Vanotti e il “suo” Stelvio: tra gioia e fatica per quasi 20 anni

08.09.2024
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PASSO DELLO STELVIO – Durante il fine settimana dell’Enjoy Stelvio Valtellina, che ancora una volta ha richiamato numeri da record sulle rampe del passo più famoso e noto tra i ciclisti e cicloturisti, c’era anche Alessandro Vanotti. L’ex corridore professionista ha pedalato insieme agli ospiti di Merida sulle strade che tante volte lo hanno visto faticare, allenarsi, gioire e anche soffrire. Nei suoi anni da corridore Vanotti ha scalato lo Stelvio moltissime volte e tornare qui dopo diverso tempo è un modo per riviverle, scorrendo velocemente tra i ricordi. 

«Tornare sullo Stelvio – racconta Vanotti mentre intorno a noi i ciclisti continuano a salire e scendere – è bellissimo perché nella mia carriera ho vissuto tanti momenti particolari e unici. Devo dire che la prima volta che l’ho affrontato in corsa non è stato facile, non ne ho un bel ricordo. Era il Giro d’Italia 2005, si saliva dalla parte trentina, quindi da Prato e quel giorno non stavo bene. L’arrivo era posto a Livigno, quindi una volta scesi a Bormio c’era da risalire anche il Foscagno.

«Sono andato in crisi e superare i 20 chilometri dello Stelvio non è stato facile. Ti mette a dura prova e se ne esci in qualche modo vuol dire che sei stato bravo, così come tutte le salite che hanno un tempo di scalata superiore all’ora. Poi chi sta sotto l’ora è ancora più forte degli altri e questo divide il ciclista normale dal campione». 

Vanotti (in maglia blu) ha scalato lo Stelvio lo scorso 31 agosto in occasione dell’Enjoy Stelvio Valtellina (foto Merida)
Vanotti (in maglia blu) ha scalato lo Stelvio lo scorso 31 agosto in occasione dell’Enjoy Stelvio Valtellina (foto Merida)

A dura prova

Girare l’ultimo tornante e vedere la cima è una sensazione che chi pedala su queste strade si porta dentro. Sapere di aver domato un gigante del ciclismo mondiale è una sensazione unica. Farlo da professionista, mettendo l’agonismo, la sofferenza e la gioia è una cosa che in pochi hanno provato. Tra questi pochi c’è proprio Alessandro Vanotti.

«Quando scollini il fascino è incredibile – continua – è la salita con l’altitudine maggiore in Italia, la seconda in Europa. E’ esigente, non ha pendenze come il Mortirolo o lo Zoncolan, ma la sua altezza spaventa tutti. Devi essere molto concentrato, coordinarti con la respirazione e il ritmo di pedalata. Se non stai bene devi comunque superare i tuoi limiti, questa è la particolarità dello Stelvio, non puoi nasconderti mai. Poi dipende tanto dal ruolo che hai in squadra, se devi tirare per tutta la scalata o meno». 

La quota di 2.000 metri arriva presto, ma la scalata è ancora lunga (foto Merida)
La quota di 2.000 metri arriva presto, ma la scalata è ancora lunga (foto Merida)
Tu hai mai avuto questo arduo compito?

Qui no, per fortuna (ride, ndr) perché è forse impossibile riuscire a farlo tutto in testa a ritmi elevati. Mi è capitato su altre salite, ma in confronto erano meno esigenti. 

Di quel giorno di crisi cosa ricordi?

La cima non arriva mai, quindi sei lì che giri le gambe e ti sembra di non andare avanti. E’ difficile da metabolizzare quella giornata, anche in base al fatto che dopo si doveva comunque salire fino a Livigno. Lo Stelvio ti mette a dura prova ma ti insegna a superarti, a dare sempre qualcosa in più. Una caratteristica che noi ciclisti conosciamo bene e che ci portiamo dentro. E’ una sensazione fantastica che puoi insegnare agli altri. 

Al bivio per l’Umbrail gli ultimi 3 interminabili chilometri diventano ancora più difficili se il vento è contrario
Al bivio per l’Umbrail gli ultimi 3 interminabili chilometri diventano ancora più difficili se il vento è contrario
Hai aneddoti anche della scalata dalla parte di Bormio?

Sono ricordi fantastici, quando c’è bel tempo. Altrimenti diventa una difficoltà maggiore. Da Bormio l’ho scalato tante volte anche di recente, sia per la Gran Fondo Stelvio Santini che per eventi come questo di Merida. Mi piace ogni tanto testarmi ancora, alzarmi sui pedali e riprovare le sensazioni che vivevo da corridore. 

C’è un tratto che ogni volta ti colpisce per una sua caratteristica?

Quando superi quota 2.000 metri e sei ancora lontano dalla cima, visto che mancano una decina di chilometri. In quel momento ti rendi conto quanto sia importante concentrarsi, respirare e pensare metro dopo metro. Poi arrivi al bivio per l’Umbrail e lì sono dolori.

Arrivare in cima è sempre una soddisfazione immensa
Arrivare in cima è sempre una soddisfazione immensa
Perché?

Sono gli ultimi tre chilometri, nei quali se stai bene te la godi, altrimenti è un calvario senza fine. Vedi le strutture in cima e pensi di essere vicino ma non è veramente così. Molto dipende anche dal vento, quando è contrario non vai più su. Però ora ci sono bici con rapporti che agevolano la pedalata e rendono la scalata meno dura. 

In quel giorno del 2005 non avevi i rapporti per salvare la gamba…

No no (ride, ndr), era il mio primo anno da professionista. Nelle stagioni precedenti correvo con il 39 come corona più piccola davanti e il 23 al posteriore. Poi si è passati al 26 e al 28 e sembrava una nuova era del ciclismo. 

Lo Stelvio è stato un ottima palestra per costruire i tanti successi dell’Astana
Lo Stelvio è stato un ottima palestra per costruire i tanti successi dell’Astana
Lo hai fatto anche in ritiro quando correvi?

Se si alloggiava a Livigno era una tappa praticamente fissa degli allenamenti. Ma in quei casi si affronta diversamente. Intanto arrivi da un percorso di gare precedenti e il ritiro in altura era l’ultimo step prima di un Grande Giro. Noi avevamo Nibali in squadra e il blocco di lavoro era pensato per vincere. 

In che senso?

I volumi di lavoro erano diversi per ognuno di noi, io che ero gregario facevo tanto volume. Dovevo tirare 20 giorni di fila. Però ogni tanto mi toccava anche qualche cambio di ritmo perché io ero l’uomo che doveva essere sempre pronto. Nibali era straordinario come capitano e con lui c’era Scarponi, un uomo fantastico. In ritiro si lavorava ma c’era il tempo di ridere e di stemperare la tensione. 

I ricordi di questa salita sono davvero tanti e diversi, il più bello?

Proprio i ritiri. Ogni tanto partiva qualche garetta interna proprio contro Nibali e Scarponi, ma in discesa (ride ancora, ndr). Tutto nel rispetto della strada. In salita ognuno di noi doveva rispettare i propri valori, anche se qualche volta uno scattino veniva fuori. Poi con Scarponi si rideva tanto. Mentre tiravo diceva a Nibali: «Come si sta bene a ruota del “Vano”? Lui tira tutto il giorno e noi stiamo qui tranquilli». Sono stati anni bellissimi, in cui abbiamo vinto ma fatto tutto con il sorriso. 

Le “Nibalate tecniche”. Tosello racconta…

30.10.2022
6 min
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Lubrificanti, pedivelle, ruote, movimenti centrali… pezzi che vanno e che vengono. Che si montano e si smontano. Pezzi che Vincenzo Nibali portava a Gabriele Tosello, il suo meccanico per tanti anni all’Astana.

Fa strano sapere che lo Squalo non sarà in gruppo e per questo ci fa ancora più piacere ritornare sulle storie, anche divertenti, che lo riguardano. E sì perché nella ricostruzione delle “Nibalate tecniche”, passateci questo termine, c’è anche da ridere. Chiaramente non mancano momenti seri.

Gabriele Tosello fotografa il suo pupillo. E’ stato il meccanico di Nibali per tutti gli anni in cui lo Squalo è stato all’Astana
Gabriele Tosello è stato il meccanico di Nibali per tutti gli anni in cui lo Squalo è stato all’Astana
Gabriele, tanti anni con Nibali. Alla fine sei tu il “suo” meccanico. Quanto ti ha fatto impazzire?

No, dai… non sono impazzito! Richieste strane ne ha sempre fatte. Lui è maniacale, pignolo e anche un ottimo meccanico. Gli piaceva trafficare. Quante volte ha portato dei pezzi che non erano nostri. Andava sempre alla ricerca di nuovi componenti, di ricambi… Voleva provarli anche solo per curiosità. Anche quando sapeva che non andavano bene. Come quella volta con le corone ovali.

Corone ovali, racconta…

Eravamo al Passo San Pellegrino. In quegli anni Froome era forte e le usava, così le volle provare. Gli sistemai il deragliatore alzandolo un po’ e aggiungendo uno spessore affinché cambiasse bene. Era un set 54-42 con le pedivelle da 172,5 millimetri. Settimane a parlarne e dopo quell’allenamento non le usò più.

Pedivelle: mi sa che vi ha dato da fare con questo componente…

Una volta accadde una cosa un po’ “strana”. Si parlava di pedivelle messe in modo non perfettamente opposte, cioè non a 180° ma leggermente disassate, asimmetriche. Si diceva per eliminare il tempo morto. Noi all’epoca avevamo Campagnolo, che nel movimento centrale aveva i “dentini” per serrare le pedivelle. Con Slongo, si decise di spostarle… senza dirgli nulla. Lui salì in bici e dopo 20 metri mi disse: «Se lo fai ancora ti licenzio!». Scherzava, ovviamente, ma se ne accorse in un attimo.

La guarnitura Campagnolo Ultra Torque. Slongo e Tosello misero i dentini delle pedivelle affinché non fossero asimmetriche
La guarnitura Campagnolo Ultra Torque. Slongo e Tosello misero i dentini delle pedivelle affinché non fossero asimmetriche
Che poi il discorso delle pedivelle non fu isolato. Giusto?

Giusto, ci fu il periodo in cui si diceva che quelle più lunghe migliorassero la resa.

E tu e Slongo gliele cambiaste…

Io ho fatto il lavoro manuale, fu Slongo a decidere! Così eliminammo la scritta 172,5 millimetri e senza dirgli niente le provò. Fece i test, gli allenamenti… lui non disse nulla. Ma non sentì quei benefici. Poi venne fuori questa storia e fu montato un caso, ma stavamo facendo solo delle prove.

Del Nibali meccanico invece cosa ci dici? E’ mai capitato che venisse a lavorare con te?

Ah, quasi sempre! Quando finiva con Pallini passava dal lettino dei massaggi al motorhome dei meccanici. E così veniva là, curiosava. «Ma questo fallo così. Questo fallo in questo modo…». Alla fine gli dicevo: «Fallo te, che tanto sei bravo». E allora prendeva le chiavi e faceva il lavoro manuale, che poi gli piaceva ed era bravo per davvero. Una precisione eccellente.

Con l’evoluzione tecnica, negli anni ha cambiato un po’ il suo approccio? Apprezzamento o meno di questa o quella soluzione, nuove misure…

Diciamo che si è sempre adattato e in tempi rapidi. Come il passaggio al freno a disco, per dire. E guardate adesso con la mtb. Quest’anno per esempio all’inizio dell’anno aveva scelto la Wilier Filante, poi alla fine è passato alla Wilier 0 Slr. La sentiva più sua, poteva rischiare qualcosa di più in discesa.

E la posizione è mai cambiata?

Sostanzialmente no, era sempre quella: salita, pianura, sterrato, gare a tappe o di un giorno… Solo negli ultimi periodi aveva abbassato di 3-4 millimetri la sella. Una posizione più comoda… Ma Vincenzo aveva le idee chiare. Se ti diceva che voleva quelle ruote e quei rapporti, quelli erano. Non era tipo che si faceva influenzare perché aveva sentito Tizio o Caio che avevano montato queste o quelle ruote. No, in tal senso ad avercene come lui! C’erano due cose sulle quali era sensibilissimo e intrasigente: altezza sella e tacchette. Sentiva ogni cosa. Se avesse potuto, avrebbe usato sempre la stessa sella e le stesse scarpe. E poi controllava o chiedeva della pressione delle gomme.

Della sella ce lo avevi detto anche prima del Lombardia quando aveva quella nuova bici…

Sì, sì, se ne accorgeva subito. E ancora più pignolo era con le tacchette. Non parliamo del millimetro, ma del mezzo millimetro. Noi abbiamo uno strumento che copia la posizione e la replica, ma la scarpa non mai del tutto identica al 100%. Se non quadrava di un soffio… le regolavamo e regolavamo ancora. Per sella e tacchette era micidiale.

Nella cronoscalata di Polsa, usò la bici da strada con le protesi. Cambiò l’attacco manubrio che restò montato anche il giorno dopo
Nella cronoscalata di Polsa, usò la bici da strada con le protesi. Cambiò l’attacco manubrio che restò montato anche il giorno dopo
Hai detto che ti portava tanti pezzi: qual è stato quello più strano?

Ad averci la lista sarebbe infinita! Togliamo oli, cuscinetti e lubrificanti, che ne proponeva uno “ogni 3×2”, aveva sempre la sua prova da fare. Ha portato reggisella ammortizzati, molti movimenti centrali, dei bilancieri… Alcuni effettivamente erano anche validi, ma non si potevano usare e la cosa finiva lì. Il fatto è che gli stavano dietro i marchi. Il concetto era: se lo usa Nibali vuol dire che funziona.

Ma se dovesse scegliere la “Nibalata tecnica” per eccellenza Tosello quale direbbe?

Ah – ride il “Toso” – Giro d’Italia 2013. Prima della cronoscalata di Polsa, c’erano da montare le protesi sul manubrio normale. Si mise in testa di cambiare l’attacco. Ne volle uno più corto, da 100 millimetri. Glielo cambio e fa la sua crono. Il giorno dopo la tappa era partita da un bel po’, quando per radio mi fa: «Ma ci siamo dimenticati qualcosa?». Io aspettavo che lui mi dicesse di rimontare l’attacco da 120. E lui aspettava che lo facessi io. Fatto sta che fece tutta la tappa con un attacco più corto di 2 centimetri! A fine tappa disse: «Credevo di essere io che non mi sentivo bene sulla bici. Poi ho capito che era l’attacco». Comunque non andò male. Disse che se la sentiva un po’ corta solo in discesa. Ma a quei tempi gli potevi mettere sotto di tutto: lui guidava e basta.

Aru su Nibali: da amico a rivale (e ritorno)

10.10.2022
6 min
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Era l’estate del 2012 quando Fabio Aru sbarcò all’Astana. Martinelli lo aveva adocchiato e acchiappato l’anno precedente e a quel tempo di Nibali nella squadra kazaka non si parlava. Invece quell’estate iniziarono le voci e poi di colpo la notizia divenne ufficiale. Nibali lasciava la Liquigas che l’anno successivo sarebbe diventata Cannondale per accasarsi con Vinokourov. Era l’inizio del dualismo che prometteva di rinverdire i fasti di Coppi e Bartali, Moser e Saronni, ma la storia seguì altre strade.

Al ritiro di Montecatini nel 2012, l’ufficialità di Nibali all’Astana
Al ritiro di Montecatini nel 2012, l’ufficialità di Nibali all’Astana

La Mtb a Montecatini

Nibali si è ritirato, Aru ricorda. Sei anni di differenza non sono pochi e l’arrivo del siciliano significava avere un riferimento da seguire. Nibali era già Nibali, con podi al Giro e al Tour e la vittoria della Vuelta. Aru invece veniva da due Val d’Aosta consecutivi e il secondo posto al GiroBio U23. Chi avrebbe mai potuto dire che proprio il sardo avrebbe smesso prima di Vincenzo, quando prometteva di esserne l’erede dopo averlo sfidato?

«Quando sono andato in Astana – racconta Aru – c’erano dei rumor. Io avevo firmato l’anno prima, nell’estate del 2011 e nel 2012 si cominciò a sentire che sarebbe arrivato anche Nibali. Lo conobbi alla USA Pro Cycling Challenge in Colorado, che è stata la mia prima gara da professionista e lui era in maglia Liquigas. Il giorno che feci secondo in una tappa, la penultima a Boulder, in hotel ci trovammo a scherzare. Poi ci siamo incontrati direttamente in Astana, prima a Montecatini in ritiro e poi in Sardegna».

Giro 2013: si va verso le Tre Cime di Lavaredo, Agnoli e Aru in testa, Nibali in rosa
Giro 2013: si va verso le Tre Cime di Lavaredo, Agnoli e Aru in testa, Nibali in rosa

«In quegli anni c’era ancora Basso – prosegue – ma Vincenzo era già uno dei più forti. I primi anni ci siamo divertiti parecchio in mountain bike a inizio stagione. A lui è sempre piaciuto il fuoristrada, basterebbe riguardare i video che caricava ai tempi su Instagram…».

La scuola di Nibali

Il rapporto fra i due è subito molto buono. Nibali ha davanti il mondo da conquistare, Aru muove i primi passi. Che abbia numeri interessanti è noto, come possa adattarsi al professionismo è un punto di domanda. Così nel 2013 Martinelli prende la via più breve e lo porta al Giro d’Italia. Il primo Giro di Nibali.

«Il Giro del 2013 – ricorda – per me è stata sicuramente un’esperienza molto importante in una delle squadre più forti. Vincenzo era in super condizione. Io stetti male, però poi nell’ultima settimana trovai un po’ di energie. Fu un passaggio che augurerei a ogni giovane. Valse come tanti anni di esperienza».

Al Tour del 2016, Nibali salva Aru nella tappa di Andorra: la sua condizione è in crescita
Al Tour del 2016, Nibali salva Aru nella tappa di Andorra: la sua condizione è in crescita

«Non era tanto lui che insegnava – ricorda Aru – quanto io che logicamente lo osservavo in tutto e per tutto. Da come era posizionato in bici e ogni cosa che faceva. Ricordo un aneddoto importante di qualche anno dopo, quando lui, tra virgolette, si mise nella parte di chi poteva insegnarmi qualcosa. Accadde al mio primo Tour e quindi stiamo parlando del 2016. Lui arrivava dalla vittoria al Giro, quando ribaltò la classifica contro Kruijswijk e Chavez…».

Dal Tour a Rio

Nibali arrivava dalla seconda maglia rosa e dal Tour di due anni prima, Fabio aveva vinto la Vuelta ed era arrivato il momento di debuttare in Francia. Il calendario era stato organizzato nei dettagli. Nibali avrebbe puntato sul Giro e poi, passando per il Tour, sarebbe arrivato alle Olimpadi di Rio. Aru invece ci sarebbe arrivato passando per la Grande Boucle.

«Mi ricordo che partimmo per quel Tour – ricorda – e logicamente io avevo preparato l’appuntamento. Prima dell’inizio del Tour, Vincenzo mi disse di mettermi alla sua ruota, perché mi avrebbe fatto da pilota nelle tappe di pianura. Era il primo Tour, una gara difficile per quanto riguarda il limare e lo stare davanti. Arrivammo all’ultima settimana, poi saremmo dovuti andare assieme alle Olimpiadi».

Quello del 2016 fu il primo Tour di Aru, Nibali tirava per lui
Quello del 2016 fu il primo Tour di Aru, Nibali tirava per lui

«Lui dopo il Giro non aveva una grandissima condizione – ancora Aru – mi dava una mano e provava ad entrare in qualche fuga, però a livello personale non stava andando tanto forte. Quando sei abituato a vincere le gare e ti vedi un po’ sotto tono, inizi ad avere dei dubbi. Ricordo che eravamo in una tappa di pianura l’ultima settimana e stavamo parlando. Io lo vedevo moralmente un po’ giù e allora ne approfittai per ringraziarlo di quello che aveva fatto in quei giorni.

«Gli dissi di tener duro, che mancavano poche tappe. E che alle Olimpiadi sarebbe arrivato con un’ottima condizione e io sarei stato al suo fianco. Anche a Rio ci fu un momento difficile. Lui aveva un principio di crampi, io gli dissi di tenere duro. Lui mi rispose di fare la mia gara, io gli risposi ancora di tenere duro, perché il momento sarebbe passato».

Nibali e Aru assieme alla Vuelta del 2017: Vincenzo con la maglia a punti
Nibali e Aru assieme alla Vuelta del 2017: Vincenzo con la maglia a punti

Scoppia la rivalità

Fra loro nel frattempo le cose erano cambiate. Il giovane Aru reclamava spazio, Nibali difendeva il suo e presto la grande intesa finì.

«Come corridori eravamo diversi – ricorda Aru – perché lui ha sempre cercato di approfittare di tutte le occasioni, anche quelle in cui magari non aveva delle super gambe. Però ha sempre cercato di dare la sua impronta a qualunque gara partecipasse. E tante volte è riuscito a tirare fuori delle prestazioni di alto livello, una cosa che magari avrei dovuto fare di più anche io.

«E’ capitato che a un certo punto ci trovammo contro, ma non come raccontavano certe testate che gonfiavano la situazione perché sono solite farlo. Ora siamo entrambi cambiati a livello caratteriale, col passare degli anni si inizia a ragionare in maniera diversa. Siamo stati contro, ma non nel senso che litigavamo, magari però ci sono stati momenti di tensione. Anche se abbiamo sei anni di differenza, siamo entrambi competitivi e quindi ognuno aveva voglia di arrivare sempre più in alto. Però negli ultimi anni questa rivalità è cambiata ed è diventata un prendersi in giro un po’ a vicenda. C’è tanto rispetto».

Presentazione del Giro 2019, dopo il 2018 non troppo positivo per entrambi
Presentazione del Giro 2019, dopo il 2018 non troppo positivo per entrambi

L’eredità dello Squalo

Sarebbe stato difficile nel 2017, quando Nibali passò al Team Bahrain-Merida, immaginare cha la loro rivalità tanto attesa e annunciata, non sarebbe mai sbocciata.

«Non ho mai nascosto che il fattore età fosse dalla mia parte – sorride Aru – e mi avrebbe permesso di continuare alcuni anni ancora. Ma come ho detto più volte, questa è stata la mia decisione e sono contento così. Vincenzo mancherà al ciclismo. Tranne forse gli ultimi anni, è sempre stato presente: un atleta che garantiva delle ottime prestazioni. Sia per quanto riguardava le gare a tappe, sia per le gare di un giorno.

«Quindi sicuramente lascia un grande vuoto e un’eredità importante. Io mi auguro sempre che vengano atleti capaci di fare altrettanto bene. Insomma, qualcuno che possa avvicinarsi a quello che ha fatto lui…».

I giorni dello Squalo / Giro d’Italia 2013, la prima rosa

28.08.2022
7 min
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Mancano 20 chilometri all’arrivo delle Tre Cime di Lavaredo, quando radio corsa gracchia che sulla salita finale ha iniziato a nevicare. I corridori del Giro vengono scossi da un brivido, ai giornalisti in sala stampa viene detto che dovranno stringere i tempi, perché vista la quantità della precipitazione, non si garantirà a lungo l’apertura della strada per la discesa.

«Quel giorno – racconta Valerio Agnoli – resta l’emblema della cattiveria di Vincenzo in bici. Avevamo gestito ogni cosa in modo perfetto con Tiralongo e un giovane come Aru, che già allora mostrava una determinazione non comune, tanto da arrivare quinto. Mi emozionai anch’io, quando arrivai in cima, quasi 7 minuti dopo Nibali. Il capitano che vince ti ripaga della fatica. Quando l’ho visto, si capiva che fosse felice, anche se da fuori non sempre lo lascia vedere. Ma “Vince” è fatto così. Non si accontenta mai, ha la vittoria cucita addosso».

Si va verso le Tre Cime, Agnoli e Aru in testa al gruppo: sulla salita nevica già
Si va verso le Tre Cime, Agnoli e Aru in testa al gruppo: sulla salita nevica già

Spauracchio Wiggins

E’ il Giro d’Italia del 2013, partito da Napoli sembra un secolo prima. Nibali ha già vinto la Vuelta del 2010, nel 2011 è arrivato terzo al Giro, anche se per la squalifica di Contador le statistiche annotano il suo secondo posto e la vittoria di Scarponi. Nel 2012 è andato al Tour, conquistando il podio alle spalle di Wiggins e Froome. E nel 2013, passato nel frattempo all’Astana, punta deciso sul Giro. In ammiraglia c’è Giuseppe Martinelli, che maglie rosa ne ha vinte in abbondanza, con Pantani, Garzelli, Simoni e Cunego e sa come si fa.

Tra i favoriti, spicca lo spauracchio Wiggins. Il britannico, che l’anno prima oltre alla maglia gialla ha vinto le Olimpiadi della crono nella sua Londra, non fa mistero di volere la maglia rosa. Ma il Giro e le salite italiane sono un’altra cosa. Se ne è accorto al Giro del Trentino, dove innervosito proprio da un attacco di Nibali, ha scagliato la bici contro una parete rocciosa, per un problema tecnico che gli ha impedito di inseguirlo.

E’ un Giro ferito. Nel giorno che precede l’impresa delle Tre Cime, proprio la neve ha fermato la corsa, guadagnando ai corridori un riposo inatteso, durante il quale la positività di Danilo Di Luca ha rischiato di affossare il bello di una corsa fino a quel punto super avvincente. Per questo Nibali ha sulle spalle il peso del pronostico, quello della neve che cade copiosa e quello del ciclismo italiano ancora una volta messo sotto accusa.

Il diluvio di Pescara

Agnoli ricorda. Per lui, che nel 2013 ha 28 anni ed è già professionista da 9 stagioni, la maglia rosa è un’esperienza già vissuta con Basso al Giro del 2010, quello della vittoria di Nibali nella tappa di Asolo e della lunga rincorsa dopo la fuga dell’Aquila.

Caduto nella pioggia di Pescara, Wiggins capì subito che sarebbe stato un Giro… inospitale
Caduto nella pioggia di Pescara, Wiggins capì subito che sarebbe stato un Giro… inospitale

«Wiggins – dice – lo avevamo già incontrato al Trentino e quel nervosismo era stato un segnale che avevamo captato chiaramente. Con un direttore come Martinelli, la gestione della squadra ne tenne sicuramente conto. Sapevamo ad esempio che Bradley soffriva le giornate di pioggia. Per questo quando il mattino della tappa di Pescara aprimmo la finestra (era la 7ª tappa, San Salvo-Pescara di 177 chilometri, ndr), immagino che lui si sia disperato, invece Vincenzo rideva. In quelle situazioni lui si gasava e chi invece gli correva contro, aveva il terrore addosso. Pescara fu un tassello importante, perché il Giro si vince tappa dopo tappa.

«Quel giorno “Vince” bucò. Mi guardo e mi chiese: “E adesso che facciamo?”. Mi fermai e gli diedi la ruota. Il mio compito in quei Giri non era cercare soddisfazioni personali, ma stargli accanto, corrergli addosso perché stesse lontano dai pericoli. Era stato lo stesso tre anni prima con Basso. Gli diedi la ruota e lo vidi andare via…».

Nella crono di Saltara, Nibali conquista la maglia rosa
Nella crono di Saltara, Nibali conquista la maglia rosa

La crono e la rosa

Pescara fu decisiva soprattutto a livello nervoso. L’indomani, si pensava infatti che la crono di Saltara avrebbe permesso a Wiggins di ammazzare gli scalatori. Percorso impegnativo di 54,8 chilometri, non una passeggiata: ideale per il campione che sulla crono aveva costruito la vittoria al Tour dell’anno prima. Solo che invece di arrivarci con lo stesso tempo di Nibali, quel 1’24” lasciato a Pescara continuava a ticchettargli nella testa.

«La sera prima della crono – sorride Agnoli – cercavo di scherzare per sdrammatizzare un po’. Certo, se vai ad analizzare i numeri e le statistiche, eravamo spacciati. Ma “Vince” stava bene e quel giorno è partito molto più cattivo del solito. La crono la vinse Dowsett, “Wiggo” arrivò secondo. Ma Nibali gli arrivò ad appena 11” e si prese la maglia rosa. Giorno indimenticabile. Capimmo che Wiggins non sarebbe rimasto a lungo un problema, anche se il Giro era ancora lungo».

La cronoscalata di Polsa è un momento decisivo: rivali respinti decisamente
La cronoscalata di Polsa è un momento decisivo: rivali respinti decisamente

Un uomo semplice

E’ il Giro di Uran che mette fuori il naso. Di Wiggins che sull’orlo di una crisi di nervi non riparte al mattino della 13ª tappa. Di Visconti che risorge dai suoi problemi e conquista prima il Galibier davanti al monumento di Pantani in un altro giorno frenato dalla neve, poi il traguardo di Vicenza. E proprio in quel giorno sulle Alpi francesi, si ha la sensazione che la maglia rosa voglia rispettare l’amico palermitano evitando di strozzare la sua vittoria.

«La cosa bella del ciclismo – conferma Agnoli – è che siamo avversari e possiamo sembrare acerrimi nemici, ma di base siamo tutti profondamente amici. E’ normale o almeno lo era allora fare qualche favore lungo la strada, perché sono cose che ti ritrovi. Gesti che si fanno per il rispetto che riconosciamo ai colleghi, per amicizia. E Nibali queste cose le ha. Magari da fuori possono averlo visto come un uomo chiuso, mentre la sua vera forza sta nella semplicità. Per questo in tutti i Giri che ho corso con lui, ci siamo soprattutto divertiti. Ogni giorno ce n’era una. Perché sa tutto lui e sa fare tutto lui e noi ci giocavamo sopra. Abbiamo sempre riso e scherzato un mondo».

Emozioni sulla pelle

Il Giro d’Italia del 2013 si conclude a Brescia proprio all’indomani delle Tre Cime, rese ancora più eroiche dal massiccio lavoro degli alpini sul percorso e sulla cima.

«Dopo il traguardo dell’ultima tappa vinta da Cavendish – ricorda Agnoli – per arrivare alla piazza del podio c’erano 3-400 metri, che feci accanto a lui. Avevo la pelle d’oca. Lo vidi che si fermava alla transenna per abbracciare i genitori. Vedevo la maglia rosa acclamata dalla gente, che era veramente tanta. E parte di quel simbolo lo sentivo mio, anche solo un pezzetto. Non rivivrò più momenti come quello, salire sul podio con tutta la squadra fu magnifico. Era Nibali e finalmente aveva vinto il Giro d’Italia».

«Per questo quando a Messina ha annunciato il ritiro – riflette l’amico – sono rimasto di sale. Ne aveva parlato altre volte, ma di colpo è parso deciso. Se ne sta andando un campione immenso, dove cavolo lo ritrovi uno così? E non parlo del ciclismo italiano, parlo del ciclismo mondiale. Smetterà un gigante. E adesso la mia sola preoccupazione è che mi toccherà allenarmi di nuovo per andare in mountain bike con lui. Sta finendo casa davanti alla mia, sono sicuro che tornerà presto a tirarmi il collo…».

Cucinotta, come ha lavorato l’Astana sul Teide?

15.04.2022
4 min
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Con l’inizio della primavera si cominciano a preparare gli appuntamenti per la seconda parte di stagione, che come piatto principale vede arrivare Giro d’Italia e Tour de France. Spiando sui vari social abbiamo visto che la maggior parte dei corridori, quelli non impegnati a correre, sono in ritiro. Un altro dettaglio che ha sollevato la nostra curiosità ce lo ha fornito l’Astana: i kazaki, in ritiro sul Teide, erano l’unico team che ha lavorato in gruppo. Guidati da Claudio Cucinotta, Nibali e compagni, hanno pedalato duramente sulle strade del vulcano più ambito dai ciclisti.

Claudio Cucinotta è oggi uno dei preparatori dell’Astana
Claudio Cucinotta è oggi uno dei preparatori dell’Astana
Ciao Claudio, partiamo dal chiederti quanto siete stati in ritiro.

Noi dello staff siamo rimasti sull’isola per 3 settimane. I corridori, invece, incastrati tra i vari impegni sono rimasti con noi 2 settimane. Arrivavano a gruppetti, generalmente lavoravamo con 6-7 atleti alla volta.

Un bel periodo di lavoro…

Sì, questo di aprile per noi era il secondo ritiro della stagione, dedicato ai corridori che andranno a correre Giro e Tour. La meta scelta (il Teide, ndr) grazie al suo clima, ci permette di dormire in altura e di lavorare al livello del mare con temperature tra 15 ed i 20 gradi

Anche se, per preparare al meglio il Giro, solitamente si fa un ritiro in altura di una decina di giorni a due settimane dal via. 

L’hotel si trova nella zona de La Orotava
L’hotel si trova nella zona de La Orotava
Hai detto che questo per voi è il secondo ritiro stagionale, come avete lavorato?

Allora, essendo un ritiro in altura cambia molto rispetto al ritiro invernale. A dicembre si va in Spagna per il clima più mite ma si lavora e si vive a livello del mare. In questo caso, invece, dormendo ad un’altitudine di 2.100 metri cambia molto il tipo di allenamento che andiamo a fare.

Spiegaci…

I primi 3-4 giorni sono di adattamento, il corpo deve imparare a vivere in quota. I battiti e la frequenza respiratoria a riposo aumentano, di conseguenza aumentano anche sotto sforzo. Per farvi un esempio: se a livello del mare ho 120 battiti ad intensità media appena salgo in quota aumentano a 135. Si fanno dei lavori al di sotto del medio, si lavora sull’intensità del lento o del lungo.

I dati rilevati durante il ritiro invernale vengono sostituiti da quelli dei test fatti ad aprile
I dati rilevati durante il ritiro invernale vengono sostituiti da quelli dei test fatti ad aprile
Superato questo periodo di adattamento?

Si dorme in cima al vulcano e poi si scende a livello del mare per allenarsi, questo permette di lavorare ad intensità più alte. Il Teide da questo punto di vista è perfetto perché per tornare all’hotel hai una bella salita di un’ora dove superi quota 1.800-2.000 metri.

Che lavori si fanno?

Ci si allena come lo si farebbe a casa: si fanno tanti lavori di capacità aerobica, potenza aerobica e qualcosina di forza. Si approfitta per fare tanto dislivello ma questo è quasi inevitabile visto che l’hotel è a 2.100 metri. 

I valori raccolti d’inverno servono per lavorare o cambiano?

I dati raccolti in inverno servono per trovare le zone di allenamento per capire su quali valori si deve lavorare ad inizio stagione. Ovviamente i numeri cambiano da dicembre a marzo, anche perché si inizia a gareggiare ed i livelli si alzano. Per questo, quando eravamo in ritiro nei giorni scorsi abbiamo fatto altri test. 

Gli atleti che vogliono preparare al meglio il Giro faranno un ritiro in altura poco prima dell’inizio della Corsa Rosa (foto Facebook Nibali)
Chi vuole preparare al meglio il Giro farà un ritiro in altura poco prima dell’inizio della Corsa Rosa (foto Facebook Nibali)
Qual è uno dei test che avete fatto?

Quello del lattato. Si tratta di un test a più step su un tratto di salita, con un dislivello di 100 metri. Si fanno delle ripetute a livelli di intensità crescenti, misurando il livello di acido lattico del sangue e si trova la soglia anaerobica e si trovano dei nuovi dati per lavorare in futuro.

Hai detto che chi fa il Giro va in altura a ridosso della partenza, cosa cambia rispetto a questo ritiro?

Sul Teide non abbiamo fatto lavori in quota e non si sono aggiunti molti lavori ad alta intensità, per questo ci sono le gare (oggi alcuni dei corridori che erano sul Teide sono al Giro di Sicilia o in Turchia, ndr). I corridori che vorranno fare bene al Giro faranno un breve ritiro in altura per mettere nelle gambe dislivello ed allenarsi al cambio di quota in corsa. Ovviamente per fare ciò sono importanti anche le corse come il Tour of the Alps o il Romandia.

Garofoli, consigli a Ursella e Milesi passati al Team Dsm

30.01.2022
5 min
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«La scorsa stagione, la mia prima tra gli under 23, è stato un bell’anno alla fine, però già all’Avenir ho iniziato a pensare di cambiare. C’erano delle distanze culturali tra me e la squadra, se così si può dire. La scuola italiana è molto diversa dalla loro». Questa la frase che Gianmarco Garofoli ci ha detto nella sua prima intervista in maglia Astana Qazaqstan Development Team (foto Getty in apertura).

Allora ci è venuto in mente di capire cosa ci sia effettivamente di diverso tra Olanda e Italia. Gianmarco è stato un apripista. La sua avventura nel Team DSM Development, anche se durata solamente per un anno, è stata intensa e piena anche di bei momenti. Dopo di lui, altri due ragazzi italiani sono andati a correre in Olanda: Ursella e Milesi. Quali consigli può dargli il giovane marchigiano?

I primi mesi al Team DSM sono stati i più difficili per Gianmarco (foto Team Dsm)
I primi mesi al Team DSM sono stati i più difficili per Gianmarco (foto Team Dsm)

Un anno di maturazione

«Penso che alla fine sia stata una bellissima stagione, dal punto di vista umano e sportivo – dice Gianmarco – il Team DSM mi ha dato tanto. E’ stata un’esperienza che mi ha permesso di conoscere tutti i lati della mia personalità e mi ha fatto confrontare con un modo di vedere le cose differente dal mio».

Qual è stata la difficoltà più grande che hai incontrato?

Tre mesi senza mai tornare a casa, più gran parte della stagione. All’inizio pensavo: «Perchè sto qui ad allenarmi? Fa freddo, ci sono zero gradi, a casa ce ne sono 12». Io sono uno che se la squadra gli chiede di fare qualcosa lo fa e devo dire con il senno di poi che tutto ciò che ho fatto mi è servito tantissimo.

Andrea Garofoli ha vinto la seconda tappa al Giro Val d’Aosta 2021 con arrivo a Cervinia
Andrea Garofoli ha vinto la seconda tappa al Giro Val d’Aosta 2021 con arrivo a Cervinia
E’ un’esperienza che consiglieresti di fare?

Assolutamente sì, anche per uscire dalla propria routine, stare lontani da casa aiuta a crescere e maturare da diversi punti di vista. Il più importante è quello dell’approccio alle gare, io fino alla scorsa stagione mi ero rapportato con un solo modo di correre. Alla DSM ho imparato ad essere più metodico, non rinunciando alla mia vena creativa.

Avevi detto che la difficoltà più grande era legata alla lingua…

Sì, non parlando inglese mi sono dovuto adattare ed ambientare. E’ stato molto difficile all’inizio, con i diesse ed i compagni era complicato comunicare. Una difficoltà in più è quella del nutrizionista, avendo una dieta differente da quella mediterranea è stato complicato trovare un equilibrio. Loro basano la dieta su alimenti differenti, al posto della pasta mangiano le patate.

Hanno un carattere diverso dal nostro…

Sono più introversi, ma non bisogna farsi abbattere. Capiscono le esigenze e sono sempre aperti al confronto, anche se da alcune loro espressioni non sembrerebbe.

E per mangiare? Cucinavi da solo?

Non ho avuto problemi, anzi, appena i miei compagni hanno capito che ero bravo a cucinare venivano a bussare alla mia porta (ride di nuovo, ndr). Da bravo italiano ho esportato la nostra cucina in Olanda e loro hanno apprezzato molto.

Hai trovato qualche supermercato o ristorante italiano da consigliare a Ursella e Milesi?

No no, macché! Dai ristoranti “italiani” meglio stare alla larga, mi sono fatto la scorta di cibo prima di partire: pasta, passata di pomodoro, grana… Insomma le cose essenziali. Poi guardavo i tutorial su internet per imparare a cucinare gli alimenti che non sapevo fare. Direi che la tecnologia potrà dar loro una grande mano.

Come hai imparato l’inglese?

Imparato con tanta forza di volontà e voglia di mettermi in gioco, l’inglese scolastico non aiuta molto per affrontare un discorso. La cosa migliore è la pratica, essere curiosi, ed usare anche il correttore quando non ci si capisce (ride, ndr).

Gianmarco Garofoli ha corso il Tour de l’Avenir con la maglia azzurra, oltre a europei e mondiali
Gianmarco Garofoli ha corso il Tour de l’Avenir con la maglia azzurra, oltre a europei e mondiali
Cosa gli consiglieresti per combattere la solitudine?

Non la sconfiggi, impari a conviverci. Anche se sei con gli altri e sei in compagnia ti senti solo perché ti manca casa, ti mancano gli amici. E’ normale sentirsi solo, ma tutti i sacrifici ti danno maggiore motivazione, tutta la fatica che fai poi la trasformi in forza agonistica alle corse.

Alla fine di tutto sembrerebbe essere stata un’esperienza positiva…

Sì, se devo dare qualche consiglio a Milesi e Ursella è quello di non mollare e di resistere, devono mettersi in gioco e provare. Sicuramente ne trarranno dei benefici, i sacrifici da fare non sono pochi, ma valgono la pena. Penso sia parte di un cammino di crescita umana e sportiva. Io mi sento una persona ed un corridore diverso.

Il 2022 di Corima? A tutto… professionismo!

17.01.2022
3 min
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Cofidis, Astana Qazaqstan e Gazprom-RusVelo: la stagione 2022 del produttore francese di ruote Corima promette davvero grandi risultati e soprattutto grande visibilità mediatica e dunque promozionale…

Dopo la conferma del team Astana, una collaborazione quella con la squadra tornata ad essere quella di Vincenzo Nibali oramai davvero di lunga data, e la “new entry” Gazprom, Corima ha annunciato una terza ed importantissima nuova partnership, ovvero quella con il Team Cofidis: una sponsorizzazione che coinvolgerà anche la nuova squadra femminile, composta da ben undici atlete, e la squadra di paraciclismo.

Cofidis è l’ultima squadra entrata nel mondo Corima ed userà i suoi prodotti nella prossima stagione
Cofidis è l’ultima squadra entrata nel mondo Corima

Le ruote di Nibali

Tutti i team pro’ sono equipaggiati da Corima attraverso la fornitura di modelli di ruote da corsa “premium”. Nello specifico parliamo dei modelli in carbonio altamente aerodinamiche MCC DX, WS Black DX, e WS TT DX.

«Corima e il ciclismo professionistico – ha dichiarato Raphael Jeune, Sponsoring Manager – è sinonimo di un rapporto storico e imprescindibile per la nostra azienda. Sono proprio le corse WorldTour, quelle affrontate ai massimi ai livelli che difatti consentono di certificare la qualità dei nostri prodotti. I pro’sono un banco i prova eccezionale ed una fonte di informazioni e feedback davvero impagabili… ».

Astana Qazaqstan è la seconda squadra che potrà contare sui prodotti Corima per la stagione 2022
Astana Qazaqstan è la seconda squadra Corima per il 2022

«Tutti i team da noi sponsorizzati – continua Rapahel Jeune – hanno modo di utilizzare l’intera gamma dei nostri prodotti. Ad esempio il Team Cofidis avrà l’opportunità di utilizzare i nostri modelli: MCC DX, WS Black DX, WS TT e S Black per l’handbike. Sempre con Cofidis, siamo davvero molto felici di poter sostenere la creazione della squadra femminile professionistica, oltra a partecipare allo sviluppo della squadra di paraciclismo. Promuovere il Made In France ed il know-how a livello internazionale a fianco di una squadra così prestigiosa come Cofidis, è un vero onore».

In Italia con Beltrami TSA

«Siamo estremamente lieti di concedere ai nostri atleti l’opportunità di correre per i prossimi anni su ruote Corima – ha dichiarato Cédric Vasseur, il General Manager del Team Cofidis – ruote che io personalmente considero come le migliori sul mercato. Questa nuova partnership rappresenta un altro passo in avanti segnato dalla nostra squadra nella ricerca della massima prestazione ».

Marco Canola team Gazprom Rusvelo con la sua nuova Look equipaggiata con ruote Corima
Marco Canola con la nuova Look

«Come team siamo sempre molto attenti al livello di prestazione di tutti i nostri singoli atleti. Proprio per questo vogliamo dare loro sempre i prodotti migliori, i più veloci. Per quanto riguarda Corima siamo anche orgogliosi di poter correre con prodotti high-tech al 100% francesi… Siamo convinti che l’accordo tra Cofidis e Corima darà alla nostra squadra maschile World Tour, alla squadra femminile e alla squadra di paraciclismo, la migliore gamma di prodotti in tutte le discipline ciclistiche».

Occorre ricordare che l’intera a gamma prodotto Corima è distribuita sul mercato italiano dalla commerciale reggiana Beltrami TSA.

Corima

Vincenzo Nibali corre verso il 2022, ce lo racconta l’amico Agnoli

15.01.2022
5 min
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Quando Valerio Agnoli parla di Vincenzo Nibali la voce si fa più vivace, come se si accendesse un interruttore. D’altronde hanno corso gomito a gomito per 12 stagioni, dal 2008 in Liquigas passando per Astana e Bahrain. I due oltre ad essere stati compagni di squadra sono tuttora ottimi amici. Si sentono spesso, un messaggio, una chiamata e… qualche pedalata insieme.

«Quando viene a Fiuggi dai suoceri ci vediamo sempre, quasi tutti i giorni – inizia Valerio – e spesso andiamo in bici. Lui ha il suo ritmo… andante (ride, ndr), una delle ultime volte che siamo usciti insieme, a ottobre, abbiamo fatto due ore di gravel e per stargli dietro sono andato a 175 battiti medi…»

Nibali ed Agnoli hanno corso per la prima volta insieme in Liquigas nel 2008: qui al Giro del 2010
Nibali ed Agnoli hanno corso per la prima volta insieme nel 2008: qui al Giro 2010

«A Natale è stato qui, mi ha detto che vuole portarmi a fare la Cape Epic (una corsa in mountain bike in Sud Africa che si corre a coppie, ndr). Gli ho risposto che mi aggrappo tranquillamente con le mani alla sella e lui mi trascina».

Vi sentite spesso?

Ci siamo sentiti dieci minuti fa. Mi ha mandato il link per una corsa gravel in Sardegna… Calcolate che siamo stati testimoni di nozze l’uno dell’altro, è un rapporto che è sempre andato oltre la bici.

Ecco, aiutaci a capire cos’è la bici per Vincenzo…

Tutto ciò che gira intorno alla bici per lui è passione: dal cambiare una ruota al sistemare i pedali. Lui è un perfezionista, cura tutto nei minimi dettagli. Quando correvo e dovevo montare delle tacchette, chiedevo a lui (ride di nuovo, ndr).

Hanno continuato in Astana, qui festeggiano la vittoria del Giro d’Italia 2013 insieme ai compagni ed allo staff
Hanno continuato in Astana, qui festeggiano la vittoria del Giro d’Italia 2013
Cosa spinge Vincenzo a continuare a questi livelli rilanciandosi sempre in sfide nuove?

Oltre alla sua passione immensa per la bici, ha quel dono innato che hanno solamente i fuoriclasse. Ci sono pochi corridori che hanno questa cosa: Contador, Froome, Valverde… Sono in eterna sfida con se stessi prima che con gli altri.

Quanto è stato difficile stare accanto a lui in questi anni?

Devo dire che ci siamo accettati, pregi e difetti. La cosa bella che c’è in un rapporto di amicizia è l’accettare l’altra persona per quella che è. Personalmente quando c’era da parlare o anche da discutere io mi ci mettevo, poi amici come prima. Ma è importante far valere le proprie ragioni.

Sono diventati molto amici negli anni, tanto da diventare testimoni di nozze l’uno dell’altro
Sono diventati molto amici negli anni, tanto da diventare testimoni di nozze l’uno dell’altro
Voi avete corso insieme in Astana, dal 2013 al 2016, cosa lo ha spinto a tornare?

L’ambiente. Negli anni che siamo stati lì, ci siamo trovati bene con tutto lo staff, ma soprattutto con Vinokourov e poi con “Martino (Giuseppe Martinelli, ndr). Lui, secondo me, ha giocato un ruolo chiave per il ritorno di Vincenzo. E’ tornato per continuare e concludere un progetto di vita iniziato anni fa.

E con i compagni come si trova?

Mi ha già parlato in maniera positiva del rapporto che ha con loro. Ha detto che se anche li conosce da poco, ride e scherza con Moscon e anche con Boaro.

Negli anni alla Trek come ti sembrava?

Male non stava, ma non mi sembrava molto sereno. In un ambiente così ci sono tante pressioni, ma Vincenzo è abituato. Non so, detto sinceramente, come mai non abbia continuato. Onestamente in una persona come Nibali ci avrei investito. Anche lo sponsor, Segafredo, avrebbe avuto piacere a continuare con lui…

Il loro legame si è consolidato anche al di fuori della bici
Il loro legame si è consolidato anche al di fuori della bici
Le dinamiche in una squadra sono tante e delicate…

Assolutamente, poi il corridore va seguito con attenzione, ricordandosi dapprima che è un essere umano. Quando a inizio stagione fai un programma, il corridore si immedesima in quello. Se inizi a cambiargli delle cose perché secondo te non rende come deve, ne risente. E’ difficile ricalibrare gli obiettivi ed avere nuovi focus.

L’ultima vittoria al Giro di Sicilia, da amico, come l’hai vista?

Per lui è stata una scarica di super felicità, vincere è sempre bello per tutti, pensate per uno che è sempre stato abituato a farlo… Era l’iniezione di fiducia che gli serviva per rilanciarsi e approcciare la nuova stagione nel modo giusto. Appena superata la linea del traguardo mi ha mandato lo screen del ciclocomputer per farmi vedere i watt sull’ultima salita: 400 watt medi (sull’ultima salita della quarta tappa, Nibali ha ottenuto il KOM con una Vam di 1.700 m/h, ndr).

Insomma, per come ce lo hai descritto dopo quella vittoria avrebbe voluto incominciare la nuova stagione subito.

Per come è fatto lui, quella vittoria gli ha dato un morale incredibile per iniziare il 2022 e sono sicuro che ci farà vedere belle cose.

Vincenzo e Valerio hanno corso insieme anche in Bahrain fino al 2019, anno del ritiro di Agnoli
Vincenzo e Valerio hanno corso insieme anche in Bahrain fino al 2019, anno del ritiro di Agnoli
Vincenzo ha mosso una generazione di corridori e di tifosi.

Tanti giovani si sono ispirati a lui, ma anche gli appassionati gli vogliono bene. Questo perché è una persona gentile e alla mano, si è creato da solo. Noi che veniamo da giù avevamo poche opportunità per andare a correre, l’unica soluzione era fare trasferte chilometriche in Toscana, Veneto… Se ami davvero questo sport, non le vivi come delle difficoltà, ma come delle opportunità per far vedere quanto vali e lui lo ha ampiamente dimostrato.

Tu che lo hai visto da vicino, in cosa è cambiato di più negli anni?

E’ diventato più metodico, più perfezionista. Se quando era giovane era al 99 per cento ora è arrivato al 101. Mentalmente ha imparato a non staccare mai, cura sempre tutto nei minimi particolari.

Samuele Battistella entra nel “pool” di atleti Sidi

15.01.2022
3 min
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Samuele Battistella entra da quest’anno nella ampia squadra di atleti e testimonial Sidi. Il giovane corridore di Castelfranco Veneto, classe 1998, è stato campione del mondo U23 nel 2018 e corre dal 2021 nel team Astana Qazaqstan, con cui l’anno scorso ha vinto la bellissima prima edizione della Veneto Classic. Di recente ha visitato il quartier generale Sidi di Maser per conoscere nel dettaglio la produzione artigianale con cui vengono realizzate le calzature del marchio veneto.

Samuele Battistella ha chiuso la stagione con la splendida vittoria alla Veneto Classic
Battistella ha chiuso il 2021 vincendo la Veneto Classic

Una visita graditissima

«Quella che ci fatto Battistella – ha dichiarato Rosella Signori, la figlia del fondatore Dino – è stata davvero una bellissima sorpresa. Non posso negare che le visite di tutti gli atleti che sponsorizziamo e supportiamo tecnicamente durante l’intera stagione mi riempiono di gioia e orgoglio.

«Come succede in questi casi – continua Rossella – una giornata lavorativa si è trasformata in festa, ed aver avuto in sede Samuele è stato davvero un graditissimo regalo. Abbiamo passato un bel momento assieme a questo giovane, promettente e piacevole ragazzo. E devo ammettere che si è anche comportato bene in produzione! Siamo contenti che abbia acquisito maggiore conoscenza del prodotto. Sono convinta che entrambi faremo tesoro di questa giornata, come di tutti i confronti tecnici che inevitabilmente e fortunatamente si creano in occasione di incontri come questo».

Battistella all’interno dei laboratori di Sidi
Battistella all’interno dei laboratori di Sidi

Una volta entrato all’interno dello stabilimento Sidi, Battistella si è letteralmente “tuffato” nel mondo della produzione artigianale di calzature per ciclismo. Si è messo al collo il grembiule realizzando passo dopo passo alcuni dei procedimenti che rientrano nei canoni specifici della manifattura produttiva delle calzature Sidi. Guidato dagli artigiani e da alcuni dipendenti Sidi di lungo corso, Battistella ha avuto l’opportunità di lavorare sulle sue proprie scarpe. In questo modo è riuscito ad apprendere in prima persona l’attenzione al dettaglio e la meticolosità che rendono unico ciascun paio di calzature Sidi

Artigiano per un giorno

«E’ stato davvero incredibile – ha dichiarato Battistella – non avevo mai visto così da vicino la produzione di una grande azienda di calzature per il ciclismo. E’ stato veramente bello osservare con quanta esperienza venga affrontato ciascun passaggio. Il risultato di questo lavoro è sotto gli occhi di tutti, ma ciò che rende questo brand speciale è proprio il cosiddetto dietro le quinte. La storia, la tecnologia e il tempo che richiede la realizzazione qualitativa di un vero prodotto fatto a mano in Italia».

Calco del piede di Samuele Battistella che aiuta gli artigiani di Sidi a realizzare le scarpe per il corridore dell’Astana
Calco del piede di Samuele Battistella che aiuta gli artigiani di Sidi a realizzare le scarpe per il corridore dell’Astana

«Le scarpe rappresentano una delle componenti fondamentali per un ciclista – ha proseguito il corridore – richiedendo una perfezione ed una cura che definirei da… orologiaio. Questa azienda è certamente un punto di riferimento per l’alta qualità nel proprio settore ed è emozionante vedere quante personalità del ciclismo e del motociclismo hanno scritto pagine gloriose di sport indossando queste scarpe. Una motivazione in più per i giovani corridori come me».

Il giovane corridore veneto ha inoltre colto l’opportunità per visitare il piccolo museo di Dino Signori: un luogo molto caro al fondatore della Sidi e davvero “colmo” di innumerevoli ricordi dei grandi campioni che hanno corso e vinto indossando ai propri piedi Sidi.

Sidi