Che cosa significa per una squadra, la Deceuninck-Quick Step in questo caso, aver avuto in casa il campione del mondo? E che cosa significa averlo di nuovo? In questo mondo fuori dal mondo, in cui i team non percepiscono diritti televisivi o ricavi da biglietti e gli sponsor investono cifre importanti senza alcun ritorno certificabile, fare un tuffo nel marketing di una squadra può offrire spunti nuovi. E se il responsabile di queste strategie è per giunta un amico, Alessandro Tegner, conosciuto vent’anni fa quando curava la comunicazione della Mapei e ora titolare anche di AT Communication, il viaggio finisce col trasformarsi in una lunga immersione.
«Quando hai il campione del mondo – dice Tegner, in apertura con Davide Bramati – la percezione della squadra è diversa, perché quella maglia catalizza l’attenzione. In più Julian (Alaphilippe, ndr) è un generoso e questo piace alla gente. Ma è anche un campione che deve restare concentrato, per cui cerchiamo di stressarlo il meno possibile. Pochi eventi, tre cose importanti all’anno perché possa fare bene il suo lavoro. E tutto intorno c’è invece il nostro…».
Ecco, bravo… Che lavoro fai?
Bella domanda, me lo chiedo anche io. Tanto marketing, supervisione della comunicazione e relazione con gli sponsor. E’ tutto interconnesso. I partner sono interessati alle attivazioni possibili, per cui si cerca di creare contatto fra lo sponsor e l’attività di marketing. Poi c’è Wolfpack, che è iniziato come una cosa fra noi e invece sta diventano un marchio che ci rende riconoscibili.
In Belgio il ciclismo è super popolare. E’ anche ambito dalle aziende?
Le aziende scelgono e usano la squadra per le loro campagne. Ma alle spalle, c’è un lavoro di preparazione da parte nostra perché la squadra possa diventare un traino per chi ci investe. C’è un marketing rivolto agli sponsor con asset realizzati su misura e poi c’è il marketing della squadra.
Ti ha aiutato aver lavorato prima a contatto con la stampa?
Quelli della mia età nelle squadre hanno acquisito un’infarinatura totale. Abbiamo vissuto il passaggio da analogico a digitale e la trasformazione dei team in aziende. Dal 2006 al 2014 seguivo anche le pubbliche relazioni per gli sponsor alle corse, creando campagne per valorizzare la squadra. Così ho capito come funzionava il meccansimo.
Ti intendi bene con Patrick Lefevere?
Come tutti i leader di carisma, lascia molta autonomia, ma in cambio ovviamente pretende risultati. Ci sentiamo quotidianamente. Quando arrivai in questo gruppo con Bettini, Guercilena, Bramati e pochi altri, non scommettevo che sarei durato sei mesi. Era una sfida. Invece fra poco festeggerò i 20 anni. L’esperienza Mapei e quegli anni di sperimentazione di come si potesse inquadrare una squadra come un’azienda, si sono rivelati preziosissimi.
E intanto hai persino imparato a parlare il fiammingo…
Mi piacciono le lingue. In squadra usiamo l’inglese, perché Patrick ha sempre voluto mantenere un tasso di internazionalità. Con lui parlo sempre in italiano. Ma capire una conversazione in fiammingo, con il meccanico o con lo sponsor, è un modo importante per entrare nel loro tessuto sociale. Creare sintonie e sinergie è da sempre il mio credo.
Belgio e Italia.
Belgio e Veneto. Trovo affinità fra le due culture del lavoro. Il tessuto economico della Silicon Valley del Belgio – fra Gand, Courtrai e Bruges – fa pensare a quello dell’area di Conegliano e Montebelluna, dove vivo. Dove la cultura del lavoro è ancora importante.
Torniamo al campione del mondo.
Quest’anno ha vinto quattro corse. Una tappa alla Tirreno. La Freccia Vallone. La prima tappa del Tour con la maglia gialla. Il mondiale. Però si piazzato anche 14 volte nei primi cinque. Lo abbiamo lasciato correre libero, sapendo quanto pesi quella maglia e l’anno prossimo sarà lo stesso. Gli sponsor capiscono. Faremo le nostre sessioni di foto a gennaio e febbraio e poi lo lasceremo in pace.
Basta davvero così?
Cerchiamo di razionalizzare la promozione che lo riguarda. In più, tolti gli spazi fissi, gli chiediamo delle finestre in cui poter eventualmente fare qualcosa. A dicembre si fanno i programmi delle corse e quelli delle attività collaterali. Dopo la Liegi ad esempio facemmo due attività di marketing importantissime con Lidl e a casa di Julian con installazioni dei nostri sponsor. E poi altre due durante l’anno.
Julian si presta sempre?
Lui è come lo vedete. E’ così legato a questa squadra, che quando tagliò il traguardo della tappa del Tour, andò da Patrick e gli chiese se fosse contento.
La squadra ha lasciato andare parecchi corridori allettati da offerte superiori. C’è mai stato il rischio di perdere Alaphilippe?
Nel ciclismo di oggi, chi ha Pogacar, Roglic, Van der Poel, Van Aert e Alaphilippe difficilmente se li lascia scappare. Lui in più è anche personaggio, sa coinvolgere, viene facile tenerselo legato. E’ una grande ispirazione per gli sponsor, non si scelgono i corridori solo per il numero delle vittorie. Ha con tutti noi e con lo stesso Lefevere un rapporto bellissimo.
Hai la tua agenzia, sei un pezzo importante della squadra, cosa manca ad Alessandro Tegner?
Se devo dirvi la verità, mi manca il rapporto coi giornalisti, che negli anni mi ha permesso di avere con alcuni di loro delle relazioni umane importanti. Ma faccio un lavoro bellissimo. Sono fiero della mia AT Communication e dei miei collaboratori. Ci vediamo sabato al Lombardia. La stagione non è ancora finita e già quasi si pensa a come ricominciare.