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Ristori, assistenza e percorso: il mondiale gravel con Furlan

19.09.2022
6 min
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Non si è ancora sopito l’entusiasmo per il campionato italiano gravel che si è concluso ieri ad Argenta, che è già tempo di spostare lo sguardo verso il nuovo obiettivo: il mondiale. Sempre gravel, sempre il primo della storia.

L’appetito vien mangiando si dice. E forse, visti i volti dei corridori ieri all’arrivo, è così anche per loro. Lentamente l’interesse cresce. E, a dispetto di come dice qualcuno, non è solo questione di marketing.

Filippo Pozzato (a destra) e Angelo Furlan che ha disegnato il percorso iridato
Filippo Pozzato (a destra) e Angelo Furlan che ha disegnato il percorso iridato

Agli albori…

Ovviamente c’è ancora molto da mettere a punto. Bisogna capire bene la deriva che deve prendere il gravel. C’è chi dice che i percorsi devono essere filanti e il più possibile con bici sì gravel, ma di filosofia stradistica. E chi invece sostiene che dovrebbero essere più tecnici. Chi dice che bisogna affrontarlo in autonomia totale e chi invece con più assistenza.

A definire il tutto sarà il tempo, ma noi intanto ci rivolgiamo ad Angelo Furlan, braccio di destro di Filippo Pozzato nell’organizzazione del mondiale gravel di Cittadella del prossimo 8-9 ottobre. 

La volta scorsa proprio con Pippo e Furlan eravamo andati alla scoperta del percorso che appunto assegnerà la prima maglia iridata di questa specialità. Stavolta torniamo sì ad analizzare il tracciato, ma con un occhio lungo anche sulla questione dell’assistenza e delle feed zone.

Uno dei primi single track in discesa nella zona dei Colli Berici
Uno dei primi single track in discesa nella zona dei Colli Berici

La creatura di Furlan

Il percorso, tutto sommato veloce, da Vicenza porta a Cittadella, toccando prima i Colli Berici, per un totale di 194 chilometri.

«Questa – racconta Furlan, ex pro’ e anche ex praticante di bmx e mtb – è la mia creatura e lo dico con orgoglio. Alle spalle ci sono state 800 ore di lavoro per tracciarlo. Ma ogni volta era un’emozione. Sono le mie strade, quelle di casa. Quelle che battevo sin da quando ero un corridore.

«In qualche modo, non me ne vogliano i puristi, ma io il gravel lo facevo già 15 anni fa. A metà stagione iniziavo ad annoiarmi e così per trovare stimoli montavo cerchi a basso profilo, copertoni un po’ più larghi e mi buttavo con la bici da strada sugli sterrati.

«Quando Pippo (Pozzato, ndr) mi ha detto di questa opportunità non ci ho pensato due volte e mi sono subito messo a lavoro. E’ il nostro territorio e abbiamo l’opportunità di mostrarlo al mondo».

E il risultato si è visto e si vedrà. Il fatto che a disegnare il percorso sia stato uno stradista che però aveva l’offroad dentro è significativo. Il tasso tecnico, specie nella parte iniziale, 15-20 chilometri, verso i Colli Berici non manca. Nulla d’impossibile chiaramente, ma si parla pur sempre di single track. Di sentieri più stretti. 

«Tra Vicenza, Padova e Cittadella trovare certe strade non è stato facile. Non siamo nel deserto dell’Arizona, è un’area fortemente urbanizzata. Però alla fine abbiamo il 70% del percorso su sterrato. Ma per me è di più questa percentuale, in quanto l’UCI considera i tratti cementati o di stradine rovinate come asfalto. Vi assicuro che si fanno sentire anche quelle, pertanto è oltre l’80-85%».

Per Furlan il fondo della Foresta di Arenberg alla Roubaix (viste anche le alte velocità) è più sconnesso di molti tratti tecnici del mondiale
Per Furlan il fondo della Foresta di Arenberg alla Roubaix è più sconnesso di molti tratti tecnici del mondiale

Corsa dura

Sentieri che tra l’altro arrivando all’inizio potranno subito incidere sull’andamento tattico della corsa e spezzettare il gruppo.

«Chiaro – riprende Furlan – che rispetto al ciclocross o alla mtb ci sono meno curve e parecchi drittoni, ma il gravel è questo, è anche un viaggio. E’ un’altra cosa. Però io sono convinto che uscirà ugualmente una corsa molto dura. Guardate ieri ad Argenta: il quarto ha preso quasi dieci minuti e il settimo un quarto d’ora. Anche per questo il tracciato che inizialmente doveva misurare 220 chilometri è stato accorciato un po’.

«Potranno emergere corridori con diverse caratteristiche metaboliche e questo è un aspetto curioso. Noi in Italia siamo legati alla figura dello scalatore e pensiamo che per fare una corsa dura bisogna mettere salite. In realtà non è solo così.

«Qui conta la resistenza: potrebbe vincere un uomo del Nord, per esempio una Foresta di Areneberg è ben più sconnessa dei tratti sterrati che s’incontreranno al mondiale, oppure un uomo da grandi Giri. Un cronoman che sa tenere alti wattaggi per lungo tempo. Se mi chiedeste su chi punterei tra un biker e uno stradista, risponderei sullo stradista».

Ieri all’italiano gravel Fontana (in foto) e altri sono partiti con le tasche piene per affrontare l’intero tracciato (foto @mario.pierguidi)
Ieri all’italiano gravel Fontana (in foto) e altri sono partiti con le tasche piene per affrontare l’intero tracciato (foto @mario.pierguidi)

Discorso ristori

Prima Furlan ha parlato di viaggio. In effetti il gravel nasce come avventura, come viaggio. Non è un caso che sulle bici ci siano le predisposizioni per l’alloggiamento delle borse. In questo caso è una gara e le borse non servono. Però resta centrale il discorso sull’autonomia. O semi-autonomia che si riscontra negli eventi gravel agonistici. Anche alla Monsterrato, unica prova di qualificazione per l’Italia, erano presenti dei punti di ristoro.

Il tutto legato ad un regolamento che si sta scrivendo (nel vero senso della parola) e che si dovrà definire col tempo a “suon d’esperienza”, se così possiamo dire.

«Il discorso dell’assistenza – dice Furlan – è in via di definizione. E’ una pagina bianca se vogliamo, perché l’UCI sta scrivendo il regolamento in questi giorni. Posso dire che di tanto in tanto (all’italiano era massimo ogni 25 chilometri, ndr) ci saranno delle zone di ristoro e di assistenza (feed zone). Ma di base i corridori dovranno essere autonomi. Pertanto dovranno partire con il necessario per i rifornimenti e il necessario per una prima assistenza tecnica».

«In più noi dell’organizzazione metteremo a disposizione delle moto e ci stiamo mettendo d’accordo con l’UCI per stabilirne il numero e le modalità. In apertura ci sarà invece un quad. Non ci potranno essere moto delle nazionali. Mentre è da definire chi allestirà il “tavolo” del ristoro, se l’organizzazione o la nazionale stessa». 

Ancora da definire nei dettagli, ma al mondiale saranno presenti delle moto assistenza. Qui la Serenissima Gravel dello scorso anno
Ancora da definire nei dettagli, ma al mondiale saranno presenti delle moto assistenza. Qui la Serenissima Gravel dello scorso anno

La sicurezza

Un aspetto che non è affatto secondario in questo mondiale gravel è la sicurezza. Sulla falsariga di quel che accade nel cross country e ancora di più nella downhill, tutto il percorso dovrà essere a vista d’occhio, almeno nei passaggi più tecnici o “pericolosi” come un single track, o il transito vicino ad un fiume.

«In pratica – spiega Furlan – dove finisce il campo visivo di un assistente del percorso, deve iniziare quello dell’assistente successivo. Questo implica un grande dispiegamento di forze, molto più di una gara su strada. In questo modo i ciclisti non sono mai da soli e l’assistente può intervenire in caso di caduta.

«E poi presumo ci sarà da “fermare” tutti gli utenti che nel weekend sono abituali fruitori delle ciclabili e dei lungo fiume per passeggiare. E non sarà così facile!». 

Da Vicenza a Cittadella, Pozzato e i sentieri del mondiale gravel

08.09.2022
8 min
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Una giornata con Pippo Pozzato e Angelo Furlan sul percorso del mondiale grave del prossimo 8-9 ottobre. Da Vicenza a Cittadella.

Il primo mondiale gravel della storia si correrà in Veneto l’8-9 ottobre, organizzato da Pippo Pozzato con la sua PP Sport Events. Le candidature non mancavano, dalla Toscana agli Stati Uniti, ma alla fine l’UCI ha scelto il progetto del vicentino. E il sopralluogo tecnico effettuato lunedì scorso (in bici) lungo i 194 chilometri del tracciato hanno confermato la bontà della scelta.

Appuntamento a Sandrigo, si parte col furgone e si va a prendere Furlan a Vicenza
Appuntamento a Sandrigo, si parte col furgone e si va a prendere Furlan a Vicenza

A Sandrigo per le 8

Questa è la storia di un viaggio alla scoperta del percorso e dei ragionamenti che hanno portato a tracciarlo, fatto ai primi di settembre con Pozzato e Angelo Furlan che, assieme a Marco Menin, si è occupato di tracciare la rotta. Appuntamento alle 8 nell’ufficio di Sandrigo e poi via per tutto il giorno.

«Il mondiale – racconta Pozzato – è un’opportunità importante per alzare l’asticella. Ogni anno stiamo facendo qualcosa in più, perciò insieme a tutta la squadra abbiamo deciso di buttarci in questa avventura. Ho dei ragazzi veramente bravi, la nostra forza sono l’energia e la voglia di fare. Sicuramente sarà difficile, perché comunque il primo è sempre più difficile, non c’è un precedente cui paragonarsi. Abbiamo dovuto prendere ogni cosa con le pinze. Però con il lavoro e l’entusiasmo, con l’energia della gente giovane che lavora con noi, sicuramente riusciremo a portarlo a casa come vogliamo».

Il via da Vicenza

Si parte da Vicenza, dal centro della città, dove l’Assessore allo Sport Matteo Celebron passa per un saluto su una bici del Bike Sharing della città che crede e punta sulla mobilità sostenibile. Due indicazioni per il giorno della gara e si parte. Piazza dei Signori e poi i portici di Monte Berico. Da lassù, in una viuzza sterrata poco dopo il santuario dove Gilbert vinse la tappa al Giro 2015, verrà dato il via ufficiale. I chilometri finali saranno 194.

«In Veneto abbiamo un territorio meraviglioso – racconta Furlan – e fare questo mondiale è motivo d’orgoglio. Ci siamo messi a scoprire posti che non conoscevamo, sebbene fossero dietro casa. Per disegnare il percorso, c’è voluto un mese di ricerca su software (hanno utilizzato Komoot, ndr). Però poi sono servite circa 80 ore pedalate per farlo tutto. Si parte con una cartolina su Vicenza. Poi si si passa da un ambiente urbanizzato e dalle meraviglie dell’Unesco ad altre prettamente bucoliche. E si finisce con le mura di Cittadella, costeggiando Padova».

Lungo il Bacchiglione

Monte Berico è la prima salita nel tratto di trasferimento. Quindi i primi sterrati, la discesa e la seconda salita, in asfalto e lunga circa 2 chilometri, prima di scollinare verso il lago di Fimon e lasciarsi Vicenza alle spalle.

A questo punto le difficoltà altimetriche sono finite, d’ora in avanti il percorso è un continuo dentro e fuori fra settori asfaltati, altri di sterrato e ciclabili. Anche se una delle brutte sorprese è stata che proprio alcune ciclabili sono state asfaltate e mantenere la quota dell’80% di sterrato ha richiesto qualche deviazione in più.

Gli elite correranno da Vicenza a Cittadella (140 km) + 2 giri di un circuito di 27 km: totale 194 km

Fino a Padova si costeggia il Bacchiglione, un po’ sull’argine e un po’ sulla ciclabile. Ed è proprio la stradina sotto e sopra i ponti di Padova a immettere il mondiale in uno dei settori gravel più caratteristici.

«Dal punto di vista del viaggio – dice Furlan – la parte che più piacerà al ciclista è proprio quella centrale. Lasci Vicenza e poi ti involi in questi lunghi tratti all’interno, nei campi che sembrano non finire mai. Ecco quella secondo me è la parte più bella».

Ritorno a Piazzola

La parte pianeggiante finisce a Piazzola sul Brenta, arrivo della Serenissima Gravel, dove il mondiale passerà costeggiando Villa Contarini e prendendo la via del circuito finale che si snoderà attorno Cittadella. L’occasione di qualcosa da bere e l’incontro con un vecchio amico permettono di approfondire il discorso.

«Con il presidente Zaia e la Regione Veneto – dice Pozzato – l’idea è quella di valorizzare il territorio. Abbiamo la fortuna di avere delle cittadine e delle città come Vicenza, Cittadella e Padova che credono molto nel progetto ciclismo. Siamo partiti l’anno scorso con le nostre gare e la cosa che vogliamo fare è piantare la bandierina e mantenerla negli anni, per poi crescere anche in altre parti d’Italia. Sicuramente però noi veneti abbiamo a cuore il nostro territorio, ci teniamo molto e la politica ci aiuta».

Il passaggio da Piazzola, sede di arrivo della Serenissima Gravel
Il passaggio da Piazzola, sede di arrivo della Serenissima Gravel

Il Carrefour de l’Arbre

A Cittadella ci aspetta Diego Galli, l’Assessore allo Sport. Un rapido saluto, la promessa di chiudere in centro con un aperitivo e si parte alla scoperta del circuito. E qui il gravel diventa impegnativo.

«Dal punto di vista tecnico – Furlan annuisce e spiega – per gli elite che faranno la parte finale, sicuramente via Giovo sarà una sorta di Carrefour dell’Arbre di Cittadella. Stradina stretta. Pietre. Fango. La gobba al centro e in fondo la curva a 90 gradi. Questa va a sinistra, alla Roubaix a destra, ma siamo lì. Quella è la parte più bella per chi farà il percorso completo».

Il fondo è dissestato, l’unica soluzione sarà far girare il rapporto e sperare di… galleggiare sulle pietre. Dice Furlan che la scelta di gomme, pressioni e rapporti dipenderà dallo stato delle strade e se avrà piovuto o meno.

L’arrivo a Cittadella

Via Giovo farà la selezione finale, poi il gruppo andrà verso l’arrivo nel centro di Cittadella, nella stessa piazza da cui lo scorso anno partì il Giro del Veneto.

«Tutto quello che ho criticato da corridore – dice Pozzato davanti al prosecco che chiude la giornata – mi sono promesso di metterlo in pratica insieme al mio team, per cogliere le opportunità che magari non vengono quando si mantiene l’approccio tradizionale. Vorrei innovare per quanto possibile questo sport e farlo diventare attrattivo specialmente per i giovani, affinché non scappino verso altri verso altre discipline».

«Io penso – prosegue – che il ciclismo sia lo sport più bello del mondo. La cosa che magari abbiamo sbagliato negli anni è come l’abbiamo comunicato. Noi stiamo cercando di farlo in maniera diversa per portare a casa dei giovani che possono essere i protagonisti dei nostri eventi. Non solamente l’atleta, ma anche lo spettatore deve essere protagonista e sentirsi partecipe dell’evento».

Mancano 30 giorni al primo mondiale gravel della storia. Sabato 8 ottobre correranno le donne, il giorno dopo toccherà agli uomini, suddivisi per fasce di età. Una sorta di maratona, con gli elite davanti e dietro il resto del mondo.

La prima pietra è stata messa, gli atleti si stanno qualificando da tutto il mondo. Siamo davvero curiosi di vedere come andrà a finire. In questo spicchio di veneto fra i Colli Berici e le pendici del Grappa, si sta lavorando davvero a testa bassa.

Da Mallorca la voce di Ferrigato sui giovani spremuti

29.04.2022
6 min
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Andrea Ferrigato ha fatto il professionista dal 1991 al 2005, ha vinto 17 corse (fra cui una tappa al Giro e la Leeds International Classic) ed è anche arrivato secondo nell’edizione 1996 della Coppa del mondo. Oggi fa la guida cicloturistica e proprio per questo acchiapparlo durante la stagione è spesso complicato. Respirando ancora l’aria del ciclismo tramite gli amici che ha nel gruppo, gli viene facile ragionare e fare confronti piuttosto pertinenti. “Ferri” è uno di quelli che parla poco e può così permettersi il lusso di non dire mai cose banali. Così lunedì scorso, commentando su Facebook l’editoriale che parlava della penuria di corridori italiani ai piani alti delle corse, ha scritto una frase su cui abbiamo rimuginato a lungo.

«Iniziamo con il misuratore di watt tra gli allievi – ha scritto – e poi non abbiamo giovani forti, forse perché con l’eccessivo allenamento non vediamo più i talenti ma i super allenati che poi chiaramente spariscono. Ma forse… Forse è così».

Per gli ultimi due anni di carriera, iniziata all’Ariostea, Ferrigato ha corso con l’Acqua & Sapone
Per gli ultimi due anni di carriera, iniziata all’Ariostea, Ferrigato ha corso con l’Acqua & Sapone

Gran fondo a Mallorca

In questi giorni Andrea si trova alle Baleari per la 312 Mallorca, gran fondo che vedrà al via 8.000 cicloturisti e fra loro qualche faccia nota come Alberto Contador, Oscar Freire, Ivan Basso e Jan Ullrich. E dopo aver scherzato sul fatto che non vuole più saperne di fare delle gare a tutta, avendo già corso abbastanza, il discorso torna al punto di partenza.

«Sono qui con Enrico Pengo – dice Ferrigato, riferendosi allo storico meccanico della Lampre e poi del Team Bahrain – e parlavamo di Ulissi. E’ chiaro che è diventato un ottimo corridore, ma la proporzione fra quello che è stato da junior, con due mondiali vinti, e la sua carriera attuale non si è mantenuta. Ne parlavo anche con Angelo Furlan (ex professionista e oggi allenatore, ndr) e si ragionava sul fatto che attorno ai 23 anni si ha il secondo sviluppo. Ma se esageri da giovane, tolti dal mazzo i fenomeni, magari quello sviluppo non ce l’hai e smetti di progredire».

Mondiali U23 del 2009 a Mendrisio: in testa agli azzurri Ulissi e Caruso
Mondiali U23 del 2009 a Mendrisio: in testa agli azzurri Ulissi e Caruso
Il discorso sta in piedi…

Ricordate quel video in cui Tosatto a Livigno chiede a un ragazzino quanti anni abbia, mentre quello fa le ripetute? Appena gli risponde che è un allievo, Matteo gli urla di tornare a casa. Che non si fanno le ripetute in altura da allievo. E poi quando cresci, cosa fai? Devi andare a 4.000 metri? Se si fanno lavori specifici da troppo piccoli, perdi la possibilità di svilupparti ancora a vent’anni

Se si allena un ragazzino al pari di un professionista, lo si porta a livelli altissimi, ma si riduce il suo margine per gli anni successivi?

I procuratori prospettano carriere fino ai 28 anni, ma così perdiamo quelli che magari si sviluppano dopo. Tosatto ha dovuto fare il Carabiniere perché non aveva i punti, oggi avrebbe smesso. Vanno avanti quelli che vengono allenati meglio, a discapito di chi ha i numeri e magari ha bisogno di più tempo per venire fuori o non vuole bruciare le tappe. Si sono infilati in un circolo vizioso e sono costretti ad adeguarsi. Uno junior che fa 6 ore a febbraio è troppo e io so di gente che lo fa. Ma probabilmente il loro allenatore è stato professionista e non capisce di dover calibrare bene gli allenamenti.

Vogliono tutto e subito?

In questo momento, al mondo ci sono cinque ragazzi giovani e fortissimi. Ma non si può pensare di volergli somigliare. I fenomeni sono delle eccezioni, come Saronni che vinse il Giro a 21 anni. Oppure Gimondi e Merckx. Sono pochi e se ne racconta ancora. Poi ci sono tutti gli altri. Invece ho la sensazione che si stia perdendo la voglia o la capacità di far crescere il corridore rispettando i suoi tempi. Anche Tosatto per me è stato un fenomeno, con i 28 grandi Giri portati a termine, sempre pronto a tirare per un compagno.

Tosatto ha portato a termine 28 grandi Giri, ma è passato pro’ a 23 anni dopo aver fatto il carabiniere
Tosatto ha portato a termine 28 grandi Giri, ma è passato pro’ a 23 anni dopo aver fatto il carabiniere
E tu?

Io non sono stato un fenomeno, ma di certo ero molto pronto. Sono passato e ho subito vinto, poi hanno capito che avevo dei mezzi e mi hanno messo in attesa. Ho avuto tanta fortuna e il tempo per adattarmi. Se mi avessero buttato dentro come oggi, non avrei avuto le forze per quella velocità.

Il tempo è un lusso…

Oggi non c’è tempo e neppure la voglia. E non bastano più due anni. Ricordo quanto soffrivo sulle salite al 3 per cento. Ho cominciato a stargli dietro a 25 anni. Avere il tempo per crescere è stato una fortuna, perché io prima non avevo la potenza necessaria. Usavo il cardiofrequenzimetro, un po’ si doveva interpretare. Oggi invece si usano i watt e non si sbaglia. E i corridori più giovani spariscono. Sempre parlando con Pengo, abbiamo visto che ai mondiali di Salisburgo eravamo in 8 veneti. Dalle parti di casa, una volta c’era un campione ogni 15 chilometri, adesso non più e patiamo la sensazione di non avere più nessuno. Nel mondiale in cui Moscon fu squalificato (Bergen 2017, ndr), mettemmo tre juniores nei primi dieci. Dopo sei anni, possibile che nessuno di loro sia ancora venuto fuori?

Perché secondo te?

Forse perché non fanno quel secondo step di sviluppo. In questo modo il grande campione emerge, mentre il corridore medio sparisce. Non è giusto. Ma se quando sono così giovani, li alleni coi watt, ci sta che dopo 4 anni a quel modo, siano stanchi. Io andavo a caso e non sapevo niente. Usavo il cardio ed era già spaziale, ma forse così facendo mi sono risparmiato.

E poi quando  correvi tu, l’Italia aveva qualche squadra di più…

C’è stato un periodo che ne avevamo 12, in modo che se in una non ti trovavi, ne provavi un’altra. Ora mancano. Forse fra tutte le voci dette finora, avere una squadra italiana in cui crescere e in cui mettersi alla prova nel WorldTour sarebbe il modo giusto per riprendere in mano i fili dello spettacolo.

Nella testa di un velocista: 6 minuti nel matrix con Angelo Furlan

04.03.2022
6 min
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Nella testa di un velocista, guida d’eccezione Angelo Furlan, 17 vittorie da professionista (in apertura quella del Delfinato 2009 su Boonen) e oggi coach, biomeccanico e organizzatore di academy per bambini con AngeloFurlan360. Ci aveva incuriosito un suo post su Facebook su cosa significhi essere uno sprinter.

«Essere velocisti – ha scritto il 20 febbraio – ogni anno 365 giorni di sacrifici per 20 secondi di puro orgasmo e poi… riparti da capo. Tanto dura quanto affascinante. Non ho rimpianti, ma l’ultimo km… Sì, quello mi manca da matti; l’adrenalina le endorfine… Rifarei tutto dalla A alla Z. Il ciclismo è la vita amplificata; è scuola di vita accelerata all’ennesima potenza. Niente scuse impari a dover prendere decisioni sotto pressione in un millesimo di secondo, sgomitare, evitare le cadute, ad assumerti le tue responsabilità nelle sconfitte e nelle vittorie… Impari a non trovare scuse. Impari ad impegnarti di più senza trovare alibi».

Per scaricare l’adrenalina, oggi Furlan si dedica alle discese in mountain bike (foto Facebook)
Per scaricare l’adrenalina, oggi Furlan si dedica alle discese in mountain bike (foto Facebook)

Dimensione matrix

Poteva bastare ed è piaciuto di certo ad oltre 700 follower. Si capiva però che ci fosse dell’altro. Per cui abbiamo accettato di fare un giro nella sua testa, scoprendo quello che Angelo definisce il matrix.

«Velocista non smetti mai di esserlo – dice – sono otto anni che ho smesso e applico tutto quello che ho imparato. Ci sono continue analogie tra la vita del corridore e quella del lavoro, dai corsi che organizzo agli altri progetti. Però mi manca l’adrenalina dello sprint. Il frizzantino di quando entri in quel matrix e trovi la pace dei sensi in quella fase che agli altri provoca terrore. Ti annusi con gli altri, riconosci i loro movimenti. Anche nella vità è così. Ti sposti a destra, vai a sinistra, freni e rilanci. Lo scalatore va in bici per il panorama, noi per quell’adrenalina. Credo di poter dire che di base il velocista sia bipolare».

Quel pizzico di follia che affiora nelle foto sui social assieme a Ferrigato per promuovere inziative
Quel pizzico di follia che affiora nelle foto sui social assieme a Ferrigato per promuovere inziative
Spiegati meglio.

Il velocista vive di paradossi. E’ una persona calmissima, nasconde agli altri il mondo che ha dentro. Come nel film “A Beautiful Mind”. Per essere velocista non basta avere gambe grosse e picchi altissimi, peraltro una tipologia di velocista che sta sparendo. Devi avere qualcosa dentro, una sorta di settimo senso. Non so come spiegarlo. Velocista si nasce e non si smette di esserlo. Lo vedo quando sono in macchina e quello davanti sbaglia una curva o mi scopro a immaginare la traiettoria più breve per arrivare prima.

Lo tiene nascosto fino a un certo punto, hai mai osservato gli occhi di un velocista?

No, cosa fanno?

Anche quando è a riposo, non stanno mai fermi. Sono veri scanner. Come si fa a convivere con quest’ansia?

Devi trovare il modo per sfogarla, altrimenti diventa qualcosa di pericoloso. Io ad esempio prendo la mountain bike e faccio le mie belle discese a filo di rocce. Pratico sport che richiedono un’attenzione estrema. Se in qualche modo non liberi la bestia che hai dentro, rischi la tristezza o di andare giù di testa.

Quando c’erano Cipollini e Petacchi – dice Furlan (a destra in maglia Alessio) – il terzo era quello che sopravviveva ai colpi del finale
Con Cipollini e Petacchi – dice Furlan (a destra in maglia Alessio) – il terzo era quello che sopravviveva ai colpi del finale
Un tuo collega un giorno raccontò che in volata sembra di vivere tutto al rallentatore.

Diventa tutto chiaro, hai i sensi così amplificati che riesci a vedere anche quello che succede alle tue spalle. Capisci chi frena, chi si sposta. Io lo chiamo il matrix…

Ce lo racconti?

Entri in un’altra dimensione. Adesso mi prenderanno per matto, ma mi è capitato più volte di vedermi dal di fuori. Raggiungevo lo stesso tipo di introspezione nelle tappe alpine, in cui la scelta era fra morire o staccare l’anima dal corpo. Di solito era la seconda, perciò mi risvegliavo dopo un’ora e mezza che in qualche modo ero rientrato nel tempo massimo ed ero arrivato in hotel. E sì che per noi anche la volata era una fase eterna. Quando c’erano Cipollini e Petacchi con i loro treni, noi altri arrivavamo alla volata già finiti. Il terzo era quello che usciva dall’incontro di boxe fatto di gomitate e scatti per tutti gli ultimi 10 chilometri. Garzelli un giorno venne a dirmi che non si capacitava di come facessimo.

Alla Parigi-Tours del 2010, secondo dietro Freire, terzo Steegmans: sul podio, gradini invertiti
Alla Parigi-Tours del 2010, secondo dietro Freire, terzo Steegmans: sul podio, gradini invertiti
Cosa succede quando guardi una volata in tivù?

Mia moglie dice ai bambini di uscire dalla stanza perché papà ha da guardare la volata. E io mi trasformo.

Potresti avere la bestia dentro perché pensi di non aver dato tutto?

No, in realtà no. Ho fatto 13 anni da professionista e sempre al massimo livello. Ho smesso per restare in famiglia. Non ho nostalgia del preparare la valigia e per questo non ho fatto il diesse, ma sapevo che quella parte non sarebbe più tornata. Smettere è stato un inizio. Sono sempre nel ciclismo e la seconda carriera mi sta dando quasi più soddisfazioni della prima. L’unica cosa che mi brucia è quando Freire mi passò sul filo alla Parigi-Tours del 2010.

Furlan racconta che in salita scindeva l’anima dal corpo per riuscire ad andare avanti
Furlan racconta che in salita scindeva l’anima dal corpo per riuscire ad andare avanti
Ti capita mai di fare volate con gli amici?

Sì, ma devo stare attento, perché mi si chiude la vena e rischio di fare disastri (ride, ndr). Mi sono allenato per una vita con Fabio Baldato, che è un amico al pari di Andrea Ferrigato. E dopo un po’ che pedalavamo, Fabio mi faceva spostare sulla sinistra perché non mi rendevo conto sistematicamente di dargli gomitate e di spingerlo verso il ciglio.

Ci voleva pazienza con te…

Qualcuno ti sceglie per essere velocista. Quando vedi una riga che taglia la strada, chiunque o qualsiasi cosa si frapponga fra te e lei, è un nemico. Non distingui più i colori, vedi solo la riga. Alla Vuelta del 2002 in cui vinsi due tappe, non volevo i compagni davanti, ma dietro, per dirmi cosa accadesse alle mie spalle.

Il contrario del treno…

Ero un velocista da trincea, le volte che ho vinto con il treno non sono state altrettanto belle.

Greipel ricorda ogni volata? Possibile. Qui il tedesco lo batte al Turchia del 2010
Greipel ricorda ogni volata? Possibile. Qui il tedesco lo batte al Turchia del 2010
Petacchi ammise di non essere un velocista, ma un corridore potente che con il treno diventava imbattibile.

Analisi corretta, anche se un po’ di predisposizione deve esserci. Pozzato poteva essere come Petacchi a livello di numeri, ma non faceva le volate perché aveva paura. Lo stesso Cancellara oppure Backstedt.

Di recente Greipel ci ha detto di ricordare tutte le volate che ha vinto.

Ha ragione. Io ho rimosso dalla mente tante salite che ho fatto, ma delle volate ricordo anche gli odori.

Davide Rebellin Saby Sport

Saby Sport: professionismo, ma non solo

19.05.2021
3 min
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Saby Sport prosegue spedita la propria crescita ed espansione commerciale nel settore del ciclismo puntando forte sia sulla qualità Made in Italy (meglio, Made in Veneto!) della produzione quanto sulla presenza, in qualità di sponsor tecnico, di alcune formazioni impegnate nel calendario professionistico. Tra queste, merita senza dubbio evidenza la squadra UCI Continental Work Service Marchiol Vega Prefabbricati, compagine che proprio quest’anno ha consentito a Davide Rebellin di proseguire “in gruppo” e questo anche a beneficio dell’esperienza che lo stesso Rebellin potrà trasmettere ai moltissimi giovani che compongono la formazione padovana.

Angelo Furlan
Anche Angelo Furlan veste Saby Sport
Angelo Furlan
Anche l’ex professionista Angelo Furlan usa completi firmati Saby Sport

La maglia di Angelo Furlan

Oltre alla partnership con Work Service Marchiol Vega Prefabbricati, Saby ha anche recentemente realizzato una speciale divisa per Angelo Furlan. L’ex corridore professionista, anch’egli vicentino, oggi preparatore ed autentico trascinatore sui canali social. La maglia definita con lo stesso Furlan è una Limited Edition, il modello che rappresenta per Saby la linea di prodotto più elegante arricchita con un elevato contenuto tecnico. Concepita tutta in un unico tessuto, il 14610, molto elastico, leggero e super traspirante, questa maglia è perfetta per le stagioni calde. Nelle maniche il tessuto Pirata a taglio vivo rappresenta il perfetto mix di qualità e comfort. Ulteriore caratteristica della maglia è la zip centrale pressofusa che alza ulteriormente il livello complessivo di qualità. Sul fondo maglia è poi presente un elastico in silicone, mentre nella parte posteriore sono presenti tre tasche. La vestibilità è “slim” e dunque ben aderente al corpo.

Gianluca Peripoli, titolare di Saby Sport
Gianluca Peripoli, titolare di Saby Sport
Gianluca Peripoli, titolare di Saby Sport
Gianluca Peripoli, titolare di Saby Sport

Orgogliosi di essere italiani

«Saby, la passione del vero Made in Italy. Questo è lo storico slogan che caratterizza l’attività della Saby Sport – ci ha confidato Gianluca Peripoli, il titolare del brand – e proprio questo slogan lo utilizziamo sempre e con molta convinzione in quanto ci rappresenta e ci contraddistingue alla perfezione. Noi siamo difatti orgogliosi di essere Italiani, e di proporre in un mondo oramai globalizzato la bellezza, la qualità e il comfort di specifici capi per il ciclismo che solamente un design ed una realizzazione artigianale in Italia possono conferire. Il nostro è un vero Made in Italy, che apre e che chiude il proprio ciclo produttivo all’interno dell’azienda. Siamo a Km zero, ed abbiamo massima cura dei dettagli e questo grazie alla ricerca, alla selezione e alla scelta dei migliori materiali, altamente tecnici ed innovativi, e dei tessuti sempre più leggeri e performanti, ai quali aggiungere i fondelli più confortevoli traspiranti ed ergonomici».

sabysport.com

Angelo Furlan posizionamento

Bici e nuovi materiali: come cambia lo stile di guida?

30.12.2020
4 min
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L’evoluzione tecnica delle biciclette e dei materiali ha portato ad un cambiamento del modo di lavorare dei meccanici, come ci ha raccontato Enrico Pengo in una nostra intervista recente. Ci siamo chiesti se questo cambio di materiali abbia influito anche sullo stile di guida della bicicletta, soprattutto fra i professionisti. Per capire se e come ciò sia accaduto, abbiamo parlato con Angelo Furlan, ex professionista di alto livello che oggi si occupa di biomeccanica attraverso la sua associazione AF360 Bike Academy

C’era una volta il su misura

L’introduzione dei freni a disco, i cerchi con i canali e con i pneumatici sempre più larghi, l’introduzione del tubeless e soprattutto i telai in carbonio con i manubri integrati hanno cambiato totalmente l’aspetto delle biciclette. Ma forse non è solo l’aspetto ad essere cambiato.
«Negli anni 70-80-90 doveva ancora arrivare l’avvento del bike fitting – inizia così Angelo Furlan – i telai erano costruiti in maniera artigianale, spesso erano su misura e si utilizzava l’acciaio oppure il titanio che davano delle risposte diverse rispetto al carbonio».

Questa situazione è andata avanti fino ai primi 2000 poi ci sono state situazioni miste con telai in acciaio o in alluminio con parti in carbonio.

«Da dieci anni a questa parte si è passati tutti al carbonio – prosegue Angelo Furlan – allo stesso tempo è successa anche un’altra cosa. Una volta il corridore aveva delle biciclette su misura con delle soluzioni tecniche che non erano presenti sul mercato. Ad un certo punto per andare incontro alle esigenze proprio del mercato questa cosa è sparita».

La conseguenza è stata che «il professionista si deve adeguare a misure di telai che sono state pensate per gli amatori».

Angelo Furlan in azione quando era professionista con la Lampre
Angelo Furlan in azione quando era professionista con la Lampre

L’esempio di Van Aert

Furlan ci porta un esempio di questo cambiamento con un atleta di primissimo piano: «Un po’ di tempo fa sulla mia pagina Facebook ho lanciato la domanda, sapete perché Van Aert ha un attacco manubrio da 14 centimetri? Le risposte sono state molte e diverse, ma la verità è che lui ha una grande flessibilità muscolare, vuole pedalare in una posizione bassa, ma la misura del telaio che andrebbe bene per lui non gli permette di avere l’assetto che desidera. La soluzione è utilizzare una misura più piccola e compensare con un attacco molto lungo».

Come cambia la guida

Il tipo di scelta che ha dovuto fare Van Aert non è isolata, ormai è molto diffusa fra i professionisti ed è dovuta alla mancanza del telaio su misura e a geometrie standard. Ma questo porta anche a conseguenze in fase di guida della bicicletta.
«Stare più bassi per i professionisti – continua Furlan –porta vantaggi aerodinamici e una migliore spinta sui pedali. Però avere un attacco manubrio così lungo può causare del leggero sottosterzo in alcune fasi di guida. Guidare una bici di oggi è più difficile, perché la grande evoluzione e il miglioramento dei materiali ti portano ad andare sempre più veloce, ma hai meno margini di errore rispetto ad una volta».

Angelo Furlan Spinning
Le sedute di spinning online sono state un successo
Angelo Furlan spinning
Un’attività che ha avuto molto successo sono le sedute di spinning online fatte da Furlan

Evoluzione ed Involuzione

In sostanza oggi si hanno materiali migliori. Il carbonio permette di avere telai più reattivi e anche più comodi rispetto a 10 o 20 anni fa, però c’è stata una sorta di involuzione nel posizionamento in sella, che porta qualche problema in più in fase di guida.
«Con i telai standard – dice Furlan – mi capita spesso di mettere in posizione dei dilettanti e dovergli montare attacchi manubri con inclinazione negativa. Oppure impostare dei fuori sella al limite del possibile. Poi alla fine le soluzioni per fare andare bene quel telaio su quell’atleta le trovi sempre, però non arrivi a raggiungere l’ottimo del telaio su misura».

Lo stile perfetto non c’è più

Infine, un’ultima osservazione di Furlan è sulla posizione in bicicletta dei professionisti attuali.
«In gruppo non si trova più un corridore che eccelle per lo stile, questo perché è cambiato l’approccio generale sulla posizione in bici con tanti vantaggi ma anche svantaggi».