Alpecin training camp a Caldaro: Fondriest racconta

18.04.2022
4 min
Salva

Sulle stesse strade su cui è appena iniziato il Tour of the Alps, si è concluso da pochi giorni il training camp dell’Alpecin, un progetto che ha visto come ambassador Maurizio Fondriest. Il programma di Alpecin è quello di mettere la bici al centro di tutto, coinvolgendo anche tutti i livelli dirigenziali dell’azienda. 

La bici è stata al centro del camp Alpecin di Caldaro
La bici è stata al centro del camp Alpecin di Caldaro

Parola d’ordine: evoluzione

«Dopo 10 anni – spiega Maurizio – il progetto Alpecin è cambiato. Prima si costituiva un team amatoriale di una decine di persone e per un anno le si allenava per arrivare a fare la Gran Fondo Ötztaler a Solden in Tirolo. Era un progetto che voleva avvicinare le persone alla bici e la scelta dei partecipanti non è mai stata per il livello prestazionale. C’erano persone che hanno proprio imparato ad andare in bici, a condurre il mezzo. Erano tutti seguiti da un preparatore che li allenava, avevamo in gruppo persone di tutti i tipi e nazionalità.

«Ora – riprende Maurizio – l’idea è diversa, si è deciso di ampliare il bacino di utenti, avvicinando ancor più la gente alla bici. A Caldaro abbiamo fatto un camp che ha coinvolto tante figure del mondo Alpecin: dai manager, ai responsabili delle aree marketing e sviluppo. Unendo a tutto questo anche le bellezze del territorio al quale sono particolarmente legato».

Grazie alle numerose pedalate i partecipanti hanno potuto scoprire tutti i giorni dei nuovi paesaggi
Grazie alle numerose pedalate i partecipanti hanno potuto scoprire tutti i giorni dei nuovi paesaggi

La bici al centro

Questo progetto di Alpecin aveva il focus di voler avvicinare tutti coloro che lavorano con il brand. Soprattutto quelle dei Rider Capitan, delle figure che sono diventate fondamentali per Alpecin. 

«Quello dei Rider Capitan prosegue il trentino – è un progetto davvero singolare ed innovativo. Sono delle figure che hanno il compito di promuovere ed unire tutti gli appassionati di ciclismo di ogni città. Per il momento sono solamente in Germania, organizzano il ritrovo e ogni volta disegnano itinerari diversi. L’obiettivo principale è la socialità».

L’ultimo giorno si è organizzata una pedalata sul lago di Caldaro con tappa al rifugio per mangiare tutti insieme
L’ultimo giorno si è organizzata una pedalata sul lago di Caldaro con tappa al rifugio per mangiare tutti insieme

Il training camp

Come ha lavorato allora Alpecin al training camp? Come ha funzionato questo progetto? «In collaborazione – spiega Maurizio – con la APT (Associazione di Promozione Territoriale) di Caldaro avevamo l’intento di far conoscere il territorio attraverso la bici. Il camp è durato per una settimana, con l’obiettivo di coinvolgere tutte le figure dell’azienda. La mattina si pedalava tutti insieme, i Rider Capitan avevano il loro giro da fare e qualche volta sono andato con loro.

«La cosa più particolare – riprende – era che la mattina anche le figure dirigenziali dell’azienda era coinvolte nella pedalata. Non era importante in che modo, c’era possibilità per tutti di potersi divertire e poter scoprire paesaggi sempre nuovi, in sella a bici elettriche o muscolari».

La bicicletta è un mezzo di condivisione e uno strumento per rafforzare anche i legami lavorativi
La bicicletta è un mezzo di condivisione e uno strumento per rafforzare anche i legami lavorativi

Momenti di condivisione

Il ciclismo è prima di tutto condivisione e avventura. Si scoprono posti nuovi e si pedala fianco a fianco con gente sempre nuova.

«La bici – racconta Fondriest – è un bel modo di condividere passioni ed idee. Sentivo i vari dirigenti parlare e confrontarsi su idee di lavoro con un piglio diverso, con un trasporto maggiore, che è solo quello che la bici ti può dare. Abbiamo pedalato in posti meravigliosi e scoperto anche le tradizioni del posto. Durante l’ultima giornata siamo andati in cima al lago di Caldaro, dove c’è un rifugio ed abbiamo mangiato tutti insieme. Il camp è finito venerdì, alcuni dirigenti e dei Rider Capitan si sono fermati sabato per disputare la Mendola Race, una cronoscalata del Passo Mendola».

Alpecin con la sua attività sarà presente anche all’Etape du Tour, una manifestazione che andrà in scena domenica 10 luglio e porterà i corridori alla conquista dell’Alpe d’Huez. Si fermeranno poi a Carcassone per fare un altro camp.

Con la schiena non si scherza: Fondriest lo sa bene. E Vdp?

28.01.2022
5 min
Salva

Un bel mistero avvolge la ripresa di Van der Poel che ha lasciato il ciclocross per recuperare e dirigersi verso la stagione su strada. Non è stata ancora fissata alcuna data per il debutto. Mathieu ha subìto un intervento al ginocchio, per la conseguenza di una caduta in allenamento, e adesso sta facendo i suoi esercizi per rinforzare la schiena. Il pasticcio, se di pasticcio si è trattato, si è innescato probabilmente al momento di riprendere dopo la caduta di Tokyo.

Anche Van der Poel a Tokyo ha battuto il coccige: è mistero sul suo ritorno
Anche Van der Poel a Tokyo ha battuto il coccige: è mistero sul suo ritorno

L’esperienza di Fondriest

La schiena è una cosa seria. E così… masticando la storia dell’olandese della Alpecin-Fenix, siamo arrivati alla porta di Maurizio Fondriest (in apertura nell’inverno da campione del mondo), cui la schiena non trattata a dovere ha condizionato la carriera e che è per giunta anche un uomo immagine di Alpecin. Sono altri tempi e altre sono le conoscenze in materia, ma la schiena resta sempre una cosa seria.

«E’ davvero una cosa seria – sottolinea il trentino – che si innesca su eventuali predisposizioni dei singoli. Io ad esempio anche da piccolo avevo dei dolorini. Da militare facevo fatica a stare tanto in piedi. Diciamo che la schiena era la parte debole del mio corpo, ma i guai cominciarono nel 1988 quando caddi al Giro del Trentino e battei il coccige. Vai giù, batti forte, ci sta che il coccige faccia male. Ma ripartii e quell’anno vinsi anche il mondiale. Eppure l’anno dopo cominciarono i problemi, con un dolore fisso nella zona lombare. Sono cose che ricostruisci dopo, perché quando ci sei dentro non te ne rendi conto. Erano anche anni in cui non si faceva un gran lavoro su addominali e dorsali come oggi. Io andavo in bici d’estate e sciavo d’inverno. Mi era sempre bastato, per questo oggi ai miei ragazzi raccomando di lavorare bene in palestra…».

Mathieu, viene da chiedersi, lavora tanto in palestra oppure preferisce lavorare solo sulle sue bici da strada, da cross e sulla mountain bike? Il discorso va avanti, il ricordo prosegue.

Che cosa successe?

Nell’inverno del 1990 ero in vacanza in Messico e a saltare nelle onde presi il colpo della strega. Tornai in Italia piegato e iniziai la preparazione con la schiena in crisi. Pedalavo con un chiodo conficcato nel gluteo. Facevo stretching, mi allungavo, ma il dolore non diminuiva. Cavoli, mi dicevo, ho appena firmato con la Panasonic, non posso dirgli che sono malato. Ma proprio gli olandesi mi portarono da un osteopata.

Per fortuna…

Infatti le cose un po’ migliorarono. Poi andai da un fisioterapista in Belgio e quello trattò il gluteo e mi fece saltare dal dolore e si raccomandò che andassi regolarmente in palestra. E qui commisi l’errore fatale, ora posso dirlo.

Vale a dire?

Feci due giorni di esercizi e poi dissi basta. Non credetti che con quel lavoro specifico avrei risolto i miei problemi e sbagliai. Se il mal di schiena discende da un problema scheletrico, lavorando sui muscoli puoi rinforzare la zona. Oggi faccio 4 giorni a settimana di lavoro specifico, allora ero giovane e forte e pensai che ne sarebbero bastati due in tutto. Fu un errore, ma non c’era minimamente in giro la stessa competenza di oggi.

Van der Poel è rientrato nel cross senza aver sanato il problema alla schiena e ha dovuto fermarsi del tutto
Van der Poel è rientrato senza aver sanato il problema alla schiena e ora è fermo del tutto
A Mathieu può essere successa la stessa cosa?

Ho sentito in Alpecin, ma sono super abbottonati. Non so bene le origini del problema. Magari si tratta di altro. Però una cosa che vedo ancora spesso lavorando a contatto con gli atleti è voler riprendere subito dopo un incidente. Lui è ripartito subito su strada e poi nel cross, ma non è più stato lo stesso. Quando nel 1994 fui operato per un’ernia, sui giornali si parlò di recupero record, ma a cosa servì alla fine? Feci altri risultati per il mio carattere, ma continuai a fare danni al mio corpo.

Effettivamente la voglia di rientrare lo ha portato a correre nel cross e forse poteva farne a meno…

La foga di tornare si ritorce contro. Quando la schiena fa male, perdi anche forza nelle gambe. E poi mettiamoci che per il suo modo di correre, sempre così prepotente, se hai un minimo cedimento, rischi di pagarlo caro. Questi ragazzi, come Mathieu e lo stesso Van Aert, hanno un superfisico, ma a forza di insistere potrebbero pagarla. E’ bene che abbiano deciso di fermarlo per curare a dovere il recupero.