Crescendo D'Amore, Davide Balboni, mondiali San Sebastian 1997

D’Amore, il destino e una foto che resterà per sempre

02.12.2024
6 min
Salva

Questa foto, già usata un’altra volta in queste pagine, continua a girarci per la testa da due giorni, da quando abbiamo saputo che “Kresh” non c’è più. Crescenzo D’Amore era sopravvissuto al linfoma di Hodgkin, invece è morto sabato notte nella sua auto a 45 anni. Se un destino esiste, il suo era stato già scritto, ma lui da gran velocista almeno per una volta era stato in grado di schivarlo.

Il 10 ottobre 1997 era di venerdì e andando alla partenza del mondiale juniores di San Sebastian, il cittì Balboni sbagliò strada. Quando l’ammiraglia degli azzurri raggiunse la transenna, i poliziotti si rifiutarono di farli passare, finché il tecnico gli tirò contro la sua patente e quelli, intuita la necessità, aprirono la transenna. Il mondiale rischiava di cominciare nel modo sbagliato, anche se D’Amore sorrideva sornione. La tensione dei giorni precedenti si era sciolta dopo un dialogo illuminante con lo psicologo Rota e il napoletano era certo di poter fare la sua corsa. Il percorso non sembrava tagliato per un velocista e quando Balboni lo aveva inserito, persino Alfredo Martini era parso perplesso. Contro ragazzini di futuro talento come Alejandro Valverde e Bradley Wiggins, oltre a D’Amore l’Italia schierava Galli, Brugaletta, Claudio Bartoli e Michele Scarponi, che però bucò nel primo giro e il suo mondiale si chiuse lì.

Il 10 ottobre del 1997, Crescenzo D’Amore vinse così il mondiale juniores di San Sebastian
Il 10 ottobre del 1997, Crescenzo D’Amore vinse così il mondiale juniores di San Sebastian

La barca non deve affondare

Davide Balboni ricorda, con la voce comprensibilmente alterata. C’è voglia di tornare a quei giorni lontani per sentirsi ancora una volta giovani e spensierati, con il cappello girato sulla testa e la sensazione di potersi prendere il mondo che di colpo era tornata possibile.

«San Sebastian – dice – è l’esempio che dopo quel giorno ho sempre portato a tutti per far capire la forza del pensiero rispetto a quella fisica. A tre giorni dal mondiale, Crescenzo non muoveva la bicicletta. Poi dopo una chiacchierata fatta con il dottor Rota, lo psicologo della nazionale, venne fuori che il problema ero io, perché lui temeva di deludermi e di compromettere la mia carriera da tecnico appena iniziata. Allora gli dissi che era lì perché meritava di esserci e di non pensare ad altre cose. Bastò una chiacchierata per ribaltare tutto in tre giorni. Si staccava di ruota sui cavalcavia, invece vinse il mondiale. Gli dissi: “Ricordati che siamo sulla stessa barca e io, Davide, quella barca non la faccio affondare”. In quella foto che fu scattata da Pietro Cabras lui sta piangendo e mi sta dicendo: “A ogni giro pensavo a quella barca che non doveva affondare. Ogni santo giro…”. E io lo porto sempre ad esempio, perché lui fu proprio l’emblema di cosa significa la testa nel mondo dello sport, ma anche nella vita normale».

Sul podio con il corridore di Napoli salirono Bolt e Salumets (foto Epa Images)
Sul podio con il corridore di Napoli salirono Bolt e Salumets (foto Epa Images)
Non era un percorso per velocisti…

Crescenzo veniva dalla medaglia d’argento dell’anno precedente nel chilometro da fermo, quindi era comunque un corridore di alto livello, anche se tutti avevano bocciato le sue possibilità su strada. Invece in una prima chiacchierata mi aveva confidato che la pista gli era stretta e su strada in realtà voleva provarci, segno di una grande determinazione. Ricordo che andammo a vedere il percorso di San Sebastian con Alfredo Martini e Antonio Fusi, nel giorno di agosto in cui Davide Rebellin vinse la Clasica. E proprio con Alfredo feci una nota tecnica. Gli dissi: «Io che ero un corridore scarso mi staccavo quando la salita dura finiva e la discesa non iniziava subito. Qui invece la salita dura finisce e la discesa inizia subito. Un corridore intelligente non si stacca». Venni a casa con questa convinzione, nonostante Alfredo e Fusi non fossero d’accordo con me, e me la portai fino alle convocazioni in cui tenni il posto per un velocista e il velocista principe per me era Crescenzo perché era veramente veloce.

Avevi visto giusto.

Per il destino, la fortuna e da ultimo anche il fatto di averci visto giusto, tutti i mondiali, ad eccezione di quello dei pro’ in cui ci fu una tempesta che cambiò le carte in tavola, arrivarono in volata. Solo che mentre negli under 23 non avevamo il velocista, gli juniores ce l’avevano e Crescenzo diventò campione del mondo.

Dopo un anno alla Vellutex e uno alla Grassi, D’Amore approdò alla Mapei giovani
Dopo un anno alla Vellutex e uno alla Grassi, D’Amore approdò alla Mapei giovani
Che tipo era Crescenzo D’Amore a 18 anni?

Bravo ed estroverso e lo dico con un affetto particolare: un vero napoletano. Per me i napoletani sono estrosi, simpatici, ironici, istrionici. Io avevo 32 anni, ero uno dei tecnici più giovani dell’epoca. Il rapporto con lui era particolare, sentivo di essergli veramente entrato nella testa, perché tutti i personaggi estrosi ma vincenti, mi viene in mente anche Pozzato, hanno bisogno di trovare qualcuno che non che gli imponga le cose, ma che li capisca.

Seguisti quel mondiale dai box?

Esatto, ma non avevamo la TV. Per questo eravamo collegati via radio con Roberto Damiani sulla parte alta del circuito. La foratura di Michele Scarponi ci aveva tolto una pedina importante e così cercavamo di arrivare in fondo, seguendo le fughe e con un occhio alla possibile volata. I tedeschi accanto a noi avevano invece la televisione e piano piano, ci infilammo nel loro box per vedere il finale. Ricordo che ai 200 metri Crescenzo venne chiuso. Ma fu bravo, perché con la mano e con la bravura imparata in pista, spostò il corridore davanti senza prendergli il pantaloncino o sbilanciarlo, altrimenti lo avrebbero squalificato. Semplicemente tolse la mano dal manubrio, spostò l’altro che lo chiudeva e lanciò la volata.

Cosa ricordi?

Negli ultimi 20 metri si spense tutto, diciamo così. Non lo vidi alzare le braccia, perché il mio meccanico, che era “Ciccio” Risi e aveva condiviso con me tutto lo stress di quella vigilia così faticosa, mi fece volare. Era decisamente più grosso di me, per la tensione della volata mi prese per il collo e mi spinse nel box dei tedeschi. Di fatto io non ho visto la vittoria, non mi resi conto di niente. Sapevamo tutti che il mondiale fino a quel punto non era andato bene. Gli altri tecnici continuavano a darci il tormento per aver portato un velocista. Nella crono, Daniele Bennati, attuale cittì della nazionale, non era andato oltre il 16° posto. Le cose non stavano andando bene, per cui quella volata fu una vera liberazione.

D’Amore con Nocentini e Soler, sotto la neve al ritiro di inizio 2006 in maglia Acqua& Sapone
D’Amore con Nocentini e Soler, sotto la neve al ritiro di inizio 2006 in maglia Acqua& Sapone
Cosa disse Martini dopo la vittoria?

Mi disse: «Bravo Davide, ci hai visto lungo». Ricordo che prima della gara gli avevo detto che San Sebastiano è anche il patrono di Renazzo, il mio paesino in provincia di Ferrara. E Alfredo che più di tanto non era religioso, mi aveva detto di parlare anche con lui, che se fosse servito per vincere i mondiali, anche il santo poteva fare la sua parte.

Il resto, la sua carriera da professionista, è un racconto successivo che non toglie nulla a quel giorno di San Sebastian. Un mese dopo ci ritrovammo a raccontarlo nella sua casa alla periferia di Napoli, fra l’azienda di confezioni di suo padre e i capannoni di Caivano attorno cui si formavano i corridori di lì. Crescenzo aveva il sorriso stampato sul volto, come se ogni cosa fosse possibile. Eravamo tutti più giovani e convinti di poterci mangiare il mondo. E lui quel giorno a San Sebastian il mondo se lo mangiò davvero, ma poi da buon amico lo divise con i compagni e diede merito a quanti lo avevano portato a giocarsi la chance più grande della carriera. Il resto non lo sapeva. Col resto purtroppo, toccherà a noi farci i conti e poi la pace.

Un paio d’ore con Daniele, parlando di Bennati

27.11.2021
8 min
Salva

La casa di Bennati è in una via senza uscita ai piedi dell’Alpe di Poti, che lanciò Brambilla verso Arezzo al Giro del 2016. I dintorni sono verdi e placidi, in una giornata di sole che invita a stare fuori. Francesco fa la terza media ed è tornato un po’ tardi da scuola, per cui Chiara è ancora dentro che sistema e dispensa battute con il suo spettacolare accento toscano. Daniele ha il sorriso dei giorni belli, offre il caffè, tiene a bada i cagnolini e racconta. Saremo probabilmente condizionati dal ricordo, ma in certi momenti è come parlare con Ballerini. Stile che somiglia, la battuta sorniona a bassa voce e lo sguardo fisso.

In queste settimane c’è la coda per venirlo a trovare e farsi svelare in anteprima cose che non può ancora dire. L’elenco dei nomi cui sta lavorando è lungo e ce lo fa vedere, ma non avrebbe neanche senso parlarne se prima la stagione non sarà cominciata. Ci mostra invece un regalo senza prezzo ricevuto da parte delle figlie di Martini. E’ la stilografica del grande Alfredo (foto di apertura). Restiamo per un attimo in silenzio: davanti a una storia così grande che si tramanda non servono parole.

Siamo qui per Daniele

Siamo qui per Daniele, prima ancora che per Bennati. Dopo averlo seguito sin da junior, la curiosità è sapere di lui. Di quello che i chilometri e la strada hanno costruito. Anche per capire cosa potremo aspettarci quando sarà chiamato a guidare gli azzurri sulle strade del mondo.

«Ho sempre creduto in quello che facevo – dice – e che volevo fare. Essere un ciclista professionista. Mio babbo era tifoso di Argentin e ho in testa la Sanremo del 1992 in cui Moreno fu battuto da Kelly. Ho in testa Bugno, Pantani e Cipollini. Ci ho sempre creduto e il merito della mia famiglia è stato di non aver mai influito sulle mie scelte. L’altro giorno mi hanno dato un premio a Castiglion Fiorentino e a sorpresa hanno invitato Marcello Massini e Lido Francini, i miei tecnici nei dilettanti e negli allievi. La fortuna della mia carriera è stata proprio aver incontrato persone intelligenti e capaci. Non è così scontato che accada».

Si impara da tutti.

Massini ci diceva che prima di saper vincere, bisognava aiutare gli altri a farlo. Io tiravo le volate a Crescenzo D’Amore e Branchi e arrivavo subito dietro. E’ stato un insegnamento che mi sono portato dietro e mi permise di passare professionista.

Racconta.

Mauro Battaglini aveva capito che sarei stato importante per Cipollini e così a Cerreto Guidi nel 2001, dopo la gara del martedì, firmai con Santoni, alla Domina Vacanze. Non era scontato che riuscissi a inserirmi in quel treno. Mi misero a lavorare da lontano, ma mi rendevo conto che mi avvicinavo sempre di più. Nel 2002 mi ruppi il braccio a La Panne e saltai il Giro. Ad agosto al Regio Tour tiravo le volate a Lombardi, ultimo uomo di Mario. Fu lui a rendersi conto che andavo forte e nell’ultima tappa invertimmo i ruoli e io vinsi. Così chiamò la squadra e propose che andassi alla Vuelta, dove io fui penultimo uomo e Mario vinse tre tappe, prima di ritirarsi e vincere il mondiale.

Massini, Battaglini, Ballerini: uomini di poche parole. Somigli un po’ anche a loro…

Non do molta confidenza. Prima di avere fiducia in qualcuno, lo devo conoscere bene. L’amicizia con Franco la dice lunga ed è vero che un po’ mi rivedo in lui. Mauro invece (Battaglini, ndr) è sempre rimasto al mio fianco. Una persona di riferimento, con cui alla fine prevaleva l’amicizia sul rapporto di lavoro. Non vi nascondo che mi è mancato molto nel periodo in cui ho iniziato ad avvicinarmi alla Federazione. Mi avrebbe certo consigliato, ma sono certo che ora sarebbe contento.

Un altro commissario tecnico toscano…

Sono rimasto nello scoprire che sono solo il 19°. Sono pochi. Vengo dopo Magni, Martini, Ballerini e Bettini. La Toscana ha una grandissima tradizione, ma forse adesso siamo in ribasso, dato che quest’anno non ci passa neanche il Giro d’Italia (sorride con arguzia e garbo, ndr).

Cosa serve per avere la fiducia dei corridori?

Devi essere deciso, non farti vedere insicuro su decisioni e idee. Devi essere convinto di quel che vuoi raggiungere. Ho smesso da due anni, sarà utile. 

Sai che cosa significhi essere un corridore oggi?

Me ne sto rendendo conto più ora che ho smesso, di prima che ero nel frullatore. Ho fatto due chiacchiere con Ganna. Ti rendi conto che la loro normalità per chi è fuori è bestiale. Io facevo solo strada, avevo il mio periodo di stacco. Forse però quest’anno Pippo si è reso conto che sarà meglio mollare qualcosa. E’ determinante programmare un obiettivo e prendersi dei periodi in cui staccare. Sennò fai tre anni e poi salti. Quanti esempi abbiamo avuto? Sono sempre a tutta…

Dovrai muoverti sulle punte, insomma…

Il mio ruolo non è organizzare ritiri, sono già abbastanza stressati. Avrò contatti telefonici e incontri alle gare. Rispetterò i programmi dei team, darò semmai qualche consiglio, ma senza interferire. Se Ganna farà il Tour, avrà un modo di preparare il mondiale. Sennò sceglierà un altro avvicinamento.

A cosa serve aver corso fino a poco tempo fa?

Influirà tanto. Tosatto e Pellizotti sono passati subito in ammiraglia e hanno un modo speciale nel parlare con i corridori. Io guiderò la squadra nelle gare del calendario italiano, arriverò al mondiale con 20 corse nel programma. Esserci stato fino a ieri è utile perché il ciclismo cambia tanto di anno in anno, dalle dinamiche di corsa agli impegni dei corridori.

Il nuovo ruolo rende meno penoso aver smesso per infortunio?

Avrei fatto un anno in più, riattaccato il numero dopo l’incidente. Avrei voluto una bella festa, che era già pronta con un circuito a Castiglion Fiorentino. Questo mi dispiace più di tutto, non aver salutato i tifosi, ma non è la fine del mondo. E poi mio babbo è contento. Quando smisi mi chiese: «E ora che faccio?». Gli ho dato un altro motivo per vedere le corse (ride, ndr).

Cipollini vinse a Zolder e Ballerini disse di aver visto la sera prima il film della corsa.

Quello di Zolder è un film che era facile da vedere prima. La grandezza di Franco fu aver visto il film di altri tre mondiali ben più difficili da decifrare. Per il poco tempo che c’è stato, ne ha vinti quattro. E’ il tecnico più vincente che abbiamo avuto.

In quei fogli davanti a Bennati, il lungo elenco di nomi suddivisi in base ai percorsi di europei e mondiali
In quei fogli davanti a lui, il lungo elenco di nomi suddivisi in base ai percorsi di europei e mondiali
Chi sarà il tuo Bennati in corsa?

Trentin ha una visione di corsa importante e sa anche vincere. E’ stato campione europeo ed è arrivato secondo al mondiale. E’ intelligente, sa mettersi a disposizione. E per come sono disegnati i prossimi percorsi, potrebbe anche essere leader. Come Paolini, che vinceva e aveva una visione eccezionale. Per essere regista in corsa, serve essere corridori di altissimo livello.

Martini metteva in guardia dalla tentazione di guardare indietro per spiegare il presente…

La qualità più sconvolgente di Alfredo era proprio quella. Uno che è stato pioniere, che ha corso con Coppi e Bartali e poi ha fatto il cittì, sebbene fosse molto anziano, non solo stava al passo coi tempi, ma era già nel futuro. Il ciclismo è così.

Così come?

Bisogna starci. Le regole sono sempre quelle. Poi subentrano dettagli come lo psicologo, il nutrizionista, il mental coach. Ma le basi sono sempre quelle e con i ritmi di oggi sono ancora più importanti. Se non le rispetti, non vai da nessuna parte.

EDITORIALE / Il complesso lavoro del commissario tecnico

25.10.2021
5 min
Salva

In attesa di conoscere il nome del nuovo commissario tecnico azzurro (in apertura Cassani con Colbrelli dopo la vittoria degli europei a Trento) e degli altri tecnici di categoria, argomento che da qualche tempo riempie pagine e discorsi, proviamo a fare un semplice ragionamento su quale potrebbe o dovrebbe essere il ruolo della Federazione in questo ambito.

Il modello italiano

Uno dei discorsi che va per la maggiore, in riferimento alla nostra e alle altre Federazioni, e che Paesi come l’Australia, la Gran Bretagna, l’Olanda e la stessa Francia abbiano a lungo studiato il modello italiano e lo abbiano riprodotto, spesso migliorandolo, in casa propria. Ci siamo per anni gonfiati il petto rivendicando questa nostra superiorità, aprendo tuttavia una strada grazie alla quale Nazioni che un tempo non avevano tradizioni tecniche legate al ciclismo oggi sono al nostro livello e spesso riescono a surclassarci.

Per decenni la figura del cittì azzurro dei professionisti si è ispirata ad Alfredo Martini
Per decenni la figura del cittì azzurro dei professionisti si è ispirata ad Alfredo Martini

Retromarcia tricolore

Noi invece che cosa abbiamo fatto? Abbiamo preso quello che di buono avevamo creato e che veniva regolarmente copiato e lo abbiamo abbandonato. Non per creare un modello più competitivo grazie al quale guadagnare vantaggio sui rivali, ma abbassando lo standard delle funzioni che la Federazione stessa dovrebbe svolgere nei confronti dei suoi atleti. Il tecnico delle categorie giovanili ha smesso di essere preparatore ed è diventato selezionatore.

Demandando ogni preparazione e programmazione ai gruppi sportivi, siano essi quelli professionistici siano quelli dei dilettanti, la Federazione ha rinunciato a svolgere la sua funzione tecnica nei confronti degli atleti. Soltanto il settore pista in mano a Marco Villa e quello delle donne in mano a Dino Salvoldi hanno mantenuto queste prerogative e non a caso sono quelli che negli anni hanno continuato a ottenere i migliori risultati.

Amadio, fra Scirea e Amadori. Il primo sarà tecnico della crono e il secondo resterà agli U23?
Amadio, fra Scirea e Amadori. Il primo sarà tecnico della crono e il secondo resterà agli U23?

Il tecnico dei giovani

Il tecnico, soprattutto nelle categorie al di sotto del professionismo, deve essere credibile, avere competenza ed esperienza specifica nella gestione di squadre. Deve saper trasmettere, insegnare e allenare. Si fa un gran parlare del misuratore di potenza e del cardiofrequenzimetro, che sono soltanto degli strumenti: si possono usare bene o male. Se il tecnico ha un piano di lavoro, grazie ad essi riesce a valutare il percorso che sta seguendo. Usarli come lettori di situazioni istantanee è uno degli errori più frequenti.

La struttura tecnica federale di qualche tempo fa aveva permesso la creazione di una banca dati in cui venivano raccolte le informazioni su tutti gli atleti azzurri: soltanto conoscendole, si può trarre da loro il meglio. E’ uno dei motivi per cui Salvoldi riesce a vincere tante medaglie. Ma se oggi questo storico è destinato a rimanere in mano ai club, la Federazione dovrebbe avere se non altro il compito di dare i criteri su cui impostare il lavoro, impedendo lo sfruttamento degli atleti. Tanto per fare un esempio, al secondo anno da junior, Piccolo tornò a casa dagli europei su pista con il quinto posto nell’inseguimento e il giorno dopo vinse una corsa a Sestriere facendo 80 chilometri di fuga: era davvero necessario per il suo sviluppo? La storia successiva insegna qualcosa?

Salvoldi ha il controllo verticale fra le donne junior e le elite e questo permette di ottimizzare le risorse e ottenere risultati
Salvoldi ha il controllo verticale fra le donne junior e le elite e questo permette di ottimizzare le risorse e ottenere risultati

Un menù da scegliere

La Federazione dovrebbe tornare a controllare l’attività e probabilmente il modo migliore è ripartire da gruppi di lavoro con cui gestire la stagione. Non si può fare tutto, eppure anche ai massimi livelli si vede un campione come Ganna che corre su strada con la Ineos, fa due crono e la prova su strada agli europei, la crono e la pista alle Olimpiadi, due crono ai mondiali e poi anche i mondiali su pista. D’accordo che lo vuole lui, ma siamo certi che sia necessario?

Al ristorante c’è il menù proprio per questo. E’ pieno di cose buone, ma bisogna scegliere: l’alternativa è spendere troppo e stare male. La Federazione per prima deve tornare a fare scelte più coraggiose, portando agli appuntamenti gli atleti migliori nella condizione migliore.

Diego Bragato ha proposto una riforma dei preparatori FCI, ma viene indicato come sostituto di Salvoldi fra le donne
Diego Bragato ha proposto una riforma dei preparatori FCI, ma viene indicato come sostituto di Salvoldi fra le donne

La nazionale WorldTour

Lo slogan è che la prossima nazionale somiglierà a un team WorldTour, con Amadio team manager e una serie di tecnici sotto la sua supervisione. Resta da capire però se dietro lo slogan ci sia una volontà tecnica o si punti al risvolto commerciale. Capire se lo scopo del gioco sia conquistare medaglie oppure formare atleti dando loro la necessaria esperienza internazionale e la caratura tecnica che un domani, diventati professionisti, gli permetterà di tenere testa ai rivali di tutto il mondo.

E con questa domanda che ci frulla nella testa ci accingiamo a vivere l’ultima settimana prima della nomina del commissario e dei vari tecnici di categoria. Sarà singolare capire in che cosa l’assetto voluto dalla Federazione del presidente Dagnoni si allineerà effettivamente allo standard di un team WorldTour. Se la FCI si riapproprierà anche della preparazione, come succede nelle grandi squadre o batterà altre strade.

EDITORIALE / Finché si attaccano al pullman e ai ricordi…

06.09.2021
4 min
Salva

Fra i temi che tengono in ansia una parte della stampa – in questo scorcio d’estate che conduce agli europei, ai mondiali e poi all’autunno – ci sono il pullman azzurro e il nome del prossimo tecnico della nazionale. Interesse legittimo, va detto, e curiosità giustificata nel secondo caso dal modo un po’ goffo con cui la federazione ha gestito la comunicazione legata al cosiddetto caso Cassani.

Però come accade quando si insiste tanto sullo stesso tasto, dopo un po’ ti assale il dubbio che forse il pianista non sappia cosa farsene del resto della tastiera. Se davvero tutto ciò che basta per essere felici è sapere se il tecnico azzurro sarà Fondriest oppure Pozzato e sottolineare che forse il pullman azzurro ha già fatto parecchi chilometri, allora il presidente della Fci Dagnoni può davvero dormire sonni tranquilli. E le ragioni sono due. La prima è che se queste sono le sole contestazioni, allora forse sul resto sta lavorando bene. La seconda è che magari non saranno tanti a disturbarlo su temi più urgenti e di difficile soluzione.

Richiamare la memoria di Martini non serve se non ci si attiene alle sue parole. Qui, Alfredo con Pozzato
Richiamare la memoria di Martini non serve se non ci si attiene alle sue parole. Qui, Alfredo con Pozzato

L’eredità di Martini

Per dare la linea su colui che dovrebbe guidare la nazionale, a un certo punto si sono tirati in ballo Martini e la sua storia. E’ bene dire subito che per chi scrive queste righe, Alfredo è stato uno straordinario maestro di vita. E forse proprio per questo, ricordandone gli insegnamenti, una sua frase continua a tornare alla memoria.

«Quando sono davanti a dei giovani – amava dire Alfredo – mi rendo conto che a loro non interessa sapere che cosa accadeva ai miei tempi, ma sentire da me quello che potrebbe succedere domani».

Alfredo guardava avanti, lo ha sempre fatto. Non è mai stato ancorato al passato per paura del futuro. E magari avrebbe letto con interesse e reagito con veemenza al singolare momento del nostro ciclismo in cui frotte di giovani talenti vengono mandate allo sbando senza alcuna tutela credibile.

Sul podio finale del Lunigiana, il presidente Dagnoni
Sul podio finale del Lunigiana, il presidente Dagnoni

Problema juniores

E’ questo uno dei primi fronti, presidente Dagnoni. Ne parlammo con Amadio appena venne nominato. Era il 18 maggio, Roberto ricorderà di certo. A noi del pullman e del nome del cittì interessa, ci mancherebbe, ma preferiamo guardare avanti.

Il primo comma dell’articolo 3 della Normativa per l’abilitazione all’esercizio dell’attività di corridore professionista prescrive che per ottenere l’abilitazione, i corridori devono aver gareggiato con continuità nelle categorie agonistiche direttamente disciplinate dalla Federazione e dell’UCI nei tre anni sportivi antecedenti a quello per il quale si chiede l’abilitazione (tre anni come corridore under 23 e/o élite o un anno come corridore junior e due anni come corridore under 23).

E’ una regola che c’è da sempre. I procuratori e i team manager interessati si affrettano a dire che ce l’abbiamo solo in Italia. Vero, però ce l’abbiamo. Come abbiamo il divieto di usare la tenda iperbarica e non la usiamo. Non in Italia, almeno. E’ una regola che ad esempio impedirebbe alle squadre professionistiche di tesserare corridori direttamente dagli juniores, come sta regolarmente accadendo, proponendo loro un contratto da professionista.

Anche la limitazione dei rapporti oggi viene spesso aggirata. Qui Lorenzo Giordani, che corre e si allena con quelli giusti…
Anche la limitazione dei rapporti oggi viene spesso aggirata. Qui Lorenzo Giordani, che corre e si allena con quelli giusti…

Incubo Remco

Mandare così tanti ragazzini allo sbando è la quasi garanzia di non trovare mai più un Nibali, un Simoni, persino un Cipollini o un Pantani. Nomi, non a caso, di grandi campioni che hanno fatto la loro trafila fra gli juniores e i dilettanti, avendo il tempo necessario per maturare e sbocciare. Invece siamo tutti qui a cercare il novello Evenepoel, costi quel che costi. Quanto avranno smesso di correre prima che ne se ne sia trovato uno?

Non vi dice niente il fatto che sull’arrivo di Fosdinovo al Lunigiana, ben 10 juniores abbiano fatto meglio di Pogacar che 5 anni fa vinse la corsa? Va bene il miglioramento della specie, ma quanto si sta già spingendo sul gas, con alimentazione e preparazione magari già dagli allievi, perché questi ragazzi facciano già gola a qualche team professionistico?

Perciò presidente, aspetteremo il primo ottobre per sapere chi guiderà i nostri professionisti e anche il settore velocità, sperando che nel frattempo il pullman azzurro funzioni bene e mandando un bel ringraziamento a Vittoria che per anni ha messo a disposizione il suo. Ma nel frattempo, ci fa sapere come intende muoversi su questo fronte?

Bugno 2019

Bugno taglia corto: «Solo Nibali sa davvero come sta…»

08.06.2021
4 min
Salva

Torniamo a parlare di quel famoso caffè al Trofeo Melinda, anno 1992, protagonisti Alfredo Martini da una parte e Gianni Bugno dall’altra. Ripensandoci, l’ex iridato ci tiene a dare una lettura leggermente diversa a un evento che nel tempo si è ammantato di leggenda, sapendo però che è uno spunto per un discorso più ampio: «Quell’anno non vincevo, ma ero stato pur sempre terzo al Delfinato, secondo al Giro di Svizzera, terzo al Tour. Con risultati del genere, oggi ai mondiali ci vai da capitano…».

Che cosa ti disse allora Martini?

Fu una chiacchierata semplice, non mi chiese se volevo andare ai mondiali, perché potevo partecipare indipendentemente come campione uscente, né mi diede un ruolo specifico. Ero un uomo in più, libero di fare la mia corsa. Mi trasmise tranquillità, che era ciò di cui avevo bisogno.

Bugno Mondiali 1992
Bugno ai Mondiali del 1992, seguito dall’austriaco Harald Maier. Gianni vincerà in volata su Jalabert e Konychev
Bugno Mondiali 1992
Bugno ai Mondiali del 1992, seguito dall’austriaco Harald Maier. Gianni vincerà in volata su Jalabert e Konychev
Proiettiamo quella situazione ai giorni nostri, dove c’è un Nibali ancora in bilico se partecipare alle Olimpiadi…

Nibali è una persona intelligente prima ancora che un grandissimo corridore e se sente di poter correre a Tokyo, deve andarci. Nessuno può sindacare come sta andando, i risultati che fa o altro: l’unico che può dire se è in grado di correre è lui stesso.

Cassani sembra restio a convocarlo, visto l’ultimo Giro d’Italia…

Davide è mio amico e lo stimo, ma su questo voglio essere molto chiaro: né lui, né la Federazione, nessuno può dire a un corridore come Nibali che cosa fare, sarà Vincenzo stesso a prendere la decisione più saggia perché sa bene come sta e come starà. Vorrei ricordare a tutti che è partito con un polso rotto da poco, eppure il Giro lo ha finito e sono convinto che la sua condizione sia in crescita, questo è un fattore da non trascurare.

Nibali Cassani 2020
Nibali e Cassani: li rivedremo insieme a Tokyo? Una decisione deve però prescindere da ogni eventuale test
Nibali Cassani 2020
Nibali e Cassani: li rivedremo insieme a Tokyo? Una decisione deve però prescindere da ogni eventuale test
Secondo te che ruolo potrebbe avere?

Partiamo dal presupposto che l’Olimpiade è una corsa strana, con principi che esulano da qualsiasi altra gara ciclistica. Innanzitutto con soli 5 corridori al massimo non la puoi controllare, poi vi partecipano molti corridori che dopo un quarto di gara non trovi più perché non sono neanche professionisti, terzo discorso è che vincono in tre e non uno solo, perché un bronzo ha un valore enorme, superiore a quasi tutte le altre vittorie assolute.

Ok, ma tornando a Nibali?

In una corsa del genere Nibali si attira addosso un uomo di ogni altra nazionale di spicco, resta un riferimento assoluto. Nessuno ha caratteristiche come le sue, in fatto di resistenza ma anche di fantasia, per portare a casa un risultato. Anche strategicamente avrebbe un peso non indifferente.

Nibali Olimpiadi 2016
Vincenzo Nibali a Rio de Janeiro 2016, una gara che si era messa benissimo fino alla rovinosa caduta
Nibali Olimpiadi 2016
Vincenzo Nibali a Rio de Janeiro 2016, una gara che si era messa benissimo fino alla rovinosa caduta
Ti dispiace non aver potuto mai correre le Olimpiadi?

Molto, ma a quei tempi erano ancora i dilettanti a correrle. Nel ’92 ad esempio vinse il compianto Casartelli. Io avrei potuto partecipare nel ’96, ma dissero che non ero adatto a quel percorso di Atlanta, dicevano che era troppo facile quando poi alla fine facile non lo fu ed emersero tre specialisti delle classiche (Richard, Sciandri e Sorensen, ndr) io sono convinto che avrei potuto dire la mia, non nascondo che con Martini ci rimasi un po’ male…

Tempo fa Bettini disse che avrebbe rinunciato a un suo titolo mondiale anche per un solo bronzo olimpico. Tu lo faresti?

Bella domanda… Io le Olimpiadi non le ho mai fatte, non conosco le sensazioni che si vivono in quel contesto così particolare. Diciamo che in cambio potrei dare il bronzo iridato del ’90, va bene lo stesso?…

Davide Cassani nuovo ct, Alfredo Martini

Cassani, un tuffo nella storia del Giro d’Italia

20.05.2021
2 min
Salva

La tappa del Giro da Siena a Bagno di Romagna non è come tutte le altre, non può esserlo. Stiamo parlando di un tributo a due personaggi che hanno fatto la storia del ciclismo, ma che per molti versi sono stati parte integrante del Paese a prescindere dalla loro attività. Gino Bartali è un’icona assoluta, corridore che ha riempito le pagine dei giornali prima e dopo la guerra, protagonista con Coppi di quello che probabilmente è stato il più grande dualismo della storia dello sport.

Alfredo Martini, che con Bartali correva, ha poi influito in maniera decisa nel corso degli anni sul mondo del ciclismo con la sua saggezza, ricoprendo per molte stagioni il ruolo di Commissario tecnico della nazionale, ruolo che ora è sulle spalle di quello che molti considerano il suo erede designato, Davide Cassani: «Per me è la più grande delle gratificazioni essere avvicinato a lui, è il personaggio al quale mi ispiro».

Che cosa hanno significato questi due nomi?

Sono la storia del ciclismo tutto, questa tappa rappresenta un tuffo nel passato del quale c’è sempre bisogno. E’ un doveroso riconoscimento verso chi ha dato tantissimo al nostro sport non solo con le vittorie o con le corse, ma per il modo di porsi.

Bartali Berzin
Gino Bartali insieme a Eugeni Berzin: era il Giro 1994, vinto proprio dal russo
Bartali Berzin
Gino Bartali insieme a Eugeni Berzin: era il Giro 1994, vinto proprio dal russo
Che ricordo hai di Bartali?

Quando correvo era presente molto spesso alle nostre corse ed era entusiasmante vedere quanto la gente lo amava. Si fermava spesso a parlare con noi corridori, ci conosceva tutti, era molto piacevole scambiare battute con lui. Aveva un carisma enorme, eppure non lo faceva pesare e neanche ti accorgevi che stavi parlando con un pezzo di storia d’Italia.

E se parliamo di Martini?

E’ il Maestro. Una persona dalla straordinaria cultura e non parlo solo di ciclismo perché aveva la saggezza tipica dell’uomo che ha vissuto tanto, profondamente, che aveva studiato alla scuola della vita. Aveva una conoscenza straordinaria delle persone. La mia più grande soddisfazione è essere stato indicato da lui per il ruolo che attualmente ricopro.

Sono personaggi attuali o testimonianze di un ciclismo passato?

Le epoche sono diverse, ma quella che non è minimamente cambiata è la fatica che si fa in bicicletta, allora come oggi. I loro esempi non ci lasceranno mai e dedicare loro una tappa è un doveroso omaggio perché se il Giro d’Italia è oggi quello che è lo deve anche a loro…

Moreno, il mondiale in barba a Saronni

03.11.2020
3 min
Salva
Terzo incontro con Moreno Argentin, dopo aver parlato con lui di juniores e della scelta che ogni corridore prima o poi (meglio prima, a suo dire) deve fare fra classiche e Giri. Questa volta il veneziano entra nel discorso del mondiale, ricordando la vittoria di Colorado Springs 1986 e il grande ruolo di Alfredo Martini.

Terza e ultima puntata del nostro viaggio con Moreno Argentin. Nella prima tappa abbiamo parlato delle insidie della categoria juniores. Nella seconda, ieri, della difficoltà nello scegliere fra classiche e Giri. Oggi il focus si sposta sui mondiali

L’incompiuta

In tre anni, il veneziano infilò tre podi consecutivi. Terzo nel 1985 al Montello. Primo nel 1986 a Colorado Springs. Secondo nel 1987 a Villach. Poi, proprio agli albori della sua colossale stagione delle classiche e complice l’ascesa di corridori come Fondriest e Bugno, mollò la presa sulla gara iridata.

«Il mondiale per me è stato a lungo un’ossessione – sorride Moreno – un’incompiuta. Finalmente nel 1986 siamo riusciti a raddrizzare il tiro e conquistarlo e a quel punto non si è mollato, ma le sensazioni sono state altre. Ovviamente quando lo raggiungi è come toccare il cielo con un dito».

Moreno Argentin, Charly Mottet, Colorado Springs 1986
A Colorado Springs 1986 batte così in volata Charly Mottet
Moreno Argentin, Charly Mottet, Colorado Springs 1986
Colorado Springs 1986, batte Charly Mottet

Ci pensava Martini

Alfredo Martini è stato il cittì della nazionale dal 1975 al 1997 e ha condotto alla maglia iridata Gimondi, Moser, Saronni, Argentin, Fondriest e per due volte Bugno e tornò accanto a Franco Ballerini per le vittorie di Bettini e Ballan.

«Durante l’anno ci correvamo contro uno con l’altro – dice Moreno – quindi Alfredo Martini aveva un grande ruolo. Con il suo carisma ci faceva ragionare. Se magari venivamo da una litigata in una gara che si era svolta una settimana prima, quando arrivavamo a tavola o in una delle riunioni che Alfredo organizzava, ci faceva trovare la ragione. E alla fine correvamo sempre per quelli che ci garantivano maggiore efficienza».

Greg Lemond, Joop Zoetemelk, Moreno Argentin, mondiale Montello 1985
L’anno prima, terzo al Montello dietro Zoetemek e il giovaGregne Lemond
Greg Lemond, Joop Zoetemelk, Moreno Argentin, mondiale Montello 1985
Al Montello 1985, terzo dietro Zoetemelk

Compagni/avversari

Era una grande Italia quella fra gli Ottanta e i Novanta e spesso, come nella miglior tradizione azzurra, i nostri si correvano contro.

«E così è stato anche per me – conferma Moreno – ai mondiali del 1986 a Colorado Springs. Dovevo guardarmi dagli avversari più forti che avevo in casa. Perché al mio mondiale Saronni ha fatto terzo e Visentini usciva dal suo grande Giro d’Italia. Avevamo corridori molto importanti in squadra e uno dei motivi per cui mi sono mosso con tanto anticipo, con quella fuga precoce, è stato anche questo. Per mettere in condizione i miei compagni/avversari forti di proteggermi anziché inseguirmi».