcosa di grande

Ritirati: numero elevato

C’è però un rovescio della medaglia. Abbiamo parlato di chi ce l’ha fatta, poi abbiamo tanti corridori che militano nelle nostre squadre Professional (e per fortuna che ci sono) con la VF Group – Bardiani che sembra la strada preferenziale, visto che nelle sue fila transitano ben 6 nomi. Ma anche Polti – Kometa, Toscana Factory Team e la purtroppo dismessa Zalf hanno dato un forte contributo. Ma c’è anche chi non ce l’ha fatta…

Considerando che facciamo riferimento a un lasso di tempo molto recente e a corridori molto giovani, nel pieno della loro attività, colpisce il fatto che ben 11 di essi dopo aver vestito i panni azzurri abbiano già mollato, si siano ritirati anzitempo. Corridori anche promettenti, come Lorenzo Balestra, quinto agli europei 2020 e già fuori dal giro due anni dopo, oppure Andrea Debiasi, in nazionale agli europei 2023 e ritiratosi dopo appena un anno. Impressionante il dato relativo agli europei juniores 2019: in nazionale c’erano Andrea Piccolo che chiuse 5°, Edoardo Zambanini anche lui in Top 10, poi Yuri Brioni, Davide Cattelan, Francesco Della Lunga e Tomas Trainini. Di loro troviamo in attività solamente Zambanini e Della Lunga, sempreché quest’ultimo trovi un approdo dopo la chiusura della Hopplà Petroli.

Una parabola brevissima quella di Andrea Debiasi, azzurro nel 2023 e ritirato quest’anno
Una parabola brevissima quella di Andrea Debiasi, azzurro nel 2023 e ritirato quest’anno

Dati su cui ragionare

Che cosa significa tutto ciò? Che le strade per approdare al ciclismo professionistico sono sempre più strette, a maggior ragione per i nostri che non hanno un team WT di riferimento e che si trovano a navigare in acque sempre più agitate dove i team vanno diradandosi. Sono dati sui quali sarebbero in primis Federazione e Lega a dover ragionare, perché vedere tanti ragazzi che avevano un talento tale da meritarsi l’azzurro e che poi mollano così presto non trovando sostegni è un brutto segnale.

Mattio: Avenir da protagonista e mondiale già in testa

28.08.2024
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Protagonista in ogni tappa, sempre all’attacco: Pietro Mattio è stato uno degli azzurri impegnati al Tour de l’Avenir, di cui Marino Amadori può andare più fiero. Il cittì ci aveva visto lungo evidentemente.

Lo ha portato in Francia nonostante il percorso non fosse proprio adatto alle sue caratteristiche. Tanta, forse troppa, salita per lui. Ma questo non è stato sufficiente a frenare l’entusiasmo di Pietro.

Il cuneese infatti non si è perso d’animo e per tutta risposta ha tirato fuori un numero ogni giorno, mettendosi spesso anche a disposizione del team. In questi giorni sta recuperando le fatiche francesi, ma a sentirlo il tono è già quello squillante di chi vuol tornare nella mischia.

Uno scatto che sintetizza bene il Tour dell’Avenir di Mattio (foto Tour Avenir)
Uno scatto che sintetizza bene il Tour dell’Avenir di Mattio (foto Tour Avenir)
Insomma Pietro, come dicevamo, hai fatto un gran bell’Avenir. Sei sempre stato protagonista.

L’obiettivo era un po’ quello: mettersi in mostra e visto il percorso anticipare i tempi, poiché in salita rispetto ad altri ho qualcosa in meno. Solo nella prima tappa abbiamo commesso un errore di valutazione. Sono andati via prima in tre e poi altri due. Vista la lunghezza e il tipo di percorso credevamo cedessero, invece erano freschi e sono arrivati.

Parlando con Amadori, ci spiegava che saresti dovuto entrare in scena soprattutto nelle prime due tappe, quelle altimetricamente meno dure, giusto?

Sapevamo che le prime due tappe non erano per noi dell’Italia. Giustamente, con il percorso che presentava l’Avenir, erano tutti scalatori puri tranne me. Le prime due tappe però si sono rivelate dure lo stesso per come si è andato forte. Nella prima, come detto, non siamo riusciti ad andare in fuga, ma nella seconda, che già era più impegnativa, ci siamo riscattati con la vittoria di Crescioli. Poi il programma in generale era di stare davanti, di tenere Florian Kajamini, che era il nostro leader, nelle migliori posizioni possibili. Una vera fuga per me pensavo di farla nella tappa di Condove.

Come mai?

Perché era un po’ più adatta a me e l’avevo cerchiata di rosso. E infatti ero anche riuscito ad andare via. Solo che in quella trentina di atleti riusciti a scappare c’erano dentro anche 5-6 uomini di classifica, tra cui Florian. A quel punto ho capito subito che sarebbe stata dura per me e così mi sono messo a completa disposizione di “Kaja”. Per fortuna quella tappa si è conclusa al meglio proprio con la sua vittoria.

Ma il giorno dopo sei tornato in fuga, pur sapendo del finale sul Colle delle Finestre, come mai?

In verità ero un po’ “deluso” dal giorno prima. Volevo fare qualcosa di più di un nono posto raccolto in tutto l’Avenir. E così, visto che era l’ultima tappa, ho giocato il tutto e per tutto. Ho pensato che se fossi arrivato all’imbocco del Finestre con un buon vantaggio, magari sarei riuscito a tenere, ma non ci hanno lasciato troppo spazio. E infatti ad 8 chilometri dall’arrivo mi sono visto passare da Torres. A quel punto mi sono messo l’anima in pace.

Il piemontese è stato l’ultimo ad arrendersi sul Colle delle Finestre. Una grande prova di coraggio (foto Instagram)
Il piemontese è stato l’ultimo ad arrendersi sul Colle delle Finestre. Una grande prova di coraggio (foto Instagram)
E come andava Torres? Ti ha impressionato?

Andava forte! Dopo otto giorni di corsa e dopo essere stato in fuga, tenere quel passo era davvero impossibile per me, tanto più dopo aver visto i tempi che ha fatto (ha demolito di quasi 2′ il record dei pro’, ndr). Saliva ad una velocità folle.

Che rapporto avevi tu e che rapporto pensi avesse lui?

Il Finestre è molto duro. Io salivo con il 39×30 o 33 a seconda dei punti. Torres credo più o meno uguale, solo che aveva una cadenza incredibile rispetto a me. Impressionante.

Dopo che ti ha ripreso come è andata?

Ho continuato del mio passo e quando all’ultimo chilometro mi ha ripreso il gruppetto con Kajamini e gli altri azzurri, ho provato a dare una mano. Ma ero stanco e non ho potuto fare molto.

Cosa ti lascia questo Avenir, Pietro?

Tanta, tanta esperienza. Il livello che c’era era talmente alto, che mi ha fatto capire meglio che corridore posso essere, dove sono e dove posso arrivare. Ma sono contento.

Il cittì Amadori a colloquio con Mattio al Giro Next. Le convocazioni per il mondiale dovrebbero arrivare dopo il Giro del Friuli
Il cittì Amadori a colloquio con Mattio al Giro Next. Le convocazioni per il mondiale dovrebbero arrivare dopo il Giro del Friuli
E dove puoi arrivare e che corridore sei?

Abbastanza lontano. Spero solo di passare nel team WorldTour, non dalla prossima stagione che farò ancora con la Visma-Lease a Bike Development, ma da quella successiva. E poi ho capito che con il livello che ho attualmente non posso competere per le grandi corse a tappe. In salita c’è chi ha qualcosa più di me. Ma su tappe mosse o anche dure anticipando un po’ ci sono. Insomma, sono un corridore completo con un buono spunto.

Ora come prosegue la tua stagione?

A breve farò il Giro del Friuli (4-7 settembre, ndr), dove correremo in appoggio a Nordhagen, e poi vedremo. Vedremo anche in base alla convocazione o meno per il mondiale, quello sarebbe il grande obiettivo. E poi sono in ballo tra la Parigi-Tours e il Piccolo Giro di Lombardia.

Dopo un Avenir così, facciamo fatica a pensare che Amadori non ti porti…

Spero di aver conquistato la sua fiducia. Il percorso del mondiale è adatto a me. Io darò il massimo per esserci.

La fiammata di Crescioli. Che colpo all’Avenir…

21.08.2024
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Sono passate già alcune ore ma la sua voce trema ancora dall’emozione. Ludovico Crescioli, quasi non ci crede, invece è tutto vero: ha vinto una tappa al Tour de l’Avenir. Sono quasi le otto di sera e l’azzurro sta per scendere a cena.

«Ho finito proprio adesso i massaggi. Tra premiazioni, controlli e tutto il resto siamo andati un po’ lunghi», ha raccontato il toscano.

Crescioli ha così vinto la terza frazione di questo particolare Avenir, che da domani fino alla fine vedrà tanta, ma proprio tanta, salita. 

Ritmi folli in fase di avvio, alla fine la media finale è stata superiore ai 44 all’ora nonostante i circa 2.300 metri di dislivello (foto Tour Avenir)
Ritmi folli in fase di avvio, alla fine la media finale è stata superiore ai 44 all’ora nonostante i circa 2.300 metri di dislivello (foto Tour Avenir)

Tutto nel finale

Verso Plateau d’Hauteville il gruppo regala di nuovo una tappa corsa a ritmi supersonici. «Ben 48 media nelle prime due ore di gara e 44 alla fine, incredibile come vanno e che livello ci sia. Era dura… Morgado, non uno a caso, ieri ha preso quasi 8’», sottolinea il cittì Marino Amadori.

Alla fine la fuga parte. Scappano in sette e dentro c’è anche Pietro Mattio. Ma nel finale, impegnativo e tecnico, tutto si rimescola.

Scatta il tedesco Ole Theiler e su di lui piomba Ludovico Crescioli, che con una volata di gambe lo infilza nettamente.

«Mamma mia che bello – riprende Crescioli – meglio di così non poteva andare. Il finale era bello. Era tutto un saliscendi, insidioso e duro. Davanti non hanno più trovato l’accordo e dietro la Danimarca tirava forte. In più la strada prima di prendere la salita era stretta e così tutti volevano stare davanti. Questo ha contribuito molto a ridurre il gap sulla fuga. 

«Il tedesco ha allungato e io ho dovuto fare un grande sforzo per rientrare. Ho fatto tutto da solo, ho dato il massimo ma ci sono riuscito».

Buon lavoro degli azzurri che hanno centrato la fuga ed eseguito al meglio gli ordini del cittì (foto Tour Avenir)
Buon lavoro degli azzurri che hanno centrato la fuga ed eseguito al meglio gli ordini del cittì (foto Tour Avenir)

Avanti con fiducia

Questa è una vittoria pesante. Un successo all’Avenir vuol dire molto. Ci ritornano in mente le parole del suo diesse alla Technipes #InEmiliaRomagna, Francesco Chicchi, quando dopo il Giro della Valle d’Aosta ci disse che ormai a Ludovico mancava solo la vittoria. Chicchi era sicuro che sarebbe arrivata. Non si sbagliava.

«Una vittoria pesante è vero – dice sempre emozionato Ludovico – in effetti era un bel po’ che non vincevo (questa è la prima vittoria da under 23, ndr), mi mancava un risultato così. Lo avevo messo nel mirino ed ora averlo raggiunto è bellissimo».

«Da domani (oggi per chi legge, ndr) si riparte con una tappa regina. C’è davvero tanta salita e sarà tosta. Ma questa vittoria dà tanta spinta a me e anche agli altri ragazzi. Stiamo tutti pedalando bene. La motivazione è forte.

«In gruppo ne ho visti tanti pedalare bene. Credo che Jarno Widar sia il favorito, ma anche Blackmore mi ha impressionato, si capisce che sono in forma. Ma da domani (oggi, ndr) si vedrà».

Ludovico Crescioli (classe 2003) ha da poco vinto a Plateau d’Hauteville: un successo importantissimo per la sua carriera
Ludovico Crescioli (classe 2003) ha da poco vinto a Plateau d’Hauteville: un successo importantissimo per la sua carriera

Gioia Amadori

«Marino (Amadori, ndr) era contentissimo. Questa vittoria è di tutti gli azzurri», ha concluso Crescioli, ormai finalmente a cena con i compagni.

«Questo è un bel gruppo, alla faccia di chi ci ha criticato – dice Amadori – Non avremo il super leader, ma lo sapevamo, però posso garantire che questi sono i migliori uomini per la salita che abbiamo. Io sono contento, bisogna dargli tempo e ricordare che il nostro motto è: “Siamo qui per crescere e imparare”. Anche nella prima tappa in linea i ragazzi ci avevano provato, ma non erano riusciti a prendere la fuga. Ieri ce l’hanno fatta con Mattio. Pietro sapeva che queste prime due tappe erano le più adatte a lui. Da oggi farà fatica. Gli ordini erano proprio questi: entrare nelle fughe, soprattutto con Mattio».

«Ieri nel finale hanno lavorato in tanti e in pochi avevano le gambe per chiudere ancora, anche per questo Crescioli e il ragazzo tedesco sono riusciti a scappare. Ludovico lo ha rintuzzato. Sì, ha saltato qualche cambio, ma aveva fatto un grande sforzo per chiudere. E credetemi, è stato bravissimo, non era per niente facile visto come era partito».

Clima disteso per i ragazzi di Amadori ieri sera a cena
Clima disteso per i ragazzi di Amadori ieri sera a cena

Testa bassa

Al cittì chiediamo cosa poterci attendere da Crescioli. In fin dei conti è giunto terzo al Valle d’Aosta, gara piena zeppa di salite, e da oggi si prende quota con l’arrivo sulla Rosiere. Arrivo che gli azzurri hanno visionato durante i giorni del Sestriere.

«Crescioli – spiega Amadori – ha fatto un bel calendario quest’anno. Ha corso all’estero, ha fatto belle prestazioni… Ha steccato al Giro Next, ma poi ha fatto bene al Valle d’Aosta, questa vittoria dà morale ma restiamo con i piedi per terra. Ci vorrà pazienza. Inutile fare proclami adesso. Oggi si sale e si scende. Da stasera ne sapremo di più su chi lotterà per la classifica».

Bettiol, parole chiare: «La corsa sarà una continua esplosione»

02.08.2024
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VERSAILLES (FRANCIA) – Tre è il numero delle Olimpiadi di Parigi. Il 3 agosto, domani, si tiene la prova in linea. Gli azzurri correranno in tre. E si corre per tre medaglie. Tutti concetti che ha ben presente la punta dell’Italia, Alberto Bettiol. Un talento che sa farsi valere nelle gare in linea e a cui forse è sempre mancato il grande colpo.

Chissà che non possa essere proprio a Parigi, in una gara che può essere imprevedibile. Tutti parlano di Evenepoel, già campione a cronometro, Van Aert, Pedersen e Van der Poel. Ma se ci dovesse essere spazio per inserirsi, e magari in una situazione del genere c’è, Alberto Bettiol è pronto.

Il toscano ha disputato una discreta cronometro a Parigi: 18° a 1’54” da Evenepoel
Il toscano ha disputato una discreta cronometro a Parigi: 18° a 1’54” da Evenepoel
Com’è fare il capitano di una squadra composta da tre persone?

E’ strano. Sono le Olimpiadi, è una gara diversa dalle altre. Sarà così per tutti, per cui bisogna adattarsi e farsi forza con ciò che si ha. Ci siamo immaginati come possa andare, ma è talmente incerta che bisogna essere flessibili mentalmente. Ci sono squadre da tre corridori, otto Nazioni ne hanno quattro, qualcuna uno. Difficile fare tatticismi. Quando la corsa esploderà, non smetterà più di esplodere. Sarà dura, anche se altimetricamente non lo è, ma è diversa da tutte le altre. Bisogna prenderla per quella che è e pensare che in Italia ci sono più di duecento professionisti e qui siamo in tre a rappresentarli. Io, Luca ed Elia siamo fieri di esserci. Faremo la nostra corsa cercando di stare uniti e di muoverci bene.

Avete già individuato la strategia?

Non abbiamo le radio, siamo in pochi, bisogna essere sempre vigili. Conterà preservare le energie, ma di sicuro non si può pensare di rimanere coperti. Se rimani dietro, nessuno tira per rientrare. Bisogna stare sempre davanti. Sarà una corsa lunga, magari anche più di sei ore. E un percorso come questo lo senti negli ultimi 30 o 40 chilometri, perché lì si sente la stanchezza. Non c’è un punto chiave che si possa individuare, non è come una Sanremo dove sai che il Poggio è decisivo. Ogni momento può essere quello giusto, bisogna essere pronti e magari anche un po’ fortunati. Non è solo questione di forza, anche di istinto e di intuizione. Ma questo ci deve far ben sperare. 

Oggi si è tenuto un incontro con la stampa nella zona di Versailles, dove risiedono gli azzurri del ciclismo. Bettiol ha parlato con chiarezza
Oggi si è tenuto un incontro con la stampa nella zona di Versailles, dove risiedono gli azzurri del ciclismo. Bettiol ha parlato con chiarezza

Che tipo di gara ti auguri?

Noi vogliamo una corsa dura. Luca ha fatto il Tour, è preparato. Elia ha lavorato tanto anche sulla pista, è pronto. Io devo stare insieme ai corridori con le mie caratteristiche, non vorrei trovarmi all’arrivo con uno più veloce di me. Devo anticiparlo. E poi qui si lotta per una medaglia, non solo per il primo posto. Bisogna tenerne conto, è una gara diversa.

Hai già provato una gara olimpica e non è andata benissimo.

A Tokyo potevo fare di più, mi è venuto un crampo e l’ho pagato. Certo, con un terzetto come quello, con Carapaz, van Aert e Pogacar, era difficile pensare al podio. Avevo un problema fisico, poi l’ho risolto. Mi è servita per abituarmi al clima olimpico. Non è tutto bello, ci sono anche le controindicazioni. Mi riferisco a quando devi muoverti per andare a Parigi, o per arrivare in albergo, devi portarti sempre il pass, sei scortato, ci sono tanti protocolli da seguire. Non puoi fare come vuoi. Insomma, ti devi adattare. 

Per Bettiol (a destra) un selfie sotto la Torre Eiffel a Cinque Cerchi con Viviani e Mozzato che correrano con lui la prova di domani (immagine Instagram – FCI)
Per Bettiol (a destra) un selfie sotto la Torre Eiffel a Cinque Cerchi con Viviani e Mozzato che correrano con lui la prova di domani (immagine Instagram – FCI)
La condizione com’è?

La preparazione è andata bene. Mi sono ritirato dal Tour perché ho percepito che sarebbe stato troppo, per questo ho evitato la parte più dura. L’appuntamento più importante è l’Olimpiade e ho pensato solo a questa gara di Parigi. Mi sono allenato insieme alle ragazze, ho provato il percorso, mi sento bene. Negli ultimi due giorni sono arrivati anche Luca ed Elia e siamo pronti a farci valere. 

L’approccio a una gara del genere è diverso?

Io affronto ogni gara allo stesso modo. La preparo alla stessa maniera, mi alimento allo stesso modo, cerco sempre di ottenere il massimo. Ma non c’è niente da fare, l’Olimpiade è un’altra cosa. Lo percepisci chiaramente. Non rappresenti il ciclismo italiano come può essere ai mondiali o agli europei. Lottiamo tutti per una medaglia che è per tutti uguale, per il ciclismo, per la scherma, per il basket, per il ping-pong. Rappresenti tutto lo sport italiano. Qui non siamo ciclisti, siamo atleti olimpici. E’ una grande responsabilità e una cosa molto bella. Dobbiamo esserne orgogliosi. 

Hai mai sognato la medaglia olimpica?

E’ una cosa difficile anche da sognare. E’ una cosa troppo grande. Come dicevo prima, non cambio il mio approccio alla gara. Quando smetterò magari mi renderò conto e saprò capire cosa ho combinato. Ora non ti fermi mai, già so che dopo questa gara avrò altri obiettivi e a fine carriera metterò tutto a fuoco. Di sicuro, però, se dovessi raccogliere una medaglia olimpica, saprei subito di aver fatto qualcosa di indimenticabile non solo per me, ma per tutto lo sport italiano. Perché l’Olimpiade è un’altra cosa. E forse questa può essere la nostra forza.

Rota e Trentin, due medaglie sfuggite in 200 metri

25.09.2022
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«Non so cosa dire del finale – dice Lorenzo Rota con gli occhi rossi – l’ho veramente gettata via. Senza radio è difficile, non sapevamo niente. Ognuno faceva un po’ il suo gioco. Aspetta, aspetta e alla fine ci hanno preso da dietro. Mi dispiace veramente tanto perché la medaglia l’avevo davvero a portata. Era proprio lì».

Il bergamasco è il corridore italiano arrivato più spesso davanti, stringendo sempre poco fra le mani. Lui lo sa e lo sanno i compagni, ma sapevano anche che avrebbe fatto quel che gli era stato chiesto. E così quando è partita la fuga con dentro Evenepoel, Rota si è buttato dentro senza troppe domande. Con lui è andato Conci e, quando più avanti hanno ripreso Battistella, il gruppo ha preso il largo. Forse mancava un leader azzurro. Anzi, certamente mancava…

Rota ancora affranto anche un’ora dopo l’arrivo: la medaglia sfumata fa male
Rota ancora affranto anche un’ora dopo l’arrivo: la medaglia sfumata fa male

Enorme magone

E’ stato Lorenzo a inseguire sul serio Evenepoel, quando Remco ha forzato il ritmo a 37 chilometri dall’arrivo. Lo ha prima inseguito in pianura. Poi, quando il belga ha lasciato Lutsenko sui pedali, è stato ancora Rota a riportarsi sul kazako con una bella aziona in salita.

«La gamba c’era – dice il corridore della Intermarché Wanty Gobert ho attaccato sull’ultima salita. Noi non sapevamo niente di quello che succedeva dietro. Zero. Io non chiedevo, ma nessuno mi diceva niente. Veramente mi dispiace, mi dispiace tantissimo.

«Non ho idea di che volata avrei fatto, però sicuramente il terzo posto era alla portata. Mi dispiace veramente, però comunque abbiamo dimostrato di essere una squadra forte e coesa. Penso che abbiamo dimostrato a tutti che quando l’Italia corre insieme è comunque forte. Dopo 7 anni di professionismo ho indossato la maglia della nazionale. Penso di avere ripagato la fiducia del cittì…».

Prima del via, Trentin era fiducioso: obiettivo podio
Prima del via, Trentin era fiducioso: obiettivo podio

Errore sul muro

Matteo Trentin arriva dopo, anche se sulla riga c’è passato prima e con le giuste maledizioni per una volata non troppo convinta. La sensazione è che quelli dietro non sapessero che ci fossero ancora in palio due medaglie, allo stesso modo in cui quelli davanti erano totalmente al buio sulla situazione della corsa alle loro spalle. Altrimenti non si sarebbero fermati così tanto.

«Purtroppo è un quinto posto che mi rode – dice l’atleta della UAE Emirates – perché ho scelto di non dare tutto sull’ultimo strappo. Ho perso la ruota di Laporte, ero con lui e col senno di poi è stata una fesseria. Ho pensato che poi c’era lo sciacquone per rientrare, invece proprio in cima i francesi hanno dato una tirata impressionante e ci hanno lasciato lì.

«Ero venuto qua almeno per vincere (ride, ndr), sicuramente per fare bene. Sapevo che le gambe erano buone e ho dimostrato che siamo ancora là. Ok, non abbiamo preso medaglia, ma abbiamo fatto capire che tutte le critiche che ci vengono mosse dalla mattina alla sera sono ingiuste. Non abbiamo il fenomeno che ha vinto, ma siamo lì».

Volata poco convinto di Trentin (in mezzo a Laporte e Matthews), che coglie il quinto posto
Volata poco convinto di Trentin (in mezzo a Laporte e Matthews), che coglie il quinto posto

Bettiol con Remco

La sbavatura c’è stata e più passa il tempo e più appare evidente. Nel gruppo con Evenepoel non dovevano entrare soltanto Conci e Rota, ma uno dei leader.

«Sapevamo che Remco avrebbe attaccato da lontano – dice Trentin – ma non pensavamo che le altre nazionali avrebbero lasciato fare in questa maniera. Uno che fa un numero del genere probabilmente lo fa uguale. Quindi non so se entrando nella fuga con lui si poteva cambiare qualcosa. Per come ho visto io la gara, l’unico che forse poteva tenerlo oggi era Alberto (Bettiol, ndr). Ovviamente la nostra tattica era differente. L’avrebbe tenuto, non l’avrebbe tenuto? Guardando com’è andato, ha fatto veramente un numero incredibile».

Alla fine arriva il momento della chiamata a casa, in attesa di rientrare in hotel
Alla fine arriva il momento della chiamata a casa, in attesa di rientrare in hotel

Volata al buio

Probabilmente l’analisi fatta successivamente con Bennati gli farà cambiare idea. Ma così, a caldo e senza essersi confrontato con gli altri, la sua posizione si può capire. Così come è credibile che in quella volata finale tanti dei valori in campo siano saltati. E’ credibile che Van Aert perda la volata da Laporte, peraltro suo gregario, sapendo di giocarsi l’argento e il bronzo?

«Non sapevo di sprintare per una medaglia – conferma Trentin – nessuno sapeva nulla. La comunicazione della corsa era veramente oscena, non sapevamo niente. C’era la lavagnetta, però vabbè, è stato così per tutti. Siamo tutti sulla stessa barca, quindi la volata è stata fatta comunque. Era difficile capire la situazione di corsa, anche perché abbiamo passato 25 corridori in 200 metri.

«Peccato per la medaglia, l’ho buttata nel… cesso. Anche Rota dice lo stesso? Allora siamo in due a pensarla così».

Quanto tricolore a Roubaix, Martinello dà i voti agli azzurri

26.10.2021
6 min
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Negli occhi abbiamo ancora i successi e le belle prestazioni dei mondiali su pista di Roubaix. Li abbiamo aperti con l’oro di Martina Fidanza e chiusi, nel vero senso della parola, con quello di capitan Elia Viviani. Una spedizione così, dieci medaglie, merita il giudizio di Silvio Martinello che di parquet se ne intende!

Silvio Martinello, Giro d'Italia
Silvio Martinello (classe 1963) è stato campione olimpico ad Atlanta 1996 nella corsa a punti
Silvio Martinello, Giro d'Italia
Silvio Martinello (classe 1963) è stato campione olimpico ad Atlanta 1996 nella corsa a punti
Silvio, dei bei mondiali per l’Italia. Sei d’accordo?

Sono i risultati di un grande lavoro. Presto anch’io sui miei canali social farò delle considerazioni sul movimento e su quello internazionale. In generale cosa posso dire alla spedizione azzurra: bravi! Ci sono le criticità nella velocità, ma lo sapevamo. E adesso vediamo il 2 novembre con le nomine dei nuovi cittì come sarà organizzato il lavoro. Ma non è tanto il nome del tecnico quando il progetto di lungo termine che c’è dietro.

Eh sì su questo settore abbiamo avuto in pratica solo Miriam Vece…

C’è un problema di reclutamento perché tanti ragazzini iniziano con i circuiti, magari vincono anche, e famiglie e squadre già pensano in grande sulla strada. Capisco che diventare dei Cipollini sia stimolante, ma nella maggior parte dei casi non va così. Bisognerebbe dare a questi ragazzi la possibilità di fare un nuovo percorso. Attuare sinergie con la Bmx, nuovi allenamenti. Ho sentito che si parla di Ivan Quaranta come tecnico di questo settore. Okay, ma se poi Ivan non ha nessuno da selezionare? Quindi molto bene nell’endurance, settore in cui ormai siamo una Nazione di riferimento, male nella velocità. Poi userei la lente giusta per il giudizio di queste medaglie: degli ori solo uno, l’inseguimento maschile, fa parte del programma olimpico.

Miriam Vice, ha chiuso il suo mondiale con il 5° posto sui 500 metri da ferma
Miriam Vece, ha chiuso il suo mondiale con il 5° posto sui 500 metri da ferma
Partiamo proprio da Miriam Vece. Che voto dai a questa ragazza?

Direi un bel sette. Lei è il caso emblematico e “vergognoso” di come non si dia il giusto supporto ad una velocista di quel livello. E’ dovuta emigrare con la “valigia di cartone”, uso questa metafora, in Svizzera al centro Uci per la sua disciplina. Ma quel centro nasce per supportare le Federazioni con poche risorse. E questa cosa la dissi nel 2018, quando Miriam fece questa scelta. Parliamo di una ragazza che è andata a medaglia l’anno scorso nei 500 metri da ferma. Un bel voto dunque per l’alto impegno e il sacrificio.

Passiamo al quartetto maschile. Voto e giudizio…

Voto dieci! Chiaro, non hanno fatto i tempi di Tokyo, ma era prevedibile. Riconfermarsi a quel livello non è semplice, anche se la concorrenza non era la stessa delle Olimpiadi. Ma loro sono stati bravissimi a tenere alta la motivazione e la voglia di sacrificarsi. Il digiuno che avevamo di questo oro durava da 24 anni e già questo basta a dare la dimensione del risultato.

Qui infatti si lavora su una bella base. Oltre ai quattro titolari di Roubaix, non vanno dimenticati. Lamon, Plebani, Moro, Scartezzini e Viviani…

Esatto. Questo è un gruppo che può segnare un’epoca e fare un bel “cappotto” fino a Parigi 2024. Possono vincere tutto perché sono affiatati e la concorrenza interna porta a tenere alti gli stimoli. Il cittì dovrà essere bravo a mantenere i rapporti con le società per far sì che gli atleti non siano troppo distratti dalla strada.

Nella madison argento per Scartezzini e Consonni. Per Martinello sono la sorpresa di Roubaix 2021
Nella madison argento per Scartezzini e Consonni. Per Martinello sono la sorpresa di Roubaix 2021
Che voto dai a Elia Viviani?

Dieci anche a lui, non può essere altrimenti. Dopo Rio 2016 ha avuto molte difficoltà ed ogni volta è stato bravo a rialzarsi. Anche il bronzo di Tokyo nell’Omnium non era facile da riconfermare. Il titolo vinto nell’Eliminazione (e il bronzo sempre nell’Omnium, ndr) è un premio ad un impegno che da parte sua non è mai mancato. Elia è un riferimento per questa squadra. Un uomo di carisma riconosciuto da tutti.

Consonni e Scartezzini, argento della madison…

Ecco, loro sono per me la vera sorpresa di questo mondiale. Un nove se lo meritano tutto, anche perché la loro è una medaglia pesante ottenuta in una specialità olimpica. E questo dimostra come una concorrenza interna leale faccia crescere e dia motivazioni. La madison è una specialità che è stata un po’ trascurata. Si è cercata, giustamente, la prestazione con il quartetto curando ogni dettaglio. Una prestazione che va bene anche per la madison, altrimenti non tieni i 57 chilometri orari di media, ma poi bisogna lavorare anche sui fondamentali tecnici che richiede. Anche qui penso ad una concorrenza e immagino tre coppie. Viviani-Bertazzo; Scartezzini-Consonni e Milan-Ganna… sarebbe bello vederli nei campionati italiani. 

Beh questa dei campionati italiani è qualcosa che Villa dice spesso…

Perché sa che è questa la direzione giusta, ma serve il supporto della Federazione. Ma quelle coppie poi si possono cambiare. Perché no un Ganna-Viviani? Ho sentito dire perché uno è alto e uno è basso. E allora io e Villa? O Wiggins e Cavendish?

Secondo Martinello questo quartetto può “fare cappotto” e vincere tutti i mondiali da qui a Parigi
Secondo Martinello questo quartetto può “fare cappotto” e vincere tutti i mondiali da qui a Parigi
Andiamo avanti: Jonathan Milan…

Voto nove per il suo argento nell’inseguimento individuale. Lui è il vero valore aggiunto di questo quartetto e lo si è visto proprio nell’individuale. Per me ha margini di miglioramento. Si vede da come guida che è da “poco” che sta in pista. A volte “sbanda” un po’. Spero che la strada non lo distragga troppo.

Filippo Ganna?

Nove anche a lui, sia per questo mondiale che per la stagione. Ha avuto quel passaggio a vuoto in qualificazione che non ho ben capito, ma questo ci ha mostrato i limiti del format di questa specialità da quando non è più olimpica. Questo minitorneo così com’è non mi dice nulla. Con le finale già prescritte. Innanzitutto io ripoterei le distanze a 5 chilometri per gli uomini e a 4 per le donne, perché ormai si può fare, vista la crescita generale del movimento. E poi farei delle qualificazioni, semifinali e finali, distanziate di un giorno. Con la classifica a seconda dei tempi. Così tu hai i veri valori in campo.

Il quartetto femminile, in finale composto da Balsamo, Alzini, Consonni e Fidanza, ha conquistato la medaglia d’argento
Il quartetto femminile, in finale composto da Balsamo, Alzini, Consonni e Fidanza, ha conquistato la medaglia d’argento
Passiamo alle donne e partiamo con la Fidanza…

Dieci! Prova esemplare nello scratch che è la gara di situazione per eccellenza. Martina ha sfruttato bene una situazione e ha fatto in quel momento l’unica cosa che poteva fare: tirare al massimo. Le avversarie l’hanno un po’ sottovalutata, ma lei ha fatto vedere grandi cose già da juniores.

Letizia Paternoster…

Idem: voto dieci. L’eliminazione è fatta apposta per le sue caratteristiche di atleta scaltra, potente, che sa risparmiare energie… E’ la Viviani al femminile. E poi non dimentichiamo che è giovanissima.

Elisa Balsamo…

Lei mi piace moltissimo. Ad Elisa do un nove. Se lo merita. Non era facile per lei ritrovare il feeling dopo la brutta caduta di Tokyo con questa specialità, l’Omnium. Aveva paura. Ha fatto una grande stagione. Il titolo su strada le ha dato grande importanza.

Manca una sola medaglia all’appello: il quartetto femminile…

Nove. Di fronte alla Germania che ha vinto tutto avevano ben poco da fare. Loro hanno ottenuto il massimo per quel che potevano.

Un Alaphilippe gigante per il bis: «Non sarò mai un robot»

26.09.2021
5 min
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Il primo scatto per provare le gambe e guardarli un po’ negli occhi. Il secondo per andare via. Alaphilippe sembra stordito, di sicuro è stanco, ma ha vinto il mondiale per il secondo anno di fila. Per questa edizione, il protocollo ha subito un rimescolamento diabolico. Il tre del podio hanno ricevuto per la prima volta maglia e medaglie sul palco piccolo dopo l’arrivo. Poi sono stati portati in auto nella Ladeuzeplein, la piazza in cui si trovava il podio grande. E da qui, esaurito il secondo ciclo di premiazioni, sono tornati alla zona mista per rispondere alle domande delle televisioni. Solo dopo sono arrivati alla conferenza stampa, avendo ancora da fare il controllo antidoping. Forse per questo quando Alaphilippe ha salutato i giornalisti, ha augurato a tutti un buon Natale…

Il primo attacco di Alaphilippe per saggiare i rivali, poi a testa bassa fino al traguardo
Il primo attacco di Alaphilippe per saggiare i rivali, poi a testa bassa fino al traguardo

Un anno faticoso

Non è stato un anno facile per lui. Quel modo spavaldo di correre, con la maglia iridata addosso si è in breve trasformato in un tiro al bersaglio. Ogni cosa è diventata più complicata. Anche perché il primo anno normale dopo quello del Covid di normale ha avuto ben poco.

«L’anno scorso ero pronto per vincere – dice – il mondiale era il mio obiettivo più grande dopo il Tour. E’ stato bello riuscirci. L’anno da campione del mondo è stato bellissimo, ma essere all’altezza della maglia è stato molto faticoso. Ho appena saputo che nessun francese l’ha mai vinta per due volte di seguito, potrò raccontarlo a mio figlio. In realtà ero rassegnato a riconsegnarla e mi sono detto che fosse il momento di concentrarsi su qualcosa di diverso

«Poi sono venuto qui. Il percorso non era adatto, ma la forma era giusta. Ho lavorato duro per essere pronto. Abbiamo fatto una bella corsa con la squadra. Senechal era concentrato sullo sprint. Io ero libero, se mi fossi sentito bene, di fare la mia corsa. Così ho deciso di attaccare. Non immaginavo che sarei arrivato da solo e di fare più di un giro al comando. E’ stata dura, ma me la sono goduta di più».

Finale duro e doloroso

Il primo scatto per provare le gambe e guardarli un po’ negli occhi. Il secondo per andare via. Dice Cassani che gli è sembrato di vedere il miglior Bettini, capace di fare 3-4 scatti prima di mollarli tutti.

«Quando mi sono trovato con Colbrelli – conferma – volevo provare le gambe, per vedere chi c’era. Ho visto che Sonny era forte, ma anche che il Belgio aveva ancora due o tre corridori. Non era necessario continuare, perché ero ancora lontano dal traguardo. Poi mi sono reso conto che Evenepoel era il solo a lavorare duro sul circuito di Overijse e ho cominciato a chiedermi come mai nessuno lo aiutasse. Vuoi vedere che Van Aert non sta bene? Ho detto però a Senechal di salvare le energie e di concentrarsi sullo sprint. E’ stato utile per me avere Florian dietro. Ognuno era concentrato sulla sua corsa. Tutti sapevano che Van Aert era uno dei più veloci e dei più forti, ma anche Colbrelli e Van der Poel facevano paura. Non ero concentrato su uno solo, ma ho provato a fare la differenza. Ho smesso di pensare e sono andato a tutta. Gli ultimi 20 chilometri sono stati davvero duri e dolorosi».

Alaphilippe sul podio con Van Baarle e Valgren: il danese ha preceduto Stuyven. Belgi beffati
Alaphilippe sul podio con Van Baarle e Valgren: il danese ha preceduto Stuyven. Belgi beffati

Con cuore e fantasia

Le domande si succedono e lui un paio di volte svia il discorso. Come quando gli chiedono che cosa significherà correre il prossimo anno ancora da iridato e lui risponde che non lo sa. 

«Ragazzi – spiega – io quasi non mi rendo conto di essere davanti a voi con questa maglia. Ho bisogno di tempo, è un’emozione speciale. C’era grande tifo oggi. E’ stato bello vedere tanta gente, anche se nell’ultimo giro tanti belgi mi dicevano di rallentare. A uno ho fatto cenno che non potevo, ma li capisco. In ogni caso mi hanno dato grande motivazioni. In qualche modo sono un po’ belga anche io, la mia squadra è belga e fra agosto e settembre sono venuto a correre qui. E’ stato importante, come quando fai le ricognizioni delle tappe. Capisci dove correrai e io ero pronto per queste strade. Abbiamo avuto un grande spirito. L’ho visto sulle facce dei miei compagni dopo l’arrivo, che erano più felici di me.

«Ora però ho bisogno di tempo per capire e dire cosa farò. Se mi conoscete, sapete che spreco molte energie quando corro. Ma quando hai questa maglia, tutti ti guardano, tutti ti distruggono perché devi vincere. Io sono sempre lo stesso corridore dal 2014, provo sempre lo stesso piacere nel correre e per me è importante rimanere così. Non voglio diventare un robot, voglio continuare con questa grinta, sempre provare a vincere con il cuore e farlo con la maglia iridata sarà anche più bello. Buonasera a tutti, amici. E buon Natale…».

Mondiale compromesso dalla maledetta caduta

26.09.2021
5 min
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Il tempo di capire che i due per terra fossero Trentin e Ballerini e si è capito che stavolta sul mondiale degli azzurri avrebbe brillato una stella nera come la pece. Nella corsa impazzita voluta dai francesi e dai belgi, con la prima ora a 46,6 di media e quella finale di 45,137, trovarsi senza due uomini di quel peso poteva significare essere scoperti quando i fuochi di artificio avessero lasciato spazio ai colpi di cannone. E così è stato.

«Sono dispiaciuto per il risultato perché stavo bene – dice Sonny Colbrelli La caduta all’inizio si è fatta sentire nel finale, perché sicuramente Trentin e Ballerini potevano essere lì con me e quando Alaphilippe e gli altri sono partiti, potevano entrare loro. Io avevo Bagioli e Nizzolo, però avevano già lavorato prima. Nizzolo ha detto che lavorava per me perché non aveva grandissime sensazioni. Ho provato sul primo strappo a seguire Alaphilippe, però ho visto che dietro tirava sempre il Belgio. Allora ho fatto la corsa su Van Aert, invece sono andati via quelli lì e cosa ci posso fare? O guardo l’uno o guardo l’altro ed è andata così…».

Duro lavoro per Bagioli, alla fine tradito dai crampi
Duro lavoro per Bagioli, alla fine tradito dai crampi

Fregato da Van Aert

Colbrelli dice tutto d’un fiato, con il berretto calato sugli occhi, dopo aver regalato la maglia azzurra a un tifoso che l’ha subito passata a sua figlia. Lei l’ha indossata immediatamente, mentre Sonny diceva che avrebbero dovuto lavarla, perché era la maglia con cui aveva appena finito la corsa.

«Avevo già chiuso su Alaphilippe – prosegue – ma non sapevo se scattava perché non ne aveva o perché voleva anticipare. Ma visto il numero che ha fatto, ha spazzato via ogni dubbio. Avevo sensazioni buone, ero sempre davanti quando la corsa si è accesa. Ho chiuso anche io su un paio di buchi ed è stata grande la squadra a chiudere sulla prima fuga. Ma non possiamo tornare indietro. La vigilia è stata super tranquilla, ero sereno. Ero più teso all’europeo, qui siamo stati tutti insieme a ridere e scherzare. Questo gruppo è anche la nostra forza».

Trentin dolorante e deluso, si consola con i figli
Trentin dolorante e deluso, si consola con i figli

Trentin acciaccato

Nella zona dei pullman si smantellano sogni e ammiraglie. Non si dovrebbe entrare, ma grazie al cielo siamo riusciti a passare e a parlare con i corridori. Claudia e i bimbi, aspettano Trentin, che ha le movenze di un eroe azzoppato, anche se la sensazione è che a far male sia soprattutto il morale. Dice di aver picchiato parecchio forte, poi fa spallucce e va a sedersi su di un frigo.

«Non riuscivo a pedalare – ammette – per questo ho tirato. Mi faceva un male cane, ma alla fine la fuga l’abbiamo ripresa. Non ci voleva. Il mio mondiale è andato così».

Nizzolo sfinito, si è messo a disposizione di Colbrelli nel finale
Nizzolo sfinito, si è messo a disposizione di Colbrelli nel finale

Il lavorone di Remco

Bagioli e i suoi 22 anni hanno tenuto tra i denti la ruota di Evenepoel lungo i tanti chilometri di fuga, senza sapere che alle loro spalle si stavano avvicinando vanamente minacciosi gli altri corridori del Belgio.

«Il mio lavoro era più o meno quello – racconta Andrea – anche perché i nostri piani sono stati scombussolati e abbiamo dovuto reinventarci la corsa. Prima del giro grande ho visto che Madouas ha provato ad attaccare e l’ho seguito. Poi è arrivato Remco ed eravamo un bel gruppetto. Ho provato io sullo strappo e siamo rimasti in 4-5.

«Successivamente è rientrato il gruppo dei migliori e Remco ha fatto un grande lavoro. Non credo che prima sapesse che dietro c’erano i belgi. Senza radio è difficile da capire la situazione. Dal circuito grande fino in città, ha tirato lui. Io ero in seconda posizione e faticavo a stargli a ruota. Poi mi sono venuti i crampi e addio…».

Nel finale del mondiale Colbrelli ha corso su Van Aert e la corsa è andata via
Nel finale del mondiale Colbrelli ha corso su Van Aert e la corsa è andata via

L’uomo mancante

E poi c’è Cassani, che avrebbe immaginato e meritato un finale diverso, mentre il presidente Dagnoni rimanda tutti i discorsi all’incontro che avranno mercoledì al Vigorelli e ribadisce che non si sarebbe mai sognato di augurare ai nostri una prestazione scialba per poter legittimare l’allontanamento del cittì.

«La sfortuna è stata grande – dice Davide – perché abbiamo perso presto Ballerini e Trentin, che ci sono mancati nel finale. Tra l’altro sono caduti proprio nel settore di gara in cui è andata via l’azione e per fortuna siamo riusciti a rimediare. Anzi, ci sono riusciti loro due. Perché stavano male, non riuscivano a pedalare, ma si sono messi a disposizione e ci hanno permesso di riaprire la corsa. Su 17 uomini in testa, tre erano i nostri. Abbiamo cercato di fare il massimo, ma Alaphilippe è stato incredibile. Niente da dire, oggi ha vinto il più forte».

Cassani ha chiuso con i brividi il suo ultimo mondiale: «Non ho rimpianti, a parte la sfortuna»
Cassani ha chiuso con i brividi il suo ultimo mondiale: «Non ho rimpianti, a parte la sfortuna»

I brividi di Nizzolo

Il dubbio resta sulla corsa del Belgio, che ha incastrato Colbrelli e forse ha costretto il gruppo ad attendere l’attacco di Van Aert che in realtà non aveva le gambe per farlo.

«Abbiamo subito visto che Evenepoel – riprende Cassani – si era messo a disposizione e ha tirato fortissimo. Alla fine Sonny ha tergiversato un pochino, ha perso l’attimo o forse ha cercato di dare un’occhiata a Van Aert e Van der Poel. Loro avevano due uomini, a noi ne è mancato uno nel finale, nonostante Nizzolo sia stato grande, si sia sacrificato e abbia cercato di rimediare».

«Non ho rimpianti, se non maledire la sfortuna. Senza la caduta, invece di tre uomini davanti, ne avremmo avuti cinque e forse la corsa poteva avere una piega diversa. Con i se ed i ma non si fa niente, per cui onore ad Alaphilippe. E’ sembrato di vedere il miglior Bettini, in grado di fare due, tre, quattro scatti. Sapevamo che era forte. Sabato prima della corsa ha fatto 60 chilometri, aveva puntato deciso a questo mondiale. Quanto a me… Me ne vado con la pelle d’oca. Finire la mia avventura qui a Leuven, dove c’erano migliaia di persone è stato comunque speciale. Si parla di un milione e mezzo di persone? Li abbiamo sentiti tutti. Pensate che Giacomo Nizzolo mi ha detto grazie di averlo portato qui, perché oggi anche in corsa ha avuto anche lui i brividi».

Azzurri magistrali. L’oro degli under 23 è arrivato così…

25.09.2021
6 min
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Semplicemente magistrali. Perfetti. Gli azzurri di Marino Amadori hanno corso il mondiale U23 senza errori. Non solo per la vittoria di Baroncini. Sono stati sempre attenti. Sempre nelle prime posizioni. Davanti nei momenti cruciali. Hanno corso… bene. Hanno rispettato le consegne del cittì e i fondamentali di questo sport. Compattezza, umiltà, cattiveria agonistica, lucidità, forza, acume tattico.

Ci sono due fotogrammi simbolo, a nostro avviso.

Il primo. A 20 chilometri spaccati dal termine, quando davanti c’era ancora Luca Colnaghi, gli azzurri si spostano su un lato della strada e confabulano qualcosa. In quel momento la corsa non è nel vivo: di più! C’è tensione, adrenalina, tanto più che si pedala nel circuito cittadino.

Il secondo. All’imbocco dello strappo in cui è scattato “Baro”, ben quattro azzurri piombano davanti per prenderlo in testa. Il gruppo era allungato. Era il momento X. E loro c’erano. A quel punto la sensazione che stesse per accadere qualcosa di grande era forte. Ci sono venute in mente le parole di Filippo della vigilia («Lo strappo ai -6 può essere decisivo») e il finale della Coppa Sabatini in cui ha mostrato una super condizione. Sarebbe partito: sicuro.

Marino Amadori con Filippo Zana. Dopo alcune fasi in cui è rimasto composto, finalmente anche il cittì si è lasciato andare ai sorrisi
Marino Amadori con Filippo Zana. Dopo alcune fasi in cui è rimasto composto, finalmente anche lui si è lasciato andare

Capitan Zana

A richiamare tutti sull’attenti è stato Filippo Zana, che dal cittì ha ricevuto le chiavi della squadra. Negli ultimi tre chilometri ha chiuso persino sulle mosche.

«Diciamo di sì dai – ammette col sorriso il corridore della Bardiani Csf Faizanè – la cosa più importante è aver portato a casa la vittoria. A volte mi sono un po’ arrabbiato. Però penso sia servito a spronare i ragazzi e a riportare l’attenzione giusta. Perché? Perché certe volte eravamo un po’ in ritardo su alcune azioni. Si poteva fare meno fatica.

«Se poi si hanno le gambe e tutti hanno le gambe è più facile. Abbiamo corso da squadra e sono davvero contento: per la maglia, per noi, per Amadori, per “Baro” che è davvero un bravo ragazzo».

Parola Colnaghi e Coati

Una grossa fetta di questo successo spetta poi a Luca Colnaghi. Luca è entrato in un attacco che per lunghi tratti poteva anche essere buono. 

«A me piace aspettare le volate – dice Luca Colnaghi – ma mi sono ritrovato in questo gruppetto. Quando sto bene seguo l’istinto e l’istinto mi ha detto di provarci. E’ stato il punto chiave della corsa credo, perché così ho potuto dare il mio contributo e la squadra si è potuta risparmiare un po’». 

Qualche istante dopo ecco che in zona mista sfila dietro di lui l’altro Luca, Coati. Lui è il più pacato e forse tra i più freschi in volto degli azzurri.

«Siamo partiti con un solo obiettivo – dice il corridore della Qhubeka Continental – vincere. E ce l’abbiamo fatta. All’inizio pensavo venisse fuori una corsa un po’ più dura nel giro grande. Ma non è stato così, poi Colnaghi è entrato nella fuga e ci ha permesso di stare sulle ruote. Il resto… lo ha fatto Filippo!».

Michele Gazzoli, soddisfatto, parla con i preparatori del Centro Mapei, Matteo Azzolini (a sinistra) e Andrea Morelli (al centro)
Michele Gazzoli, soddisfatto, parla con i preparatori del Centro Mapei, Matteo Azzolini e Andrea Morelli

Gazzoli l’altra cartuccia

Dopo essere scesi dal palco, in quanto anche vincitori della Coppa delle Nazioni, man mano gli azzurri arrivano ai nostri microfoni. Ormai la folla si è dileguata e il cielo inizia ad farsi scuro su Leuven. Non per noi italiani, non per gli azzurri. 

«Oggi abbiamo dimostrato chi è la nazionale italiana U23 – dice Michele GazzoliE’ tutto l’anno che corriamo da padroni e infatti abbiamo vinto la Coppa della Nazioni e questo è frutto di un grande lavoro di squadra. Abbiamo dato un grande spettacolo. Cosa ci ha detto Marino prima del via? Di essere una squadra. Sapevamo cosa dovevamo fare: vincere! C’era solo una soluzione. Sapevamo quali erano i punti importanti. Sapevamo come muoverci e con chi muoverci. E sapevamo che Baro sarebbe partito lì. Io mi dovevo tenere pronto eventualmente per la volata finale.

«Ho mancato il podio per 50 metri. Sono partito un po’ troppo presto, ma va bene così. L’importante è aver preso la maglia». 

Marco Frigo in azione. Lui divideva la stanza con Baroncini e da un mese in pratica “vivevano” insieme
Marco Frigo in azione. Lui divideva la stanza con Baroncini e da un mese in pratica “vivevano” insieme

Frigo: amico prezioso

Infine, lo abbiamo tenuto per ultimo, anche se è stato tra i primi con cui abbiamo parlato, c’è Marco Frigo. Marco è stato colui che ha fatto le veci del cittì quest’inverno quando è venuto a provare il percorso su richiesta di Amadori. E’ stato compagno di stanza di Baroncini e vero uomo squadra in corsa: attento, generoso… Spesso Marco resta nell’ombra, ma ieri soprattutto è stato un grandissimo.

«Su un percorso così l’esperienza alla Seg (squadra olandese in cui milita, ndr) si è fatta sentire – racconta Marco – e l’ho messa a disposizione dei miei compagni. Perché su un tracciato del genere è importante non solo risparmiare energie fisiche, ma anche mentali. Già nel trasferimento e nella prima parte di gara ci sono state tante cadute. Per questo stare davanti è stato fondamentale. E si è visto. Baroncini nel finale è stato palesemente il più fresco ed è riuscito a concretizzare. E un ulteriore riprova è il risultato in volata degli altri (senza sprinter, ndr): segno che abbiamo corso bene».

«Vero io sono in camera con lui – riprende Frigo – Ma non solo qui. E’ dall’Avenir praticamente che siamo insieme. Che dire: è un ragazzo davvero bravo. Se la merita. In camera era un paio di giorni che parlava di questa azione. Mi diceva sempre: quello è il punto giusto. Poi stamattina (ieri per chi legge, ndr) abbiamo guardato la gara degli juniores insieme e lì è dove ha attaccato il norvegese. Quindi è come se avesse avuto la prova che quel che diceva fosse giusto. Era la mossa da fare. In questi giorni abbiamo anche riguardato le corse che passavano da queste parti per vedere come prendevano i muri.

«Come l’ho tenuto tranquillo? Filippo è tranquillo di suo! Una cosa che mi piace di lui è che crede tanto in sé stesso. Era convinto che se avesse attaccato lì sarebbe andato all’arrivo. E ha avuto ragione».