Il biomeccanico esterno ai team: a tu per tu con Angelo Furlan

24.11.2024
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Ieri abbiamo parlato della visita biomeccanica di Francesco Busatto presso il centro di Angelo Furlan (Angelo Furlan 360 a Crezzo, Vicenza). Si parlava davvero di millimetri, di dettagli… ma sono quelli, oggi più che mai, che fanno la differenza nel ciclismo professionistico.

Il fatto, però, che un atleta WorldTour ricorra ad un biomeccanico esterno ci ha fatto riflettere. E’ curioso capire come una figura esterna possa interagire con team sempre più strutturati. Furlan ha parlato esplicitamente di una triangolazione. Di questo, ma anche di biomeccanica più in generale, abbiamo parlato direttamente con l’ex sprinter di Alessio, Credit Agricole e Lampre.

Furlan al lavora con Busatto, i due si conoscono da anni. Avere i feedback dell’atleta è centrale per Angelo
Furlan al lavora con Busatto, i due si conoscono da anni. Avere i feedback dell’atleta è centrale per Angelo
Angelo, hai corso per molti anni e da tempo lavori come biomeccanico anche con atleti di alto livello come Francesco Busatto. Quando un professionista ti porta le misure della squadra come ti poni con quei dati?

È una questione di equilibrio. Essere stati ciclisti professionisti mi aiuta a immedesimarmi nell’atleta e a capire il contesto in cui opera. Spesso i team hanno equilibri interni delicati, e quando un ciclista si rivolgeva a un tecnico esterno, specialmente in passato, era guardato con sospetto se non otteneva subito risultati. La prima cosa che faccio è accertarmi che il team sia d’accordo con la collaborazione esterna. Poi analizzo il lavoro fatto dal biomeccanico della squadra, senza criticarlo, ma cercando di comprendere il perché di determinate scelte. Ogni tecnico ha il proprio approccio, quindi il mio obiettivo è mediare, rispettare il lavoro altrui e proporre modifiche in modo graduale, triangolando le esigenze del ciclista con i dati a disposizione.

Ti capita mai di entrare in contatto diretto con il team o con i loro tecnici?

Più spesso mi interfaccio con i meccanici per verificare dettagli tecnici, come le misure prese o eventuali regolazioni, perché tante volte una misura varia in base al modo in cui è presa. Con le squadre straniere, c’è generalmente un approccio più aperto: hanno un biomeccanico di riferimento, ma lasciano libertà al corridore di consultare tecnici di fiducia.

Non solo team italiani. Abbiamo visto con i nostri occhi un atleta di un grande team WorldTour nascosto tra i van della carovana pubblicitaria a “smanettare” con la brugola…

Tuttavia, ci sono realtà che impongono il proprio esperto, e questo può creare situazioni particolari. Le squadre vogliono avere tutto sotto controllo. Ma poi il più delle volte va a finire che l’atleta si sistemi come vuole.

Posizionare le tacchette al millimetro è uno dei passaggi più delicati
Posizionare le tacchette al millimetro è uno dei passaggi più delicati
Quanto contano ancora le sensazioni dell’atleta nel tuo lavoro?

Tantissimo. Le sensazioni sono un elemento centrale, soprattutto per un professionista. Il nostro compito è combinare queste con gli studi accademici e la nostra esperienza. Seguire solo i dati, ignorando ciò che l’atleta percepisce, spesso porta a più problemi che soluzioni. Un esempio è quello di Francesco: ci sono stati commenti sulla sua posizione in bici per quel video, come il ginocchio in extrarotazione o il movimento del bacino. Sì, accademicamente ci sarebbero margini di correzione, ma intervenire in modo eccessivo potrebbe causare più danni che benefici. È una questione di equilibrio tra biomeccanica e funzionalità specifica del corridore.

Ricordiamo il caso forse più famoso, almeno in tempi recenti, quello di Peter Sagan…

Esatto, Sagan è un esempio perfetto. Con Peter ci ho anche corso ed era uno dei più “storti” in bici, con movimenti anomali del bacino e delle anche, ma questo non gli ha impedito di essere un campione. Quando hanno provato a raddrizzarlo, ha perso efficienza e non rendeva più. Lo stesso vale per altri atleti. Recentemente ho avuto tra le mani la bici di Pogacar. Chiaramente ho preso le misure, l’ho studiata… per curiosità se non altro. Tadej ha misure che ai miei tempi si sarebbero usate su pista, lui invece ci vince in salita! Questo dimostra che ogni atleta è unico, e il lavoro del biomeccanico è anche capire quando fermarsi e rispettare queste caratteristiche.

Anche per Furlan, Sagan è uno dei casi più emblematici in cui sensazioni e soggettività battono le imposizioni accademiche circa il posizionamento in sella
Anche per Furlan, Sagan è uno dei casi più emblematici in cui sensazioni e soggettività battono le imposizioni accademiche circa il posizionamento in sella
Tornando al video che tanto ha fatto discutere su Instagram, perché ritieni importante fare un test sotto sforzo per valutare la posizione?

Perché la posizione da fermo spesso non rivela i problemi che emergono quando l’atleta è sotto sforzo. Durante questi test analizziamo altezza e arretramento della sella, la distribuzione della spinta e l’omogeneità nei 360° della pedalata. Sotto sforzo il muscolo si accorcia e se un atleta tende ad andare troppo in punta di sella, possiamo adattare la posizione per assecondare questo comportamento senza penalizzare l’efficienza.

Quanto tempo serve per arrivare a una posizione ottimale?

Il primo bike fitting con Francesco durò circa due ore e mezza. Gli aggiustamenti successivi richiedono solitamente un’ora, ma dipende da cosa c’è da fare. Per piccoli interventi, come regolare i pedali o verificare una nuova scarpa, bastano anche 30 minuti. È un processo continuo, specialmente per un professionista che evolve nel tempo.

Spesso il biomeccanico esterno si confronta con i meccanici dei team: sapere come la misura viene presa è fondamentale
Spesso il biomeccanico esterno si confronta con i meccanici dei team: sapere come la misura viene presa è fondamentale
Quando un atleta cambia pedali, come nel caso di Francesco, su cosa si lavora? Non basta riportare le quote esatte?

Si parte misurando tutto con precisione, dalla scarpa agli spessori delle tacchette, usando strumenti come il calibro per verificare gli offset dichiarati dai produttori. Se l’atleta utilizza la stessa scarpa, il lavoro è più semplice. Poi si confrontano i dati precedenti con quelli nuovi per vedere se il cambio influenza angoli e dinamiche di pedalata. Anche piccole variazioni possono influire sull’efficienza, quindi è importante procedere con attenzione e, appunto, massima precisione.

Chiaro, quei microdettagli di cui dicevamo all’inizio…

Sicuramente il dialogo con l’atleta. Non è solo questione di numeri o tecnologie, ma anche di fiducia reciproca. Ogni ciclista è un mondo a sé, e trovare la posizione ideale richiede una comprensione profonda delle sue esigenze, sensazioni e caratteristiche fisiche. Il fatto di essere stato un corridore a mio avviso aiuta molto in tutto ciò. Quando da me viene un pro’ siamo alla pari, lo ascolto, è un dialogo “da tecnico a tecnico”. Quando viene un amatore è perché lui vuole essere sistemato e apprendere, altrimenti esce di testa e continua a cambiare posizione.

A scuola dal mago Angelo, che accende le scintille

29.11.2023
9 min
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Angelo Furlan lo conosciamo tutti per le video lezioni, le preparazioni, la biomeccanica, le acrobazie e il suo darsi da fare a 360 gradi per il mondo del ciclismo. Quel che passa più inosservato è ciò che il vicentino, 13 stagioni da professionista sulle spalle, fa con i bambini e per i bambini, in un disegno complessivo che parla di pedagogia, educazione civica e tutela dell’ambiente. Nel momento in cui appare piuttosto complicato convincere i genitori a mettere i figli sulla bici, farsi raccontare la sua ricetta potrebbe essere di ispirazione anche per altri.

«Diciamo che sono quello che accende le scintille – sorride con il solito spirito da velocista – e poi mi defilo a fin di bene. Non voglio essere onnipresente o tuttologo, per cui faccio una sorta di centro di reclutamento e poi passo la palla alle società. Li prendo. Gli faccio vedere quanto è bella la bici. E poi so che qualcuno va a fare mountain bike, qualcuno bici da strada, qualcuno hip hop, altri si divertono a costruirsi i salti in giardino. So dove vanno, mentre io faccio un passo indietro».

La sua Bike Academy propone corsi settimanali estivi, raccontati come momenti di svago e non certo di scuola. Qualcosa che va oltre il centro estivo, ma porta i ragazzi a immergersi nella natura, a sperimentare la tecnica di base sulla bici, lavorare sull’equilibrio e sulla socializzazione. Il tutto con lo strumento del gioco, l’unico capace di catturare l’attenzione dei bambini.

Non solo bambini: qui Furlan lavora con Busatto prima del Tour de l’Avenir (foto Angelo Furlan 360)
Non solo bambini: qui Furlan lavora con Busatto prima del Tour de l’Avenir (foto Angelo Furlan 360)
Come ti è venuta l’idea?

Mi è venuta a fine carriera, quest’anno festeggio il decimo anno. E’ stata una cosa fisiologica, figlia della mia esperienza. Ho iniziato a correre su strada a 16 anni venendo dalla BMX. Sono sempre stato un ciclista e ho dovuto scegliere la strada, senza mai essermi deciso del tutto, perché mi piacevano tutte le discipline. Così ho pensato che la cosa migliore perché tanto girare avesse un senso, era raccogliere tutte le cose positive che ho vissuto e metterle a disposizione di chi è pronto a partire per lo stesso viaggio.

I bambini?

Proprio loro, unendo al ciclismo la dimensione del gioco. Facciamo anche esercizi di ritmizzazione, insegniamo a cadere, vogliamo fare qualcosa di nuovo e accattivante. Mi sono immaginato l’Angelo bambino e quanto si sarebbe divertito facendo tutte le cose belle che si possono fare con la bici. Così è nata l’idea della Bike Academy, che è un propulsore buono di scintille.

In che modo la pubblicizzate?

Con il passaparola, lasciamo che siano gli altri a trovarci. Chi si trova bene ne parla bene. Solitamente parte un genitore che vuole dare un’esperienza di qualità, poi il bambino si appassiona. Nei corsi che faccio in Federazione, sono 10 anni che dico che questa è l’età più importante in cui essere formati e in cui servono istruttori formati. Vengono dal lunedì al venerdì e ci sono quelle che, in maniera molto triste, vengono chiamate progressioni didattiche, ma quello sono. La prima lezione, ad esempio, serve per imparare a cadere. Poi è tutto un evolversi di esperienze coordinative nascoste sotto il gioco.

Che poi è il vostro slogan…

Esatto: otto ore di ricreazione al giorno. In realtà però fanno scuola di vita, scuola di bici, scuola di coordinazione, vivendo le esperienze che la nostra generazione aveva la fortuna di fare semplicemente giocando all’aria aperta. Proponiamo un insieme di attività che li fanno crescere a livello motorio, ma anche a livello esperienziale. Andiamo nel bosco, gli facciamo vedere il territorio in cui vivono e glielo facciamo conoscere e amare. Gli esercizi hanno tre gradi di difficoltà. Si chiamano Yellow, Green e Gold che vanno in base alle abilità dei ragazzi. Non devono essere campioni, anzi meglio se è la prima volta che si approcciano al mondo della bici.

L’agonismo resta fuori?

Non abbiamo la presunzione di formare atleti, anzi cerco di fermare sul nascere atteggiamenti troppo pressanti dei genitori, che potrebbero far passare ai bambini la voglia di andare in bicicletta. Il lunedì non parlano, non riescono a comunicare. Quando arrivano al venerdì, sono un fiume in piena dal punto di vista delle emozioni, ma anche della comunicazione tra loro, perché li stimoliamo veramente. Fanno almeno tre tipi di bicicletta, ma ogni anno cambiano i moduli. Un anno ci potrebbe essere l’arrampicata, l’anno dopo anche il golf. Cerco di spaziare su più campi motòri possibili, con un senso. C’è sotto una struttura ben definita.

Vista la diversità di livello, è possibile che un bambino faccia più di una settimana?

Non lo consiglio. Mio figlio, che ha 7 anni, sta facendo il corso di BMX, che è spalmato su tre mesi. Bene, quello che lui fa in tre mesi, alla Bike Academy lo farebbe in un giorno. Il nostro corso è spalmato su 8 ore al giorno, due settimane sarebbero un impegno troppo gravoso. La Bike Academy non è un centro estivo. E’ un concentrato di esperienze sensazionali: se fai anche la seconda settimana, cosa mai potrebbe stupirti andando a fare ciclismo in una società giovanile?

Deve essere una settimana indimenticabile da cui spiccare il volo?

Esattamente. Proponiamo esperienze talmente alte, che non ha senso abbassare il livello per durare più giorni. L’anno scorso mi sono buttato dentro un laghetto con la bici, è una sorta di Wonderland, ma in realtà alle spalle di ogni attività ci sono dei docenti formati, anche ridono e scherzano. E’ una settimana molto compressa, ma anche molto ampia dal punto di vista delle emozioni.

E’ fuori luogo immaginare una formula da spalmare su un periodo più lungo?

Andremmo a fare concorrenza alle associazioni sportive, che noi invece vogliamo aiutare facendogli arrivare nuovi bambini. E soprattutto, il sottoscritto non avrebbe tempo di seguirla. Una delle cose cui tengo, almeno finché il fisico mi sosterrà, è che nella Bike Academy di Angelo Furlan deve esserci Angelo Furlan. Non deve portare solo il nome, solo così puoi trasmettere la tua esperienza, chiaramente con un pool di 20 collaboratori. Il rapporto massimo è di un istruttore per 8 bambini, non di più. C’è una sorta di numero chiuso, anche perché l’organizzazione è impegnativa.

Anche logisticamente?

E’ quasi come organizzare un piccolo Tour de France, perché anche noi siamo itineranti. Abbiamo furgoni e rimorchi, ci spostiamo anche in natura e nel giro di un quarto d’ora tiriamo su il Villaggio Bike Academy. Montiamo e smontiamo, per cui sarebbe abbastanza impegnativo da fare per tutto l’anno.

Credi sia un format esportabile nelle scuole?

Nelle scuole mediamente vado spesso e ne faccio una decina ogni anno. Non si tratta di fare pubblicità alla Bike Academy, ma parlo per far capire ai ragazzini quanto sia bello andare in bicicletta. Cerco anche di stimolare gli insegnanti perché portino i ragazzi a fare ciclismo, ma in dieci anni che facciamo queste cose, grossi cambiamenti non li ho visti.

Hai parlato di istruttori formati, cosa intendevi?

Per lavorare con i bambini serve un pool di professionisti. Bisogna far passare il messaggio che chi allena i giovanissimi deve conoscere almeno i rudimenti della psicopedagogia. Deve sapere come lavorare sulla coordinazione oculo manuale, ovviamente non spiegandola ai bambini in termini scientifici, però magari facendoli giocare lanciandogli una pallina. Il tecnico che lavora con i bambini deve essere anche un educatore e un animatore. Altrimenti, se non sei interessante, dopo tre secondi ti scaricano. E forse per questo pochi vogliono o sanno farlo.

Quanto costa fare la Bike Academy?

Anche noi abbiamo bisogno degli sponsor. Ci sono tante belle persone qui in giro, imprenditori che ci sostengono. Amici che vedono il progetto, mettono il nome della loro azienda, ma di base vogliono aiutarci. Solo con le iscrizioni, non potrei fare questa qualità e non potrei pagare gli istruttori. La Bike Academy costa molto di più di un centro estivo, anche se molto meno rispetto al modello americano. Il prezzo è intorno ai 350 euro a settimana, che è molto più dei 30 euro del centro estivo comunale. Quando però vengono, si rendono conto della differenza. Noi gli diamo le biciclette, i completini e i caschi. Alla fine fanno una festa con le premiazioni. E’ dura anche per lo staff lavorare con i ritmi serrati, ma se vuoi lasciare qualcosa di buono, bisogna lavorare con questa qualità.

A ruota del maestro nel percorso della pista. Si provano tutte le bici (foto Angelo Furlan 360)
A ruota del maestro nel percorso della pista. Si provano tutte le bici (foto Angelo Furlan 360)
Sai se qualcuno dei bambini che sono passati da te in questi 10 anni ha continuato nel ciclismo?

Sì, ce ne sono. Fra i primi che hanno iniziato, che avevano 5-6 anni nel 2013, c’è qualcuno è esordiente o anche allievo. Ci sono stati ragazzi venuti da me a fare il bike fitting, che erano partecipato alla Bike Academy. Un grande buco è che a molti di loro piacerebbe fare mountain bike, ma la categoria allievi della mountain bike è inesistente, proprio non ci sono società.

Quali sono le soddisfazioni?

Quando i genitori mi mandano le foto dei figli che si sono fatti la pista di mountain bike in giardino. Oppure quando li portiamo per cinque ore nel bosco, magari a 500 metri dalla strada, ma per loro siamo in un posto sperduto. Quando vengono fuori delle dinamiche di gruppo incredibili. Si dice che il ciclismo sia uno sport individuale, invece loro si aiutano. Non c’è discriminazione, né dal punto di vista sociale né delle abilità. Alcuni bambini che sono dei Brumotti, altri magari hanno appena iniziato e li vedi che si aiutano tra loro in maniera del tutto fisiologica, senza che noi gli diciamo qualcosa. Per cui anche il sentire un po’ di fatica, senza bruciarli ovviamente perché non saremmo coerenti con quello che diciamo, fa venire fuori la parte più bella di loro.

Quando poi fai il passo indietro e li affidi alle società sportive, fai una sorta di passaggio di consegne?

Certo, di fatto i “miei” bambini non li abbandono mai.