Carboni e la rinascita alla Unibet Tietema: «Un punto di partenza»

22.04.2025
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La stagione di Giovanni Carboni è entrata nel vivo, il marchigiano doveva prendere parte alla Amstel Gold Race. Quello che poteva segnare il ritorno nelle corse di massimo livello, quello di categoria WorldTour, è stato però rimandato. Ora l’azzurro della Unibet Tietema Rockets ha cambiato rotta e sarà protagonista al Tour of Turkiye. Cambia la gara ma non l’obiettivo, confermare quanto di buono fatto fino ad ora.

«Non è stato il miglior momento della stagione – racconta – visto che nei giorni precedenti all’Amstel ho avuto uno sfortunato incontro con un’ape che mi ha punto sul labbro. Non ho potuto prendere medicinali a causa del protocollo antidoping, quindi mi sono armato di pazienza e ho combattuto il prurito pedalandoci sopra. Venerdì parto per la Turchia, una bella gara a tappe che ho già disputato in passato al secondo anno under 23 con la Trevigiani. Finalmente si va a correre al caldo e sarà comunque un bel banco di prova.».

Carboni in questo 2025 ha collezionato già 23 giorni di corsa e sei top 10 (foto Instagram)
Carboni in questo 2025 ha collezionato già 23 giorni di corsa e sei top 10 (foto Instagram)

Tornato a respirare

Entrare nel mondo della Unibet Tietema Rockets è stato come aprire un nuovo capitolo nella vita di Giovanni Carboni. In un libro fatto di tante buone qualità e altrettanta sfortuna la nuova avventura con la formazione professional sembra avergli ridato lo slancio dei giorni migliori. La vita dei corridori è sempre sotto i riflettori e ogni momento è registrato e trasportato sui social, ma questa è la parte che emerge dalla superficie. Però, come in un iceberg, quello che conta è sotto il pelo dell’acqua.

«A livello di preparazione e nutrizione – spiega Carboni – c’è uno staff dedicato che lavora in maniera semplice, ma estremamente efficace. Internamente è tutto suddiviso per settori: ci sono tre preparatori, un addetto ai materiali e un medico. Il mio allenatore è Boy Sanders, un ragazzo giovane molto bravo ad unire metodi di lavoro nuovi con quelli che ho sempre usato in passato. L’esempio concreto è che mi sto allenando con un metodo polarizzato e devo dire che i risultati sono buoni. Se paragono questo inizio di stagione agli anni passati mi rendo conto di star facendo i miei migliori risultati».

Per Carboni uno dei migliori risultati di inizio stagione è stato il quinto posto al Trofeo Laigueglia (foto Instagram)
Per Carboni uno dei migliori risultati di inizio stagione è stato il quinto posto al Trofeo Laigueglia (foto Instagram)
Ti sei rilanciato…

Ci tengo a dire che la squadra capace di rilanciarmi è stato il JCL Team UKYO l’anno scorso. Volpi, Boaro e tutto lo staff mi hanno accolto dopo due stagioni difficili e mi hanno permesso di tornare ad alti livelli. Con la Unibet sto facendo uno step successivo, ma senza la JCL non sarei qui. Pensare di aver corso il Laigueglia e la Vuelta Andalucia ha il sapore di una rivincita personale

Come materiali come ti trovi?

Molto bene, abbiamo tanti partner e sponsor italiani: Kask, Santini, Dmt, Prologo. Con alcuni di loro avevo già lavorato in passato. La novità dal punto di vista tecnico è rappresentata per me dalle bici Cannondale, non ci ero mai salito e devo ammettere che mi sto trovando molto bene. 

Carboni per la prima volta in carriera sta correndo con bici Cannondale
Carboni per la prima volta in carriera sta correndo con bici Cannondale
Hai trovato una nuova motivazione?

Con questa prima parte di stagione sono riuscito a mostrare che ho ancora tanta voglia di allenarmi e correre. Ho la giusta motivazione che mi spinge a cercare il risultato e il piazzamento. 

Sei stato tante volte in top 10, manca la vittoria come ciliegina sulla torta?

Sta diventando un po’ un pallino perché tante volte ci sono andato vicino ma per un motivo o per un altro è scivolata via. Intendo nel vero senso del termine visto che in un paio di occasioni una caduta nel momento sbagliato mi ha tagliato fuori dai giochi. Anche in Grecia (nell’ultima gara a cui ha preso parte, ndr) sono stato in lotta per vincere la tappa regina. Ha vinto un mio compagno: Adrien Maire. Io ho fatto quarto. 

A novembre, dopo la firma, avevi detto che il tuo ruolo sarebbe stato anche quello di portare esperienza, come sta andando?

Bene! Correre insieme a ragazzi giovani mi piace, riesco a mettere a disposizione quel che ho imparato. Anche in Grecia ho aiutato Maire a conquistare la vittoria, sentirmi dire «grazie» è stato bello, dà comunque tanta soddisfazione. Essere interpellato in una riunione tecnica mi fa sentire importante e apprezzato. 

Si parla inglese?

Certamente. Inizialmente avevo qualche “limite” ora sto facendo dei corsi extra per imparare la lingua. Credo sia fondamentale per il futuro in ambito lavorativo e non solo. 

Carboni in Grecia ha conquistato la classifica dei GPM (foto Instagram)
Carboni in Grecia ha conquistato la classifica dei GPM (foto Instagram)
L’impressione è che sia una squadra in cui ci si diverte molto. 

La squadra è giovane, si tratta di una realtà al suo terzo anno di attività. Qui si fa tutto con il sorriso ma c’è la consapevolezza di sapere quali sono i passi giusti da fare. Anche prendere parte a corse WorldTour come la Roubaix o l’Amstel fa parte del cammino, ricordiamoci che l’obiettivo del team è prendere parte al Tour de France. 

Che cosa hai provato nel tornare in una gara WorldTour?

Non ci ho pensato molto, complice anche l’incidente con l’ape. La verità è che mi piace pensare di essere arrivato a un punto di partenza e non di arrivo. Lo scorso anno è stato di transizione, nel 2025 voglio dimostrare che posso stare nel ciclismo che conta e di poter dire la mia.

EDITORIALE / L’abuso del talento è peccato capitale

21.04.2025
4 min
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A Pogacar non converrebbe a questo punto saltare la Freccia Vallone e sparare le ultime cartucce alla Liegi? Sarebbe un peccato trovarlo a corto di gambe nella Decana di tutte le classiche. In questo giorno di Pasquetta, che al Nord è quantomai provvidenziale dopo l’Amstel di ieri, il pensiero fa capolino con crescente insistenza.

La corsa di ieri ha proposto un altro scontro fra titani. Evenepoel ha preso il posto di Van der Poel, mentre Pogacar ha continuato a giocare da par suo. Potente lavoro di squadra e attacco coraggioso a 48 chilometri dal traguardo. Sembrava tutto nuovamente perfetto, ma di colpo si è avuta la sensazione che Evenepoel avesse capito lo schema tattico del rivale e abbia corso di conseguenza.

Sul Cauberg finale, Evenepoel ha rinunciato ad attaccare, puntando sulla volata: un errore?
Sul Cauberg finale, Evenepoel ha rinunciato ad attaccare, puntando sulla volata: un errore?

L’errore di Remco

Lo ha tenuto davanti senza lasciarsi andare allo sconforto. Ha gestito l’inseguimento con la lucidità del cronoman. E il suo avvicinarsi ha scoperto le carte dello sloveno. Pogacar ha capito che non ce l’avrebbe fatta. Si è lasciato recuperare. Si è messo a ruota. E ha aspettato la volata, tendendo a sua volta una trappola spietata al giovane belga.

Riguardate il finale della corsa. Evenepoel avrebbe potuto staccarli sul Cauberg, invece ha peccato di ingenuità e commesso due errori. Il primo quello di credere che avendo battuto Van Aert alla Freccia del Brabante, avrebbe potuto rifarlo anche con Tadej. Il secondo quello di non pesare bene le caratteristiche di Skjelmose. Così facendo si è consegnato alla volata del danese e ha pagato pegno anche a Pogacar. La corsa perfetta di Remco si è convertita nel pasticcio di quegli ultimi 500 metri che saranno certo di insegnamento per la Liegi di domenica. E qui ci riallacciamo al ragionamento di partenza.

Il grande debutto di Roubaix non ha risparmiato a Pogacar una notevole fatica, forse non del tutto recuperata
Il grande debutto di Roubaix non ha risparmiato a Pogacar una notevole fatica, forse non del tutto recuperata

Abuso di talento

Pogacar viene dai fuochi d’artificio della Sanremo, dalla dispendiosa vittoria del Fiandre e dall’altrettanto faticoso debutto alla Roubaix. La voglia di correre sul pavé e il conseguente cambio del programma non hanno spinto la squadra a una riflessione supplementare. Si è semplicemente aggiunto, senza considerare il carico complessivo: come mai? Era noto da settimane che Pogacar avrebbe portato al debutto la leggerissima Colnago V5Rs proprio nella corsa olandese, ma vista la situazione probabilmente la vetrina per la nuova bicicletta sarebbe potuta rimanere in secondo piano.

Il campione del mondo, che ieri ha attaccato sulle strade dell’Amstel Gold Race ed ha ammesso che si sarebbe aspettato più collaborazione da Alaphilippe, è parso generoso, ma non irresistibile come al solito. Quando uno così attacca frontalmente, guadagna subito un margine importante, invece il suo vantaggio non è mai andato oltre i 20 secondi, rendendo possibile l’inseguimento… scientifico di Evenepoel. Vuoi vedere, abbiamo iniziato a pensare, che anche Pogacar è stanco e avrebbe bisogno di tirare un po’ il fiato? E allora perché non dismettere per una volta i panni di Superman, lasciare la Freccia Vallone ai compagni e affilare le armi per la Liegi in cui Remco sarà ancora una volta molto competitivo?

Il prossimo round della sfida fra Pogacar ed Evenepoel sarà la Freccia Vallone o la Liegi?
Il prossimo round della sfida fra Pogacar ed Evenepoel sarà la Freccia Vallone o la Liegi?

La Roubaix e l’Amstel

Per un istante, pensando a Tadej, ci siamo trovati a ricordare le fatiche di Van Aert di un paio di anni fa. Il voler fare tutto per vincere è certamente un fattore di spettacolo che piace ai tifosi, ai media e agli indici di ascolto. Tuttavia si ritorce contro il campione con effetti maligni e a lungo termine. Sarebbe stato più logico risparmiargli l’Amstel, portandolo alla Freccia con tre giorni di recupero in più nelle gambe. Il ciclismo dei fenomeni passa sopra alle regole di sempre, ma non si è mai visto un corridore andare così forte alla Roubaix e lottare per vincere l’Amstel. Fa parte dell’eccezionalità di Pogacar, ma in qualche modo l’esito della corsa di ieri conferma che la regola non è peregrina, che ha una sua base nella fisiologia degli atleti e pensare di aggirarla tradisca un peccato di superbia.

Ora che l’errore è stato commesso (è singolare che si possa considerare errore correre l’Amstel sette giorni dopo la Roubaix e arrivare secondi), non ci stupiremmo se la UAE Emirates risparmiasse a Tadej la corsa di mercoledì. Se davvero è in calando di condizione, superpoteri o no, arriverebbe alla Liegi senza le solite armi. Lo spettacolo ne trarrebbe probabilmente beneficio, ma a scapito della miglior gestione dell’atleta. L’abuso del talento è un peccato capitale dello sport.

Tra i due litiganti il terzo gode: Skjelmose!

20.04.2025
6 min
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E’ proprio vero: i detti non sbagliano mai e così, tra i due litiganti, il terzo gode ed è Skjelmose. Oggi, alla Amstel Gold Race, Tadej Pogacar pensava di seguire il suo solito copione: squadra che tira, ritmo che cresce e la sua bordata. E più o meno le cose stavano andando così. Il problema, e forse se n’è reso conto abbastanza presto, è che stavolta il largo non lo ha preso ed è rimasto sempre abbastanza a tiro dei suoi avversari. Uno su tutti: Remco Evenepoel.

Remco è stato molto intelligente. Lo ha lasciato sfogare, ha inseguito, ha tirato, si è nascosto a tratti… Forse si è esposto un po’ di più anticipando Mattias Skjelmose, che quando lo ha riacciuffato gli ha fatto cenno con la testa: «Andiamo, vieni dietro a me».

L’epilogo di questa Amstel lo abbiamo visto tutti. I tre erano molto stanchi e alla fine si è risolta in volata. A quel punto era immaginabile che potesse vincere Skjelmose, visto che è veloce di suo. E in più era quello che aveva speso un po’ meno rispetto ai due compagni di fuga.

“Suicidio” Pogacar

Capitolo Tadej: parte, va forte, prende il largo, ma non apre la solita voragine. La sua pedalata è agile ma non ficcante come sempre. Si gira più volte, stira i muscoli, si guarda attorno.

«E’ stata una bella gara – ha detto il corridore della UAE Team Emirates con tono meno squillante del solito – una corsa davvero buona per noi, ma alla fine il traguardo era un po’ troppo lontano: cinque metri di troppo per il primo posto. Ovviamente è stata una grande battaglia, ma io ero da solo, loro erano in due: fa una grande differenza. Quando io e Alaphilippe siamo andati via, speravo che rimanesse con me più a lungo, così da poter collaborare e restare avanti, ma forse eravamo troppo entusiasti nell’attaccare così presto».

«Alla fine ho provato da solo, ma una volta che Remco e Skjelmose sono andati via dal gruppetto tutto è cambiato. Eravamo uno contro due e con quel vento forte negli ultimi 15 chilometri non sono riuscito ad aumentare il distacco. Così ho deciso di aspettarli e giocarmela nel finale. E’ stata un’azione un po’ un azzardata e alla fine è arrivato il secondo posto. Avevo una trentina di secondi, ma sapevo che in salita si sarebbero avvicinati, quindi ho cercato di rilanciare sempre in cima e in discesa, ma come ho detto prima, con 15 chilometri da fare non era facile e ho pagato gli sforzi. Forse sarebbe stato meglio aspettarli prima, restare con loro due e giocarsela nel finale».

E su Remco: «Questa mattina ho detto che non sarei rimasto sorpreso da un grande Evenepoel. E avevo ragione. Mi aspettavo fosse così forte. Ha dimostrato a tutti di essere in forma, ma alla fine Skjelmose è stato il più forte. E adesso ci aspettano due belle battaglie».

Insomma, non è il solito Tadej schiacciasassi. Forse anche per lui le fatiche della Roubaix si sono fatte sentire. E questo, da una parte, ci rende felici: perché il verdetto dice che anche Tadej è umano. E forse piace ancora di più.

Recriminazioni Remco

E poi c’è Remco. Evenepoel arrivava da una delle settimane più particolari della sua carriera: il rientro con vittoria alla Freccia del Brabante, dopo un lungo stop, l’infortunio e tanti dubbi. Magari anche lui oggi si è sentito più forte di quanto non fosse realmente.

Il corridore della Soudal Quick-Step è andato fortissimo. Ci ha messo il cuore, forse anche troppo, e alla fine non aveva più quella gamba esplosiva per fare la differenza. Il fatto che né lui né Pogacar siano scattati sul Cauberg finale la dice lunga: erano tutti e due a corto di energie. Va detto, però, che Remco era stato coinvolto anche nella caduta che ha messo fuori gioco diversi big.

«Stavo bene, mi sentivo forte – ha detto con un po’ di rammarico – ma ho speso tante energie per inseguire dopo la caduta. Narváez è finito giù davanti a me, sono quasi riuscito a rimanere in piedi, ma la sua bici ha rimbalzato contro la mia e sono caduto. Se non fosse successo, forse sarei andato via da solo o con Pogacar. Forse ero il più forte in gara, ma non lo sapremo mai. Ho dato tutto nello sprint, anche se sono partito presto e con vento contrario. Senza contare che prima avevo speso moltissimo per chiudere su Pogacar».

Infine Remco chiude con una bordata che fa salire l’attesa per Freccia Vallone e Liegi: «Ho lavorato tanto per tornare e quindi non ho nulla da rimproverarmi. Oggi in salita mi sentivo il più forte. Peccato solo per la caduta. Ma questo è un segnale positivo per le prossime settimane. Posso solo migliorare».

Skjelmose, non svegliatelo!

Infine parola al vincitore. Mattias Skjelmose era, giustamente, il più felice al traguardo. Non solo per la vittoria, ma anche perché ha messo dietro due nomi non da poco: Evenepoel e Pogacar. Neanche nel migliore dei sogni poteva andare così bene al danese della Lidl-Trek.

«Non so se questa vittoria all’Amstel valga più del Giro di Svizzera – ha detto Skjelmose – ma di certo oggi ho battuto i migliori corridori al mondo. Come ci sono riuscito? Non lo so! Speravo di poter vincere, ma ero al limite da 50 chilometri e più volte ho dovuto chiedere a Remco di tirarci fuori dai guai, sia quando eravamo nel gruppo che poi in due».

Nelle sue parole c’è franchezza, forse anche un po’ di ingenuità. Ma quando racconta la volata, di ingenuo non c’è nulla.

«Allo sprint – spiega – ho cercato di prendere un po’ di spazio e di andare sul lato sinistro, perché il vento veniva da lì ed era più riparato. Solo che Remco ha anticipato e a quel punto sono stato costretto a seguirlo al centro. Quando ho avuto strada libera, sono tornato sul lato sinistro (che però era ormai il centro della carreggiata, ndr). Credo di essere riuscito a superarli perché, con il vento, ho potuto fare uno sprint corto. Di sicuro ho lanciato una volata più breve rispetto a Remco».

«Sarei stato felice anche solo con il podio – ha aggiunto – ero davvero al limite, e contro due corridori così sarebbe andato bene comunque. Credo mi servirà del tempo per capire davvero cosa ho fatto».

Infine la dedica: «Due mesi fa ho perso mio nonno. In questo periodo ho cercato di essere forte per la mia famiglia, perché di solito è mio padre a tenerla unita ed essere forte. Ma ora tocca a me. A lungo non sono riuscito e non ho potuto esprimere i miei sentimenti. Voglio dedicare questa vittoria a mio nonno. Ci penso da quando è iniziata la stagione. Lui ha sempre seguito le mie corse. Questa Amstel è tutta per lui».

Bredewold mette tutte nel sacco. E Persico si mangia le mani

20.04.2025
4 min
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Podio tutto olandese nell’Amstel Gold Race delle ragazze, con la SD Worx-Protime ancora sugli scudi e vincitrice con Mischa Bredewold dell’ennesima classica dopo la Sanremo, la Gand e la Roubaix. Il rendimento delle ragazze di Danny Stam colpisce per la regolarità ad alto livello. E quando non si tratta di Kopecky e Wiebes, ecco l’arrivo solitario di questa olandese classe 2000, già campionessa europea nel 2023, lesta a infilarsi nella grande fuga che ha deciso la corsa.

L’Amstel Gold Race si corre nel Limburgo olandese. Non manca il mulino a vento…
L’Amstel Gold Race si corre nel Limburgo olandese. Non manca il mulino a vento…

L’occasione di Persico

Da italiani ce ne andiamo con il rammarico di Silvia Persico, quinta all’arrivo a soli 9 secondi da Bredewold, che ha davvero creduto di poter vincere. Ma quando è rientrata sul Cauberg all’ultima scalata, ha scoperto di non avere più gambe e anche il podio è andato a farsi benedire. La curiosità è che Silvia fu quinta anche quando nel 2023 l’olandese conquistò il titolo europeo.

«Avrei voluto vincere – dice con franchezza la bergamasca del UAE Team Adq – ma davvero ai 400 metri mi si sono bloccate le gambe. Ho fatto un bel rientro e mi dispiace perché il podio almeno poteva esserci. Guardando le ultime edizioni, era difficile pensare che potesse andare via una fuga così numerosa. Io dovevo correre agressiva, per essere in supporto di Eleonora Gasparrini per la volata ed eventualmente di Longo Borghini in caso di attacco. Poi però, una volta nella fuga, ho corso per vincere. Nell’ultimo giro mi sono resa conto che Puck Pieterse e Juliette Labous andavano più di me, mentre Mischa (Bredewold, ndr) è stata furba, ma per vincere serve anche quello».

Già nell’ultimo giro, Persico si era resa conto delle gambe migliori di Labous e Pieterse
Già nell’ultimo giro, Persico si era resa conto delle gambe migliori di Labous e Pieterse

Fra testa e gambe

Bredewold è al settimo cielo. A parte l’europeo, nel palmares di questa ragazza alta 1,81 c’erano finora una tappa alla Valenciana, una al Baloise Tour e una al Simac. L’Amstel è la perla che dimostra la sua capacità di concretizzare le poche occasioni a sua disposizione.

«Sono molto sorpresa – ha detto subito dopo – ho avuto una settimana difficile mentalmente, ma la squadra mi ha davvero aiutato a superarla. Sono grata e felice. Lo sport di alto livello non è facile, si dubita molto e spesso ci si impegna tanto per ottenere scarsi risultati. Vincere una gara è così difficile. La chiave è stata la fuga. Ci siamo concentrati su Lotte (Kopecky, ndr), ma abbiamo visto questa opportunità e l’abbiamo colta. Io stessa forse avevo troppa paura di attaccare, quindi sono contenta che Ellen (Van Dijk, ndr) l’abbia fatto per tutte. Le altre non mi hanno seguito, quindi mi sono buttata. Odio il Cauberg, ma ho continuato, e poi sono rimasta sola in cima. Significa molto per me. Questa è l’Amstel, una gara importantissima nel mio Paese. E’ un sogno».

Elisa Longo Borghini (che ha portato in corsa la V5Rs) ha coperto l’attacco di Persico. Ora fa rotta di Freccia e Liegi
Elisa Longo Borghini (che ha portato in corsa la V5Rs) ha coperto l’attacco di Persico. Ora fa rotta di Freccia e Liegi

Programmi da riscrivere

Di corsa a livello mentale potrebbe parlare in fondo anche Silvia Persico, caduta al Trofeo Binda e recuperata in extremis per il Fiandre. Il progetto era vincerlo accanto a Elisa Longo Borghini, invece si è trovata a scortarla dalla caduta fino al ritiro. Il programma prevede un periodo di stop, ma la corsa per il team emiratino non è andata come speravano. Alena Amaliusik si è ritirata e adesso anche il programma di Silvia rischia la riscrittura.

«Sto tornando a casa dai miei – dice – e da programma non dovrei fare Freccia e Liegi, ma adesso devo aspettare cosa deciderà la squadra. Quattro settimane fa avevo una costola rotta, per cui la mia campagna del Nord finora è tutta da leggere. La squadra ha avuto diversi infortuni e io non sono ancora al top, perché ho poco allenamento alle spalle, ma è ancora tutto da capire. Arrivo a casa, provo a riposarmi domani e poi vediamo cosa mi diranno».

Cauberg, Muro d’Huy e Redoute, Bartoli spiega (e racconta)

20.04.2025
9 min
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Archiviate le corse di pavé e muri, si passa a quelle delle cotes. La Freccia del Brabante ha fatto da ponte, ma da oggi in poi con l’Amstel Gold Race si entra nel regno delle Ardenne. Salite un po’ più lunghe, ma comunque esplosive, di quelle in cui lo spettacolo viene quasi da sé… e in questa era di fenomeni non ne parliamo! Invece delle cotes e di queste strade ardennesi, ne parliamo eccome. E lo facciamo con un campione che lassù non si è solo fatto valere, ma più di qualche volta è stato dominatore: Michele Bartoli.

Con il toscano si parla delle salite simbolo delle tre classiche che mancano per chiudere la campagna del Nord: il Cauberg dell’Amstel, il Muro d’Huy della Freccia Vallone e la Redoute della Liegi-Bastogne-Liegi.

L’imbocco del Cauberg, siamo a Valkenburg, cittadina nel sud dell’Olanda non lontana da Liegi
L’imbocco del Cauberg, siamo a Valkenburg, cittadina nel sud dell’Olanda non lontana da Liegi

Il Cauberg

Il Cauberg è la rampa di lancio quasi sempre decisiva dell’Amstel Gold Race e simbolo, forse, di un’intera terra: Valkenburg. Qui si sono scritte anche pagine iridate e sempre qui andò in scena il famoso “ammutinamento” di Bartali e Coppi che, al mondiale del 1948, per controllarsi a vicenda arrivarono staccatissimi nelle retrovie. I due rimediarono una sonora squalifica da parte dell’allora UVI, antesignana della FCI. Ma torniamo ai nostri tempi e cediamo la parola a Bartoli.

Michele, partiamo dal Cauberg…

In effetti è un simbolo di una zona e non solo di una corsa, come per noi toscani il Monte Serra!

Puoi descriverci la salita?

E’ una salita con buone pendenze ed esplosiva. In realtà non possiamo neanche chiamarla salita, perché le salite vere sono quelle dove serve essere scalatori. No, qui parliamo di un’altra tipologia: strappi, cotes, chiamateli come volete, dove bisogna essere atleti veloci, esplosivi e anche potenti. E’ una salita particolare, più vicina al Fiandre. Per fare un esempio: è più adatta a Van der Poel che a Vingegaard. Non ho detto Pogacar perché per lui vanno bene tutte!

La strada com’è?

E’ molto ampia e la pendenza è abbastanza regolare: nel tratto duro sta attorno al 12 per cento. In tutto dura poco più di un chilometro e poi inizia un lungo falsopiano dove si troverà l’arrivo dell’Amstel. E’ selettiva, perché fatta nel finale riesce a fare la differenza. Tutti tengono duro nel primo tratto per non rimanere staccati, però poi, se inizia a mancarti la gamba, la velocità nel punto dove spiana può essere molto differente tra chi ne ha e chi no.

E a livello di ambiente?

E’ la salita dove c’è più presenza di tifosi all’Amstel: tantissimi. C’è un gran tifo quando si passa dentro Valkenburg e si inizia a salire.

Quando l’hai fatta tu, con che rapporti si affrontava?

Se programmavi un attacco, potevi farla anche con il 53 da sotto: all’epoca 53×19 o 21. Dietro si iniziava già a usare il 23, anche il 25. Adesso con il 54 e le scale posteriori che arrivano al 34 non hai problemi. In una corsa come l’Amstel, il 54 se vuoi non lo togli mai.

Qual è il tuo ricordo del Cauberg?

Che l’aspettavo… molte volte con ansia! Era l’ultimo trampolino di lancio per fare una selezione definitiva. Quindi lo vivevi con uno stato d’animo di attesa vera.

C’era un punto preciso dove attaccare o si seguiva l’andamento della corsa?

Vedevi un po’ gli avversari, come si muovevano. Magari se notavi qualcuno in difficoltà potevi decidere di anticipare. Altrimenti, se c’erano squadre che tiravano, aspettavi il finale. Sono salite brevi in cui devi decidere al momento, in base al comportamento del gruppo, a meno che non si prepari un attacco con tutta la squadra. Ai miei tempi, invece, se avevi un compagno nel primo gruppetto era già un lusso. Cercavi di usarlo in modo diverso, non per una tirata di 200 metri. Invece oggi, se prepari un attacco, puoi farlo in grande stile anche sul Cauberg.

L’azione di Pogacar sul Muro d’Huy nel 2023. Siamo all’uscita dei tornanti, dove si supera per qualche metro il 25 per cento di pendenza
L’azione di Pogacar sul Muro d’Huy nel 2023. Siamo all’uscita dei tornanti, dove si supera per qualche metro il 25 per cento di pendenza

Il Muro d’Huy

Passiamo al Muro d’Huy. Una vera icona. Nella Freccia Vallone si affronta per tre volte e ognuna è una bolgia, uno stadio a cielo aperto. Introdotto nel 1982 (quando vinse Mario Beccia), è diventato il punto d’arrivo della corsa dal 1985. Da allora, gli italiani hanno vinto 11 volte. Bartoli alzò le mani nel 1999.

Michele, eccoci dunque al Muro d’Huy. Ulissi ci ha detto che quando si sale si vive il pubblico, ne puoi sentire l’odore…

In generale devo dire che la Freccia Vallone mi è sempre piaciuta tantissimo. L’ho sempre cercata, in tutti i modi. Sì, Ulissi ha fatto una descrizione giusta. Il Muro d’Huy ti dà sempre i brividi, dalla prima all’ultima volta. E rispetto ad altre salite simbolo, penso al Grammont o al Poggio, è l’unica con l’arrivo in cima.

Come prima: descrivici la salita. Si pensa sempre alla “S” dura, ma anche prima non regala niente…

Inizia a salire sin dall’abitato di Huy e già dal chilometro finale, quando si svolta a destra e si entra nel muro vero e proprio, capisci come andrà a finire. Se senti che la gamba non risponde, è bene cambiare tattica e giocare in difesa.

Lì è importante avere un compagno di squadra che ti porta su, o essere già in posizione giusta ma coperto, giusto?

E’ importante, perché quando svolti a destra, se sei anche solo un po’ indietro, spendi energie per tornare davanti. E se in quel momento accelerano, ti manca quell’attimo per respirare. Avere un compagno è l’ideale, ma se non ce l’hai devi comunque stare davanti. Anche perché nel chilometro finale la strada diventa molto stretta.

Chiaro…

E’ molto ripida, siamo oltre il 20 per cento. Però si gestisce. Io cercavo sempre il feeling giusto, risparmiando fino alla S, perché l’attacco da lì in poi “viene da solo”. A quel punto, se hai la gamba, dai tutto fino a dove spiana. Lì capivi se i pochi rimasti andavano in difficoltà. A me piaceva guardare in faccia l’avversario: capire se stava accusando.

In quel tratto finale (tra il 9 e il 6 per cento) si riesce a mettere la corona grande?

No, è improponibile. Lavori dietro con i rapporti.

La Redoute. Qui termina (oggi) questa cotes. I corridori svoltano a destra con una curva a gomito
La Redoute. Qui termina (oggi) questa cotes. I corridori svoltano a destra con una curva a gomito

La Redoute

E veniamo infine alla Redoute, perla della Liegi-Bastogne-Liegi. Siamo “a casa” di Philippe Gilbert, nell’immenso spiazzo dei camper che si radunano alla base, e qualcuno anche lungo la salita, sin dal giovedì dopo la Freccia per gustarsi le ricognizioni.
La Redoute si affronta una sola volta. Quest’anno arriva al chilometro 218, cioè a 34 dalla fine.

Michele, chiudiamo con la Redoute. Rispetto ai tuoi tempi è cambiata: ora in cima al tratto duro si svolta a destra e si scende. Una volta c’era un falsopiano…

La Redoute aveva perso un po’ d’interesse con l’inserimento della Cote de la Roche aux Faucons. Ma adesso, con questi campioni, è tornata in auge. Di certo è cambiata tatticamente. Resta un trampolino di lancio dove misuri l’avversario o decidi di scatenare qualcosa. Per me la gara iniziava sulla Redoute. Lì capivi chi stava bene e chi no. Se era il caso di fare un attacco decisivo.

Come si prende? All’imbocco la strada è stretta, c’è quel dedalo di curve nel paesino…

E’ un bel problema prenderla bene, perché si viene da una discesa ampia che ti fa organizzare male la squadra. Ti passano da tutte le parti. Io lì usavo molto i compagni per stare davanti e dettare il ritmo.

Della salita vera e propria cosa ci dici?

E’ dura davvero. Ti toglie energie. Man mano che sali senti che le sensazioni cambiano, forse per la tensione accumulata. Non è il Mortirolo, ma quando arrivi in cima sei esausto: è un continuo aumentare della pendenza.

Tu dove attaccavi?

Ai 500-600 metri dal termine del tratto duro. Ma sono metri lunghissimi, non passano mai. Hai la percezione che il tempo rallenti: «Ora ci arrivo, ora ci arrivo»… ma non ci arrivi mai!

Sulla Redoute c’è sempre tanta gente. Che atmosfera si percepisce?

Durante la ricognizione, almeno per me, era sempre un test. Capire se era l’anno giusto, se avevi la gamba. Era quasi come una gara. Il tifo si percepisce, anche se sei concentrato. E’ un tratto talmente particolare che riesci a renderti conto di quanto ti urlano.

E questo contribuisce a rendere il momento importante?

Se sei tu a dettare il ritmo sì. Altrimenti, se subisci, il caos ti dà fastidio. Almeno, per me era così.

Abbiamo detto che non c’è più il falsopiano dopo il tratto duro: ti piace di più la vecchia versione o la nuova?

Tatticamente, la vecchia era meglio. Anch’io la vera differenza la facevo sul falsopiano. Ora, se non riesci a mettere in difficoltà gli avversari nel segmento duro è finita. La Redoute è passata. Prima, invece, avevi un “secondo round”.

Velasco d’Olanda: «L’Amstel mi piace, non sopporto la Freccia»

19.04.2025
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Con tre piazzamenti nei primi dieci, Simone Velasco è uscito dal Giro dei Paesi Baschi con qualche punto e soprattutto tante certezze in più. Ora si fa rotta verso le Ardenne, dove ci saranno altri avversari e altre storie da raccontare. In questi anni di piazzamenti da pesare col bilancino della classifica UCI, la XDS Astana viaggia stabilmente in terza posizione, dietro UAE Team Emirates e Lidl Trek, anche grazie al rendimento costante dei suoi uomini. E gli italiani in questo gioco un po’ necessario e un po’ perverso stanno svolgendo alacremente la loro parte.

Giovedì sera il bolognese è volato in Olanda. Venerdì ha pedalato con i compagni nel finale dell’Amstel che ha finalmente riscoperto l’arrivo sul Cauberg. E da quella sorta di balconata sul Limburgo olandese con vista sul Belgio, ha potuto ragionare sulla settimana delle Ardenne che sin dall’inverno è stata il suo principale obiettivo.

«Ai Baschi comunque – dice – ho dimostrato una bella condizione. Peccato che un malanno avuto a metà febbraio abbia un po’ stravolto i programmi. Per cui ho corso la Coppi e Bartali che non dovevo fare, ho fatto il GP Indurain e i Baschi che non dovevo fare, mentre sarei dovuto andare in altura. Per cui adesso si tratta di sfruttare ancora la condizione costruita in Spagna. Riuscire a fare qualche bel risultato sulle Ardenne sarebbe sicuramente una ciliegina sulla torta di questo inizio stagione, che finora è stato più che positivo».

Velasco, classe 1995, è professionista dal 2016. E’ alto 1,70 per 59 chili
Velasco, classe 1995, è professionista dal 2016. E’ alto 1,70 per 59 chili
Le Ardenne sono l’insieme di tre corse molto diverse fra loro. Amstel, Freccia Vallone e Liegi: qual è la tua preferita?

Per come è fatta, l’Amstel è quella che si adatta di più alle mie caratteristiche. Delle tre, la Freccia Vallone è quella che non amo. E poi la Liegi ha sempre il suo fascino, ma è un po’ troppo dura per me. Però se ci arrivi con una grande condizione, puoi sempre lottare per fare un bel risultato. Per cui ci proviamo, siamo su con una bella squadra e andremo alla ricerca dei punti. Tanto il ciclismo di oggi si basa su questo, come sempre si corre in quest’ottica e anche noi cercheremo di fare il meglio possibile anche a livello di squadra.

Per uno che come te viene dalla mountain bike, la Freccia Vallone non dovrebbe essere un bel banco di prova?

L’arrivo là in cima non mi ha mai entusiasmato, perché alla fine si risolve tutto sull’ultimo strappo. A me piacciono di più le corse a sfinimento, invece a Huy tante volte ci si ritrova ancora con 50, 60 corridori ai piedi del Muro. Alla fine è anche un discorso di posizioni e non solo di gambe. E a me non vanno tanto a genio gli arrivi in cui c’è da prendersi qualche rischio in più ed essere… sfacciati. Se devo dire la verità, non sono neanche mai arrivato a prendere il Muro con il gruppo dei primi, tra cadute, la volta che c’era una fuga e il gelo dell’anno scorso. Magari quest’anno sarà l’anno buono per provare a vedere se si possa invertire la tendenza.

Al Giro dei Paesi Baschi, per Velasco tre top 10 e l’ottavo posto finale a 3’43” da Almeida
Al Giro dei Paesi Baschi, per Velasco tre top 10 e l’ottavo posto finale a 3’43” da Almeida
La ricerca di punti è necessaria, ma si riesce anche a ragionare in termini di risultato assoluto?

Diciamo che si cerca sempre di fare risultato. E’ chiaro però che per una squadra come la nostra, non avendo un leader dichiarato particolarmente forte, è difficile puntare tutto su un corridore. Per questo, dovendo comunque considerare il ranking, saremo aperti su più fronti. Sicuramente la ricerca di un risultato importante è sempre l’obiettivo principale della gara. Anche ai Paesi Baschi abbiamo cercato di vincere e lo stesso al GP Indurain e in tutte le altre gare fatte sin qui.

L’Amstel è la più adatta e il finale è tornato quello di una volta.

Quello prima del 2019, su cui non ho mai corso. Per questo con Scaroni e gli altri compagni abbiamo ritenuto necessario provare il finale. L’anno scorso sbagliai la volata, altrimenti avrei potuto avvicinarmi alla top 10. Ora c’è da capire se e come cambierà lo svolgimento della corsa, ma cercherò di farmi trovare pronto.

Che differenza c’è tra il Velasco che vinse il tricolore due anni fa e quello di oggi?

Oramai sono cinque anni buoni che riesco a esprimermi su un livello medio alto. Il campionato italiano mi ha portato consapevolezza nei miei mezzi e credo di avere dimostrato, anche se non in toto ma comunque in parte, di aver fatto uno step successivo. Se tutto va come deve, riesco a essere competitivo nelle corse WorldTour e, quando mi chiamano all’appello, rispondo quasi sempre presente. E’ chiaro che quando si va a correre con certi campioni, cercare il grande risultato non è mai semplice. Comunque penso che dal 2023 c’è stata una svolta.

Alla Coppi e Bartali, un terzo posto nella tappa di Cesena, dietro Vine e Sheffield
Alla Coppi e Bartali, un terzo posto nella tappa di Cesena, dietro Vine e Sheffield
Di che tipo?

Sono maturato fisicamente e mentalmente. E comunque a quasi trent’anni, anche se sono professionista da dieci, sento di essere ancora abbastanza giovane. Per il periodo in cui sono passato, anche se avevo solo vent’anni, non sono stressato come alcuni giovani che diventano professionisti adesso. Sono ancora pieno di forze e con tanta voglia di far bene. Questo conta quando vai alle gare.

Dopo la Liegi si stacca la spina?

Nel programma c’è che potrei fare il GP Francoforte del primo maggio, però vediamo come starò fra dieci giorni, perché ho fatto un filotto di un mese e mezzo che mi ha messo abbastanza a dura prova. Ho fatto tante tante gare ravvicinate e non ho mai avuto modo di recuperare. Quindi tirerò il fiato, poi andrò in altura nella seconda parte di maggio e dopo proveremo a fare una bella preparazione per il Tour.

Gianetti: la Liegi, l’Amstel e un viaggio lungo trent’anni

15.04.2025
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COMPIEGNE (Francia) – Manca più di un’ora alla partenza della Roubaix, i corridori sono chiusi nei pullman e sulla strada ci si dedica a varie chiacchiere, su argomenti seri e meno seri. Quando dall’auto del UAE Team Emirates vediamo scendere Mauro Gianetti, ricordiamo che fra le ricorrenze di quest’anno ci sono sì i 30 anni dalla prima Roubaix di Franco Ballerini, ma anche quelli dall’accoppiata Liegi-Amstel del manager svizzero. E siccome ci è giunta voce che proprio alla vigilia della corsa olandese di domenica prossima la squadra festeggerà il suo capo, approfittiamo dell’occasione per soffiare sulla brace della memoria.

Nel 1995 il calendario delle classiche era diverso dall’attuale e permetteva ai giornalisti di rimanere per due settimane al Nord. La serie delle corse vedeva il Fiandre di domenica, la Gand-Wevelgem di mercoledì e la Roubaix la domenica successiva. Quindi la Freccia Vallone di mercoledì, la Liegi domenica ( il 16 aprile, che era anche Pasqua), infine l’Amstel il sabato successivo, 22 aprile. Gianetti arrivò quinto nella Freccia Vallone vinta da Jalabert su Fondriest, Berzin e Casagrande. Vinse la Liegi battendo Bugno, Bartoli e Jalabert. Infine vinse l’Amstel su Cassani, Zberg e Ludwig.

«Erano due corse bellissime – ricorda – la Liegi fu la prima, in più davanti a un gruppo di campioni straordinari. Vinta come l’ho vinta, in una giornata di acqua, neve, freddo. Era la prima grande vittoria, per giunta in una Monumento, è quella che rimane di più. Anche l’Amstel però fu complicata. Dopo pochi chilometri, fui coinvolto in una caduta e dovetti inseguire per molti chilometri. Ma alla fine riuscii a vincere, con un Cassani a ruota per 20 chilometri che diceva in continuazione: speriamo che ci riprendano, speriamo che ci riprendano…».

Liegi 1995, Gianetti arriva con 15″ sul gruppetto di Bugno, Bartoli e Jalabert. A seguire, Casagrande, Armstrong e Chiappucci
Liegi 1995, Gianetti arriva con 15″ sul gruppetto di Bugno, Bartoli e Jalabert. A seguire, Casagrande, Armstrong e Chiappucci
Raccontasti di aver vinto puntando molto anche sull’aspetto mentale.

E’ un aspetto su cui ho sempre lavorato molto. Cercare di avere degli obiettivi, essere un visionario che lavora per i suoi traguardi e non un sognatore che rimane sul divano. Ho sempre lavorato duro sotto tutti gli aspetti e la parte mentale ha avuto un ruolo fondamentale. Avevo chiaro di essere un buon corridore, ma sapevo che per vincere avrei dovuto fare più degli altri. Essere più furbo degli altri: di alcuni in particolare. Parlo di campioni come Bugno, Jalabert, di Armstrong, quindi era importante riuscire a mettere assieme tutte le componenti.

Quelle vittorie arrivarono con la maglia Polti e un direttore sportivo che si chiama Giosuè Zenoni, approdato al professionismo dopo anni nella nazionale dei dilettanti.

Giosuè ha rappresentato moltissimo. E’ stato la persona che più di tutti mi ha aiutato a lavorare sulla parte mentale, ciò che forse fino a quel momento mi era mancato. Assieme a Stanga mi diede una consapevolezza che non sapevo di avere. Parlavano con me di preparare la corsa, di andare a provare il percorso e lo davano per scontato, come se io fossi davvero un possibile vincitore. Senza dire che dovessimo andare a vincere, era scontato che potessi correre per farlo. E questo mi ha dato una fiducia incredibile. Soprattutto con Zenoni parlavo moltissimo ed è stato una spinta veramente importante per la mia vita e per la mia carriera.

Sei giorni dopo, la vittoria dell’Amstel in volata su Cassani
Sei giorni dopo, la vittoria dell’Amstel in volata su Cassani
Quanto c’è di quel Mauro nel Gianetti manager di oggi?

Nel fare il manager è importante poter mettere tutti gli aspetti. Credo che essere stato atleta mi dia dei vantaggi nel mio essere imprenditore, nel pensare alle necessità dei corridori, alle esigenze degli sponsor e magari anche quelle degli organizzatori. Cerco di combinare tutte queste variabili per creare un team che sappia esattamente dove vuole andare e cosa vuole raggiungere, senza dimenticare il rispetto per nessuno: per l’atleta e per lo sponsor.

Che viaggio sono stati questi 30 anni?

Un viaggio incredibile, che mi ha portato dove sono oggi con grande soddisfazione e anche con orgoglio. La mia passione mi ha portato a costruire e dirigere la squadra oggi più forte al mondo, con un campione straordinario come Tadej (Pogacar, ndr). Soprattutto con un gruppo di 150 persone che ogni giorno arrivano alle gare col sorriso sul volto. Questa per me è la vittoria più grande, la soddisfazione più bella. Sono nel posto in cui ho sempre sognato e progettato di essere. Sono riuscito a creare tutto questo con tanto lavoro e impegno. E posso dire di andarne molto fiero.

Decathlon punta su Lapeira, cresciuto in casa fin da bambino

10.05.2024
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La Decathlon AG2R La Mondiale sta raccogliendo i frutti del suo lavoro alla base del ciclismo transalpino. Finora sono arrivate ben 14 vittorie, davvero niente male per un team del WorldTour che non ha nelle sue fila uno dei “magnifici sei”, ma che di corridori validi ne sta sfornando in continuazione, attingendo soprattutto a un bacino maturato nelle sue fila nelle categorie inferiori. Paul Lapeira è la perfetta sintesi della politica del team: inserito nella sua filiera sin dal 2018, quest’anno ha già colto 3 vittorie di peso e si è ben distinto anche nelle classiche.

A 23 anni Lapeira non è più identificabile come un prospetto, ma come un corridore bell’e fatto, punta del team per le corse d’un giorno e uno dei nuovi francesi sui quali puntare per vivere il ciclismo dei vertici, in attesa che emerga qualcuno in grado di competere anche per la classifica di un grande giro. E mentre i suoi compagni competono al Giro, lui prepara i prossimi eventi di casa, facendo l’occhiolino al Tour dopo aver esordito lo scorso anno (a dir la verità senza grande fortuna) nelle altre due grandi prove.

«Sono nato in Bretagna, ma sono cresciuto in Normandia, con i miei genitori che sono di lì e mio nonno che andava sempre in bicicletta e così seguendo il suo esempio ho iniziato a pedalare all’età di 7 anni. Anche mio padre amava pedalare, quindi sono stati loro due a motivarmi».

Il francese è stato protagonista all’Amstel Gold Race di Pidcock, chiudendo 5°
Il francese è stato protagonista all’Amstel Gold Race di Pidcock, chiudendo 5°
Quest’anno, sin dalla Faun Drome Classic hai mostrato un grande miglioramento, a che cosa pensi sia dovuto?

I miei primi 2 anni tra i professionisti mi hanno permesso di progredire nei giusti tempi. Soprattutto l’anno scorso l’aver partecipato alla Vuelta mi ha fatto fare un vero salto di qualità. Tre settimane di corsa sono servite per farmi maturare, mi sento più forte e sicuro di me.

Tu hai sempre corso nell’AG2R, quanto pensi sia importante nella crescita di un corridore essere sempre nello stesso team cambiando di categoria?

E’ qualcosa che ti dà stabilità e fiducia. Nel senso che conosco l’ambiente, conosco lo staff, c’è una crescita costante, monitorata e in piena sinergia con lo staff. Chiaramente cambiando di categoria cambiano anche le persone di riferimento, ma la struttura è quella, è davvero importante poter rimanere nello stesso ambiente.

Alla Vuelta 2023 non ci sono stati grandi picchi, ma tanta esperienza messa da parte
Alla Vuelta 2023 non ci sono stati grandi picchi, ma tanta esperienza messa da parte
I tuoi risultati all’Amstel e anche alla Liegi hanno sorpreso: sei rimasto sorpreso anche tu?

Ero felice ma non sorpreso perché l’Amstel Gold Race (dove il transalpino ha chiuso 5°, ndr) è davvero una gara che mi si addice molto. E’ fatta di tante salite, tutte molto brevi, quindi sapevo di essere capace di un grande risultato. A Liegi ero più sicuro di me, in un’edizione che è stata davvero molto veloce. Forse un 11° posto finale non sembra molto, ma in quel contesto ha un valore, soprattutto perché ora so che anche in una classica così importante posso dire la mia. Era importante per me sentirmi bene, a mio agio, dimostrare di aver fatto il salto di qualità ed essere pronto per quel contesto.

Hai notato maggiore attenzione da parte dei media nei tuoi confronti?

Sì, decisamente, soprattutto da quando ho iniziato a vincere. I media locali hanno cominciato a interessarsi e anche all’estero ora mi conoscono – la nostra chiacchierata lo testimonia… – Mi fa piacere soprattutto di essere un po’ più popolare nella regione dei miei genitori, so che i miei risultati al Giro dei Paesi Baschi e ancor più il seguito avuto nelle classiche hanno avuto scalpore da quelle parti.

Lo scorso anno Lapeira è stato al Giro d’Italia, portando a termine tre sole tappe
Lo scorso anno Lapeira è stato al Giro d’Italia, portando a termine tre sole tappe
Che caratteristiche hai e su quali percorsi ti trovi meglio?

Sono davvero un fighter, uno che ama attaccare. Potremmo dire che io e Benoît Cosnefroy abbiamo davvero lo stesso profilo, ci integriamo bene. L’Amstel ha il tracciato perfetto con brevi salite da 2 a 3 minuti. E questo può estendersi a gare come la Liegi dove lo sforzo rimane intorno ai 5 minuti.

Qual è finora la vittoria che ti ha dato più soddisfazione?

La tappa al Giro dei Paesi Baschi, perché è stata la mia prima in una prova del WorldTour. C’è stata anche la doppietta alla Coupe de France, le vittorie di metà marzo, due nello spazio di 24 ore, mi hanno dato molta fiducia e mi hanno permesso di fare tutto quello che ho fatto nelle ultime settimane.

La vittoria di Lapeira alla Cholet Agglo Tour, dopo aver vinto per distacco il giorno prima a La Haie-Fouassiere
La vittoria di Lapeira alla Cholet Agglo Tour, dopo aver vinto per distacco il giorno prima a La Haie-Fouassiere
Quanto è importante avere un gruppo così numeroso dei colori francesi nella propria squadra?

Non penso che conti così tanto avere un numero prevalente di corridori della stessa nazione. Rimaniamo ovviamente una squadra francese, ma oggi il ciclismo sta diventando internazionale e vediamo ancora che ci sono sempre più stranieri nei team. Per l’evoluzione è una buona cosa, è importante che ci sia un’identità e che chi arriva da fuori impari la nostra lingua, ma non penso che sia di fondamentale importanza avere molti francesi in squadra.

Tu hai corso e vinto spesso in Italia, che cosa ricordi delle tue vittorie giovanili al Lombardia, San Vendemiano, Giro del Friuli?

Sì, mi piace molto l’Italia, la cultura, la cucina. È davvero un Paese che mi piace molto, sono sempre contento di venire a correre in Italia. Ci sono gare fantastiche e lì si sente davvero la passione per il ciclismo, quindi è un Paese che amo davvero. Vincere il Piccolo Lombardia per me è stato qualcosa di molto importante perché prima avevo avuto un’estate complicata ed è sempre una gara che fa sognare tra gli espoirs e riuscire a vincerla per me è stato qualcosa di molto emozionante. Quindi ho un bellissimo ricordo.

La vittoria al Piccolo Lombardia 2021, battendo nello sprint a tre Petrucci e il tedesco Steinhauser (foto Dario Riva)
La vittoria al Piccolo Lombardia 2021, battendo nello sprint a tre Petrucci e il tedesco Steinhauser (foto Dario Riva)
Che gare ti aspettano ora e con quali obiettivi?

Non farò gare a maggio, andrò a un raduno di allenamento in quota in Sierra Nevada e poi a giugno farò il Critérium du Dauphiné, il campionato francese e se tutto va bene potrò esordire al Tour de France, dove l’obiettivo del team sarà aiutare a fare classifica a Felix Gall.

Tu hai 23 anni, che cosa rappresenta il Tour de France per un corridore come te?

E’ come il Giro d’Italia per gli italiani. E’ la gara che sogniamo di fare fin da quando eravamo bambini, quindi lo voglio davvero, aspetto la partenza da Firenze con trepidazione, anche se non ho proprio le caratteristiche per un grande giro, sono più uomo da corse di un giorno, ma partecipare al Tour de France è qualcosa di grande, soprattutto quando in squadra ne hai uno come Felix che ha grandi motivazione e sai che è capace di fare grandi cose quindi sì, la motivazione è molto grande.

Van der Poel tra Roubaix e Amstel: l’analisi di Zanini

20.04.2024
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Ancora 24 ore, o poco più, e sarà Liegi-Bastogne-Liegi. Già pregustiamo lo scontro fra Tadej Pogacar e Mathieu Van der Poel. Certo, il percorso vallone gioca a favore dello sloveno, ma se l’olandese avesse di nuovo (o ancora) la gamba della Roubaix allora vedremmo scintille.

Ed è proprio su questo punto che vogliamo insistere. Se ieri in ricognizione abbiamo visto un Pogacar pimpante, ci si chiede come stia davvero Van der Poel. Com’è la sua gamba? E’ di nuovo o ancora fortissima come a Roubaix o è in fase di stallo come abbiamo visto all’Amstel Gold Race (sbuffante nella foto di apertura)?

Abbiamo fatto un’analisi insieme a Stefano Zanini. Oggi “Zazà” è uno dei tecnici dell’Astana-Qazaqstan, ma più che come direttore sportivo lo abbiamo tirato in ballo in quanto ex corridore. Ex corridore che sapeva andare forte alla Roubaix e fortissimo, tanto vincerne anche una, all’Amstel Gold Race.

Dopo una lunga fuga solitaria nel vento, Stefano Zanini vince l’Amstel Gold Race: era il 1996 (foto Instagram)
Dopo una lunga fuga solitaria nel vento, Stefano Zanini vince l’Amstel Gold Race: era il 1996 (foto Pinterest)
Stefano, com’è dunque possibile che Van der Poel passi dalla gamba “fotonica”, che ha mostrato e dichiarato di aver avuto alla Roubaix, alla “non gamba” dell’Amstel in appena sette giorni? 

E’ possibile che la situazione cambi così nettamente anche in pochi giorni. Ed è possibile proprio perché come ha detto lui stesso, alla Roubaix era in giornata di grazia, quindi ha pescato un picco eccezionale. Magari in quel momento non pensava di sprecare tante energie… ma le spendeva eccome. E poi non bisogna considerare solo la Roubaix e l’avvicinamento alla Roubaix, ma bisogna inquadrare il tutto, nella sua Campagna del Nord.

Spiegaci meglio.

Nel senso che l’olandese ha fatto tutte classiche importanti. Ed erano tutte corse in cui puntava a vincere: queste alla fine lasciano il segno. Quindi questo calo per me ci sta.

Tu hai corso la Roubaix e sai cosa significhi a livello muscolare. Quei sobbalzi, quegli “urti” continui possono incidere più del previsto? Posto che VdP sul pavé ci danza senza guanti.

Anche se è fortissimo, parliamo sempre di un umano. E’ normale che paghi dazio anche lui. La Roubaix in qualche modo ti esce fuori dopo qualche giorno, a chi di più a chi di meno, ma esce. Come ho detto queste gare, le classiche, vanno valutate tutte insieme e sono gare esigenti. Riguardo ai guanti, ce ne sono in tanti senza.Io anche non avevo le piaghe alle mani. Idem Boonen e Museeuw. Dipende molto da come stai sulla bici e da quanto stringi i comandi e il manubrio, ma quella è una conseguenza di come affronti il pavé.

Anche se più sciolto degli altri, i muscoli di Van der Poel hanno pagato dazio dopo la Roubaix
Anche se più sciolto degli altri, i muscoli di Van der Poel hanno pagato dazio dopo la Roubaix
Tu cosa facevi nei giorni post Roubaix? VdP per esempio dopo il Fiandre è tornato in Spagna, ma è la stessa cosa farlo dopo la corsa fiamminga e farlo dopo quella francese?

Ai nostri tempi il calendario era diverso. Dopo la Roubaix non c’era l’Amstel, ma c’erano la Freccia Vallone e il Gp Escaut, quindi Liegi e infine Amstel. Io all’epoca non tornavo a casa, ma restavo in Belgio. Facevo Freccia e Liegi in appoggio ai capitani, mentre Escaut e Amstel come leader. Restando su in Belgio cosa succedeva? Che prima di tutto non ti allenavi, ma uscivi in bici solo per scioglierti, per recuperare quell’ora e mezza, due al massimo tra una corsa e l’altra. Avevi sempre il tuo massaggiatore che tra sgambate e massaggio ti aiutava moltissimo nel recupero. E terzo se stavi lassù per tutta la Campagna vuol dire che stavi bene, che eri in forma e quindi recuperavi in fretta. Il massaggio post Roubaix era importante per le gambe ovviamente, ma anche per le braccia e la schiena.

In Spagna VdP ha scelto di rilassarsi giocando a golf e di allenarsi al sole…

Sì, ma credo che a quel livello abbia avuto di certo il suo massaggiatore di fiducia con sé. E se non aveva proprio il suo, avrà avuto un referente in Spagna visto che ci va spesso. Non posso immaginare che non abbia fatto i massaggi… dopo la Roubaix servono.

Sarebbe un’ingenuità insomma. E sul piano mentale? Di fatto Van der Poel  i suoi due maggiori goal li ha centrati (Fiandre e Roubaix, appunto): questo può incidere sull’approccio psicologico?

Può starci anche questo punto di vista, certo. L’Amstel, anche se era la corsa di casa, già ce l’aveva in bacheca. E poi è umano anche lui, magari pensava più alla Liegi. Mathieu ha passato un inverno senza corse su strada. Ha esordito con la Sanremo e poi ha fatto le sue gare tutte con l’obiettivo di vincere. Aveva perciò le sue pressioni.

Dici possa essere un fatto di pressione?

Dico che si può essere più o meno motivati. A lui magari la pressione piace pure, ci si motiva e la gestisce bene. Anche perché se vinci le gare che ti sei prefissato significa che la pressione la reggi.

VdP vanta una sola partecipazione alla Liegi: 6° a 14″ da Roglic nel 2020. Eccolo, sulla Redoute
VdP vanta una sola partecipazione alla Liegi: 6° a 14″ da Roglic nel 2020. Eccolo, sulla Redoute
E allora forse questo duello con Pogacar gli può ridare lo stimolo giusto?

Van der Poel è fortissimo, ma ha vinto gare dove non ci sono salite lunghe, corse con strappi brevi che richiedono sforzi esplosivi tipo quelli che fa nel cross. Al massimo ha vinto la Strade Bianche, ma è una corsa particolare, e comunque le salite restano brevi. La Liegi invece è un’altra gara. Sì, forse VdP avrà avuto un calo mentale all’Amstel, ma sul piano fisico sono convinto che stia ancora bene. Alla fine ha iniziato a correre alla Sanremo. La forma è ad alto livello ancora.

Nella sua unica apparizione alla Liegi, VdP vanta un sesto posto. Ma va detto che era quella della particolare annata del Covid…

Il problema per lui è che Pogacar è difficile da battere su un terreno così. Ci può stare che arrivi davanti, ma sulle salite lunghe lo sloveno può fare la differenza. Poi dipenderà anche da come andrà la corsa.  E’ una sfida interessante senza dubbio. Se vogliono togliersi Van der Poel devono rendere la corsa dura dal chilometro 150, da Vielsam da dove poi inizia la sequenza delle cotes di: Monte le Soie, Wanne e Stockeu.