Ma che strano effetto Lutsenko con la maglia della Israel

29.04.2025
4 min
Salva

LIEGI (Belgio) – Fa un certo effetto vedere Alexey Lutsenko con una maglia diversa da quella dell’Astana Qazaqstan Team. Lui davvero era tutt’uno con la squadra. Quella era la sua famiglia, il suo nido.
Lutsenko era l’erede naturale di Alexandre Vinokourov, il più forte atleta kazako di tutti i tempi. Le Olimpiadi, la Liegi, le tappe al Tour: Lutsenko, anche se quel palmarès non era suo, si era trovato in qualche modo ad ereditarlo.

Ora eccolo con la maglia della Israel-Premier Tech. A 32 anni ha scelto una nuova sfida e tutto sommato questa “contesa” sembra essere partita col piede giusto. Lui ci è parso sereno, brillante… e non solo in corsa.

«Cerco nuovi stimoli dopo tanto tempo, sento che posso dare e crescere ancora in un nuovo team», aveva detto Lutsenko quando fu annunciato il suo approdo alla Israel-Premier Tech. La campagna delle Ardenne è stata una buona occasione per incontrarlo e lui, con la sua gentilezza e il suo ottimo italiano, ci ha raccontato…

Una foto con l’ex compagno di squadra Velasco. I due erano (e sono) molto amici. Lutsenko era arrivato a scadenza di contratto con l’Astana
Una foto con l’ex compagno di squadra Velasco. I due erano (e sono) molto amici. Lutsenko era arrivato a scadenza di contratto con l’Astana
Alex, come stai?

Bene, in Belgio per la prima volta con la nuova squadra. La condizione è buona in questo periodo. Al Brabante ho faticato un po’, ma venivo dall’altura e spero di stare meglio per le prossime gare. Ogni giorno sento di crescere un po’. Le gare delle Ardenne, ma non solo, sono importanti per noi.

Fa effetto vederti senza la maglia della Astana. E’ un nuovo inizio per te. Come è stato ritrovarsi con uno staff nuovo? Nuovi corridori? Nuovi direttori?

Vero, all’Astana ci sono stato per 12 anni e anche prima, in qualche modo, c’era quella squadra per un giovane kazako come me. Quindi ci ho fatto tutta la mia carriera ed è stata l’unico team per me. Ammetto che è una vera esperienza quella che sto vivendo. Il primo mese è stato duro, ero un po’ nervoso, specie al primo raduno.

Perché?

Perché è stato tutto nuovo. Tutto diverso all’improvviso, non solo staff e compagni, ma anche vestiario, materiali, bici… Però già adesso vi dico la verità, mi trovo benissimo, mi sono abituato. Tutti sono simpatici e l’atmosfera è buona.

In questa stagione Lutsenko ha ottenuto un podio in una tappa della Coppi e Bartali. Il rendimento medio è stato buono però
In questa stagione Lutsenko ha ottenuto un podio in una tappa della Coppi e Bartali. Il rendimento medio è stato buono però
All’Astana eri il leader e avevi moltissime pressioni, forse qui alla Israel è un po’ diverso. O almeno c’è un altro tipo di pressione per te. E’ così?

Sì, ma io vedo che la squadra si fida di me. Anche per la Liegi potevo fare la mia corsa, essere leader. Poi è vero che sento un po’ meno pressione, ma credo dipenda dal fatto che la squadra in generale ne ha meno perché non siamo messi male con i punti. Tutto è un po’ più rilassato. L’anno prossimo siamo quasi al 100 per cento nel WorldTour. E poi è anche un po’ diverso il modo di lavorare. Loro preferiscono non fare pressione sull’atleta e magari senza pressione il corridore arriva al risultato.

Prima, Andrey, hai parlato del passaggio alla Israel, un nuovo team… Qual è stata la cosa più difficile da imparare?

E’ stato tutto diverso, anche la lingua. Come quando un bambino cambia scuola… prima andavo in quella vicino casa e all’improvviso è stato tutto diverso. Magari per un corridore che in carriera avesse già cambiato squadra 3-4 volte sarebbe stata una cosa normale, ma io in Astana avevo iniziato da piccolo. Altro approccio, altri modi di fare…

Il kazako ha parlato di buon clima in squadra
Il kazako ha parlato di buon clima in squadra
Però è anche uno stimolo, no?

Sì, sì: mi piace. E mi sto trovando bene.

Chi ti ha aiutato di più ad inserirti? Ammesso ci sia stato qualcuno… Pensiamo a Jakob Fuglsang, che è stato diversi anni con te in Astana…

No, non c’è stato qualcuno in particolare, davvero tutti mi hanno accolto bene. Poi, sì, Jakob è un corridore che conosco tanto bene. Ma non era l’unico, sapete. C’è anche un meccanico, un massaggiatore che conoscevo. Siamo “amicissimi” proprio…

Qual è il tuo programma stagionale?

Dopo queste Ardenne stacco per qualche giorno. Poi inizierò un lungo camp ad Andorra per preparare il Tour de France. Prima farò anche il Delfinato.

E invece cosa ci dici dei tuoi compagni che puntano al Giro d’Italia? Sono andati bene al Tour of the Alps…

Davvero bravi. E Derek Gee è un grande. Abbiamo fatto insieme l’ultimo training camp a Tenerife e ho visto proprio un bravo professionista. Ho visto come si è preparato sin da dicembre. Mi sembra pronto. La squadra spera molto in lui. L’obiettivo è fare una top cinque al Giro, ma anche il podio non è impossibile.

Prima vittoria per Toneatti, ora sempre più stradista

01.05.2024
5 min
Salva

Secondo in classifica generale alla Belgrado-Banjaluka, dopo aver vinto una tappa e essere stato due altre volte sul podio. Parliamo di una gara livello 2.2, certamente non una classica del calendario mondiale, ma serve per dare morale a uno come Davide Toneatti, venuto fuori a fatica da un 2023 davvero infausto. Sulle strade serbe il portacolori dell’Astana Development Team ha ritrovato soprattutto quel feeling con le due ruote che in certi momenti, lo scorso anno, sembrava perduto.

La sua voce, dopo la corsa in Serbia è evidentemente più rilassata, il risultato è la miglior medicina dopo le difficoltà affrontate: «So bene che il livello della corsa era quel che era – ammette – ma la partecipazione non era male, oltretutto è una gara che è nel calendario da anni e molte squadre la inseriscono sempre nella propria agenda. Era una corsa abbastanza varia, con la prima tappa piatta, poi una più mossa dove ho vinto in volata, la terza che era la più dura con 3.100 metri di dislivello e 180 chilometri da affrontare e ho fatto 3°, infine l’ultima ancora piatta e sono stato terzo anche lì».

Il friulano premiato sul podio di Vlasenica, per lui la corsa serba è stata quella della rinascita (foto Belgrado-Banjaluka)
Il friulano premiato sul podio di Vlasenica, per lui la corsa serba è stata quella della rinascita (foto Belgrado-Banjaluka)
Sei stato sempre protagonista, qualcosa che lo scorso anno sembrava a un certo punto diventata un’utopia…

Sicuramente sulla mia costanza a quel livello ha influito molto la voglia di rifarmi. Stare fermo per 8 mesi lo scorso anno non ha certamente aiutato la mia crescita, ma so che quest’inverno ho finalmente potuto lavorare bene mettendomi i problemi fisici alle spalle, sapevo che c’erano tutte le condizioni per uscire allo scoperto.

Nei 23 giorni di gara messi finora da parte, hai colto 8 presenze in top 10 oltre alla vittoria di Vlasenica. Ora si parla di te come di uno stradista, mettendo da parte quella dicotomia fra strada e ciclocross che ti contraddistingueva…

Questo per me è molto importante, significa che inizio ad assumere una piena identità su strada che è quello che voglio. Ho bisogno di trovare la mia dimensione, lo scorso anno sono stato quasi sempre a guardare gli altri, ora inizio a ritrovare un po’ di sicurezza nei miei mezzi.

Toneatti aveva già affrontato la trasferta con la prima squadra al Tour of Oman
Toneatti aveva già affrontato la trasferta con la prima squadra al Tour of Oman
Cominci anche a capire quali sono le situazioni di gara che più ti si addicono?

Io prediligo i percorsi impegnativi, quando le salite fanno la differenza e scremano il gruppo. Le salite medio-brevi sono quelle dove mi trovo meglio, su quelle lunghe mi manca ancora qualcosa anche se vedo che sono sempre più resistente e vado migliorando. I progressi ci sono, spero che ci siano anche nel prosieguo della stagione.

Ora che cosa ti aspetta?

La prima parte di stagione è finita, ora farò un paio di settimane in altura per essere al Giro del Giappone dove andrò per fare classifica considerando le caratteristiche delle tappe. Poi vedremo che cosa porterà il calendario.

Nel team Toneatti ha trovato il clima giusto per uscire dai problemi del 2023 (foto Nassos Triantafyllou)
Nel team Toneatti ha trovato il clima giusto per uscire dai problemi del 2023 (foto Nassos Triantafyllou)
Com’è l’atmosfera in seno al team, anche in considerazione dei cambiamenti in atto nel complesso dell’Astana, in piena trasformazione come caratteristiche?

L’atmosfera è buona, quello del devo team è davvero un bel gruppo, molto unito, fatto di amici che si sentono anche al di fuori della nostra attività. Questo poi aiuta tantissimo in gara perché tutti si lavora insieme per un unico obiettivo che è la vittoria di uno di noi.

Con la prima squadra, al di là delle chiamate com’è stato per te con la trasferta in Oman, ci sono contatti?

So che ci guardano costantemente, che c’è un contatto quotidiano fra i diesse dei due team. L’intenzione è quella di rimpolpare quanto prima il team del WorldTour con giovani, forze fresche per proseguire quell’opera di rinnovamento.

Insieme a Lutsenko al Giro d’Abruzzo, un’esperienza da gregario che è stata preziosa e vincente
Insieme a Lutsenko al Giro d’Abruzzo, un’esperienza da gregario che è stata preziosa e vincente
Tu hai corso anche il Giro d’Abruzzo con la prima squadra, che esperienza è stata?

Intanto devo dire che la squadra mi ha fatto correre senza pressione. E’ chiaro che tutti noi lavoravamo per Lutsenko e si è capito subito che aveva una buona gamba. Di partenza la nostra non sembrava una squadra all’altezza della Uae, con me e un altro ragazzo del devo team, invece alla fine, lavorando di concerto siamo riusciti a sovvertire i pronostici.

Come ti sei trovato?

Devo dire che quei quattro giorni sono stati molto istruttivi, ho imparato tanto e anche nei frangenti quando sono stato chiamato in causa, come ad esempio nella prima fase della salita di Prati di Tivo dove dovevo un po’ pilotarlo, è stato esaltante. La sua vittoria è stata la vittoria di tutto il team, credo che poi abbia anche influito sui miei successivi risultati in Serbia.

Lutsenko dominatore a Prati di Tivo: prossimo stop la Liegi

11.04.2024
6 min
Salva

PRATI DI TIVO – Il Gran Sasso c’è, non si vede, ma si intuisce per l’aria che scende dalle piste senza neve. La signora del bar dice che quest’inverno non si è sciato quasi per niente e che per i gestori degli impianti il periodo è pesante. Lutsenko ha appena conquistato l’arrivo in salita del Giro d’Abruzzo, sullo stesso traguardo su cui a maggio si assegnerà l’ottava tappa del Giro.

Il kazako voleva vincere e l’ha fatto. Prima ha messo la squadra a tirare dalla discesa del Passo delle Capannelle, poi si è ben destreggiato nella morsa dei corridori del UAE Team Emirates. Dopo aver vinto ieri con Christen, questa volta sono stati loro a rimanere con un palmo di naso. Nonostante nel finale fossero in tre, non sono bastati per arginare lo sprint del vincitore.

Beffa per la UAE Emirates

Ulissi manda giù ancora un po’ d’aria di montagna e poi batte la mano sulla spalla di Adam Yates, che si è avvicinato quasi per scusarsi di non aver vinto. Sono fermi sulla destra della strada accanto alla transenna, con un massaggiatore che porge loro da bere e gli chiede se abbiano bisogno di altro.

Sivakov osserva in silenzio, lui che da U23 vinse il Giro d’Italia a Campo Imperatore, sull’altro versante del gigante d’Abruzzo. A guardarla nello schermo, è evidente che in questa corsa ci siano tre livelli sin troppo distinti e che i corridori WorldTour finiti davanti abbiano un livello persino imbarazzante pensando a quello degli altri.

«Sono rientrato sui primi perché ne avevo – dice Ulissi mentre si copre – ma soprattutto quanto ho tirato?».

Il secondo posto è un sapore amaro con cui si fatica a fare di conto, restano l’ultima tappa e poi le Ardenne, dove però tornerà in gioco capitan Pogacar. Meglio riprovarci domani…

Yates, gioia strozzata

Adam Yates è al rientro dalla caduta che lo fece ritirare dal UAE Tour. Recuperare dalla commozione cerebrale ha richiesto più tempo del previsto e il Giro d’Abruzzo come gara del rientro va più che bene per ritrovare la condizione. Si scusa davvero e allarga le braccia, ma nessuno se la sente di dirgli qualcosa: cosa vuoi pretendere dopo quasi due mesi che non corre?

«Ho impiegato tanto per tornare – dice il britannico, terzo nell’ultimo Tour – più di quanto avrei voluto, quindi essere qui a lottare per la vittoria è un grande orgoglio. Ovviamente mi sarebbe piaciuto vincere, ma dopo circa 25 minuti di salita ero vuoto e senza energie. Ho provato un paio di volte ad attaccare, ma Lutsenko è sempre parso a suo agio. Alla fine Diego è tornato sotto e ha fatto un bel lavoro, ma penso che oggi abbia vinto il più forte.

«Siamo venuti qui senza un vero obiettivo, senza alcuna ambizione. Solo per correre e scoprire a che punto siano le gambe. Sicuramente da inizio anno ho perso un po’ di condizione, ma quella tornerà con un po’ più di allenamento. E dalla prossima corsa, che sarà il Romandia, conto di essere un Adam Yates migliore di questo».

Il gatto e i tre topolini

Lutsenko ha lo sguardo sornione del gatto che ha giocato con i tre topolini e alla fine li ha messi in trappola. Sull’arrivo lo ha accolto Michele Pallini, che qui accolse anche la vittoria di Nibali nel 2012, anno in cui lo stesso Lutsenko avrebbe vinto il mondiale degli U23. Oggi ha risposto ai ripetuti allunghi di Yates poi di Sivakov, infine ha preso la ruota di Ulissi ed è uscito di forza vincendo lo sprint in salita quasi per distacco. Rispetto agli agguerriti rivali, il kazako è in corsa con un gruppo di giovani del devo team e per loro e il lavoro che hanno svolto avrà parole di elogio.

«Questi due chilometri finali sono stati duri – racconta – perché ho sempre dovuto seguire la UAE. Si può dire che oggi sia stato UAE contro Lutsenko e sono contento di aver vinto. Ieri avevo fatto secondo e ci ero rimasto male, come se non fossi più capace di vincere. La salita è stata dura per tutti. La mia squadra ha fatto un bel lavoro: prima la discesa veloce e poi la prima parte della salita a tutto gas. Secondo me questo ha un po’ cambiato il ritmo della gara e consideriamo che io sono qui con un gruppo di giovani, mentre la UAE ha solo capitani, se pensiamo a Ulissi, Adam Yates e Sivakov»

Con Lutsenko c’è Pallini, che vinse a Prati di Tivo nel 2012 con Nibali
Con Lutsenko c’è Pallini, che vinse a Prati di Tivo nel 2012 con Nibali

E adesso la Liegi

Dina Ibrayeva, che segue l’Astana Qazaqstan Team come Marketing Communication Manager, ha vissuto il finale in religioso silenzio. Appena un sorriso dai suoi occhi orientali e l’ammissione che Lutsenko stamattina avesse detto di voler vincere. Nel frattempo sul busto del kazako sono arrivate anche la maglia di leader e quelle dei punti e della montagna.

«Ho aspettato lo sprint – spiega – perché ho visto che riuscivo a rispondere bene agli allunghi di Adam Yates, quindi evidentemente ho una buona gamba. Era davvero una bella salita, credo di non averla mai fatta, ma il nostro direttore sportivo (Martinelli, ndr) me l’aveva descritta molto bene. Sono contento. Sto seguendo lo stesso programma che lo scorso anno mi fece passare dall’altura al Giro di Sicilia e vincere in avvicinamento alle classiche (nel 2023 Alexey fu quinto all’Amstel, ndr).

«Sono venuto qui direttamente dal Teide e il prossimo obiettivo saranno la Liegi e poi il Giro di Romandia. Domani resta l’ultima tappa, che ha più di 3.000 metri di dislivello, poco meno di oggi. Sarà una giornata dura, sempre su e giù come una classica. E’ importante aver vinto oggi, domani sarò qui e proveremo a tenere la maglia, ma chi può dire come finirà?».

Sul traguardo la processione dei ritardatari prosegue costante. Il fine gara è ancora lungi dall’essere segnalato. Quando sulla riga passano Edoardo Cipollini, Samuel Quaranta e Stefano Baffi, dall’arrivo di Lutsenko è passata quasi mezz’ora.

Per Lutsenko ritorno a casa, prima di ricominciare

13.11.2023
5 min
Salva

Nel profondo rinnovamento che l’Astana Qazaqstan Team sta attuando, cambiando non solo corridori ma anche intelaiatura tecnica della squadra, Alexey Lutsenko resta un nome imprescindibile e il finale di stagione lo ha confermato una volta di più.

La sua seconda parte di stagione è stata molto impegnativa, con la preparazione incentrata sugli Asian Games dove ha colto l’oro a cronometro e l’argento nella prova in linea. Poi neanche il tempo di rifiatare e subito in gara al Giro di Turchia, vinto d’autorità conquistando la leadership già alla terza tappa, per poi non cederla più.

Lutsenko insieme al connazionale Fedorov: argento e oro agli Asian Games (foto Reuters)
Lutsenko insieme al connazionale Fedorov: argento e oro agli Asian Games (foto Reuters)

Il kazako è una colonna portante del team e forse la sua nuova dimensione sposa di più le sue caratteristiche di corridore adatto alle corse d’un giorno e alle corse a tappe medio-brevi. Quelle che riescono a mettere in luce le sue capacità di resilienza, necessarie anche in Turchia.

«Non era una gara semplice con i suoi 8 giorni e soprattutto con una tappa davvero dura, la terza – spiega – quella che ha fatto la classifica. C’era una salita lunghissima, oltre 20 chilometri con pendenza media del 10,5 per cento. Per oltre un’ora non si faceva che salire e salire, senza tregua. Vincendo lì ho ipotecato la vittoria finale».

Quest’anno hai vinto il Giro di Sicilia e Giro di Turchia. Sembri ormai un grande corridore per corse a tappe brevi: è questo il tipo di corridore che vuoi essere?

Io mi trovo bene in questo team e in questa dimensione. Non posso dire che sia stata una stagione negativa, sono arrivate 9 vittorie, non è un numero alla portata di tutti. I grandi Giri sono irrinunciabili per ogni team del WorldTour, l’importante è avere ben chiari i propri obiettivi. Non siamo una squadra che può lottare per i quartieri alti della classifica, ma stiamo costruendo qualcosa di adatto a ottenere comunque risultati.

Al Puy de Dome il settimo posto di Lutsenko, che con 9 vittorie è 11° nella classifica stagionale
Al Puy de Dome il settimo posto di Lutsenko, che con 9 vittorie è 11° nella classifica stagionale
Restiamo in tema. L’Astana sta cambiando target, puntando alle classiche di un giorno e alle brevi corse a tappe. Sei d’accordo con questa scelta?

A me va molto bene. Sono arrivati tanti corridori, soprattutto è importante che sia arrivato Morkov a dare una mano a Cavendish non solo per il Tour come pensano tutti. Con il Cav potremo toglierci belle soddisfazioni. Io preferisco ormai le corse d’un giorno, quelle con percorsi adatti a me, senza dimenticare le prove a tappe dove sfruttare le occasioni.

Per vincere in Turchia hai rinunciato al mondiale gravel: ti è dispiaciuto?

E’ stata una scelta ben ponderata, obiettivamente non c’era spazio nel calendario con gli Asian Games così tardi nella stagione e gli impegni con il team. Il gravel mi piace molto, ho dimostrato di andar molto bene in quel tipo di gare, ma bisogna anche avere il tempo di prepararle. Quest’anno non c’era la possibilità, dovevo privilegiare la mia nazionale e il mio team, che aveva e ha un gran bisogno di punti e sono contento di aver onorato i miei impegni.

Il kazako vincitore solitario della terza tappa in Turchia: la leadership in classifica è cosa fatta
Il kazako vincitore solitario della terza tappa in Turchia: la leadership in classifica è cosa fatta
Pensi che nel gravel potrai avere un futuro anche quando finirai di correre su strada, come Sagan vuole fare nella mountain bike?

Non mi piace fare paragoni, posso dire che il gravel non l’ho dimenticato, ricordo ancora bene quando in Veneto ho vinto la Serenissima e infatti conto di partecipare al prossimo mondiale se il calendario lo consentirà, ma voglio farlo per bene, per giocare tutte le mie carte.

Che obiettivi hai per il 2024?

Il calendario andrà studiato con attenzione, in base alle esigenze della squadra e sapendo usufruire dei nuovi arrivi. Ci vedremo a inizio dicembre in Spagna per il primo ritiro e lì getteremo le basi della stagione. Per ora non mi sono posto particolari obiettivi, voglio tenere la mente sgombra il più possibile dopo le vacanze che ho finalmente avuto.

Alexei premiato dal governo kazako insieme alle altre stelle sportive del Paese (foto Instagram)
Alexei premiato dal governo kazako insieme alle altre stelle sportive del Paese (foto Instagram)
A tal proposito sei appena tornato dal Kazakhstan: da quanto mancavi? Come ti hanno accolto e che cosa hai fatto in quei giorni?

Non capita spesso di avere il tempo per tornare a casa. Era davvero tanto che non rivedevo la mia famiglia, ma la vita che facciamo non ci lascia tanti spazi e il Kazakhstan è lontano. Ho avuto la possibilità di riabbracciare tanti amici, inoltre mi sono incontrato con il premier Smaiylov che è anche venuto in visita nella mia città, Petropavl e anche con il Ministro dello Sport. Ora però devo pensare alla preparazione, a rimettermi a lavorare in bici e in palestra per essere già a un buon livello quando a dicembre mi rivedrò con i compagni di squadra.

Il ruolo di Leonardo Basso, un diesse già in corsa

19.08.2023
5 min
Salva

Leonardo Basso, 29 anni, al suo secondo anno all’Astana Qazaqstan Team. Perché ci occupiamo di lui? Perché è la perfetta dimostrazione di come anche in questo ciclismo che va a velocità ipersoniche, dove tutto cambia dall’oggi al domani, si possa lavorare per trovare una propria dimensione e chissà, costruirsi anche un futuro remoto, quando la bici verrà appesa al classico chiodo.

Se chiedete risultati a Leonardo, per quest’anno non ce ne sono, o meglio i siti statistici vi diranno che di top 10 neanche l’ombra, ma i numeri non dicono sempre tutto. Perché dietro le vittorie e le soddisfazioni di altri, c’è il lavoro oscuro di gente come il veneto e c’è un esempio, neanche troppo lontano nel tempo, che lo dimostra.

Basso con Velasco. Il lavoro di Leonardo è stato basilare per la conquista della maglia tricolore
Basso con Velasco. Il lavoro di Leonardo è stato basilare per la conquista della maglia tricolore

«Avevo preparato con molta attenzione i campionati italiani – racconta Basso – andando al Tour de Suisse per rodare sempre più la gamba. Avevo compiti precisi, soprattutto dovevo lavorare nella prima parte della corsa per mettere le punte in condizione di dare tutto quando la gara si sarebbe decisa e la vittoria di Velasco è stata la vittoria di tutti noi, il premio per il buon lavoro svolto. Ho tirato per 100 chilometri, fino all’ultima risorsa di energia che avevo, ma alla fine ne è valsa la pena».

E dopo?

Ho tirato dritto verso le gare spagnole, continuando a fare il mio lavoro e vedendo che questo fruttava, ad esempio con la vittoria di Lutsenko al Circuito de Getxo. In totale fino a fine luglio ho fatto 48 giorni di corsa e se vado a vedere, avrò staccato dalla bici non più di 5 giorni.

Dopo i tricolori Basso ha corso le gare spagnole di luglio, dando sempre un importante contributo
Dopo i tricolori Basso ha corso le gare spagnole di luglio, dando sempre un importante contributo
La sensazione è che quello che ci troviamo di fronte sia un Basso diverso da quello che era alla Ineos…

E’ vero, sento dentro di me che qualcosa è cambiato. All’Astana mi trovo davvero bene, ho trovato la mia dimensione nel supporto ai compagni, nel lavorare per gli altri. Spesso chi entra in questo mondo ha un preconcetto nei confronti dei gregari, pensando che siano corridori che valgono meno e quindi sono relegati a ruoli di secondo piano. Quando ti ci trovi capisci quanto il discorso sia molto più complesso e quanto sia importante il lavoro svolto da altri per far vincere le punte del team. Il ciclismo è davvero un lavoro di squadra.

E’ vero, però ormai è opinione comune, quando un team del WT prende un giovane italiano, che questi vada a fare tappezzeria, a imparare sì il mestiere senza però poi avere occasioni per emergere…

Il ciclismo non è così. Entrare in una squadra è sempre uno stimolo e devi metterti in gioco con tutto te stesso, sta a te poi capire piano piano le tue possibilità, quel che puoi realmente dare. Se l’atleta c’è, viene fuori: è interesse del team che ciò avvenga. Ma è anche interesse personale quello di capire che cosa si può realisticamente fare e seguire quella strada. Io come detto ho trovato la mia dimensione e ci sto lavorando sopra.

Il corridore di Castelfranco Veneto ha ormai trovato la sua dimensione nel team
Il corridore di Castelfranco Veneto ha ormai trovato la sua dimensione nel team
Per completare il discorso, tu corri in una squadra kazaka che ha comunque una forte anima italiana, ma davvero nel WorldTour di oggi si guarda alla nazionalità di un corridore, privilegiando quello “di casa”?

Io non credo proprio, tutte le squadre sono delle multinazionali, che vogliono semplicemente emergere e vincere, se il campione è nazionale bene, se viene da fuori bene lo stesso. Che manchi un team italiano nella massima serie è fuori di dubbio, sarebbe comunque un canale privilegiato per far emergere i talenti italiani, ma se hanno qualità si metteranno in luce anche in team straniero. Però c’è dell’altro…

Cosa?

Non guardiamo sempre al discorso prettamente ciclistico. Approdare in un team di questo livello, soprattutto da giovani (io sono andato alla Trek a 21 anni) è un percorso di crescita anche personale. Impari nuove lingue, stabilisci obiettivi e priorità, insomma diventi uomo e in questa maturazione ci sta anche il trovare il proprio ruolo e svolgerlo sempre meglio.

Il veneto è al suo secondo anno all’Astana, ma spera di continuare nello stesso ambiente
Il veneto è al suo secondo anno all’Astana, ma spera di continuare nello stesso ambiente
E tu che obiettivi ti poni? Dalle tue parole, ma anche dal tuo modo di correre si prospetta un futuro in ammiraglia…

Ammetto che mi piacerebbe molto e mi ci sento portato, non so se al massimo livello o occupandomi dei giovani, ma si può fare molto avendo un approccio ampio al mestiere. Io però sono concentrato sull’oggi, mi piace rimanere in questa squadra, voglio continuare a lavorare e a contribuire ai suoi successi.

Ora che cosa ti attende?

Mi sto preparando per la lunga trasferta oltreoceano, con il Tour of Maryland e le due classiche canadesi del WorldTour. Quest’anno non ci saranno grandi Giri per me, ma come si vede le corse da fare non mancano…

Per Basso si profila un futuro da direttore sportivo, un’idea che sembra piacergli
Per Basso si profila un futuro da direttore sportivo, un’idea che sembra piacergli
Hai già molti più giorni in carniere rispetto allo scorso anno…

Il 2022 è stato davvero difficile ed essendo il primo anno all’Astana non nascondo che la cosa mi è pesata. Ho preso per due volte il Covid e la ripresa è stata ogni volta più complicata. Ho pagato fisicamente. Quest’anno è tutta un’altra storia, mi sento più solido, sotto ogni punto di vista e spero che questa progressione non si fermi.

Dalla Sicilia alle Ardenne. A tavolino con Lutsenko

21.04.2023
6 min
Salva

Ha vinto il Giro di Sicilia, è arrivato quinto all’Amstel Gold Race: Alexey Lutsenko sta ritrovando gambe e fiducia. Il talento kazako è impegnato nell’Ardenne. Con la testa è sul pezzo, ma guarda anche avanti.

Con il capitano dell’Astana Qazaqstan abbiamo parlato a 360° in un freddo pomeriggio da Belgio. Dopo la sgambata post Freccia Vallone, eccolo da noi.

L’ex iridato under 23 forse non è ancora riuscito ad esprimersi al massimo. Tutti i suoi tecnici in questi anni ci hanno parlato di un grande potenziale. Probabilmente nel suo caso l’era del Covid è arrivata nel momento peggiore, a 27-28 anni, quando Lutsenko iniziava ad avere anche una certa costanza di risultati. E contestualmente questa era ha spalancato le porte alla nuova generazione

Lutsenko (classe 1990) è pro’ dal 2013, sempre nella fila dell’Astana
Lutsenko (classe 1990) è pro’ dal 2013, sempre nella fila dell’Astana
Alexey, partiamo da questi ultimi piazzamenti… In Sicilia hai vinto da dominatore. Come stai?

Ho trovato finalmente la vittoria in questa stagione. La prima parte dell’anno non è andata molto bene. Adesso sono riuscito a trovare una buona gamba e una buona forma. Aver vinto in Sicilia la tappa più dura e la classifica generale mi ha dato morale. E lo stesso il quinto posto all’Amstel arrivato per di più dopo il viaggio diretto dalla Sicilia. Le motivazioni sono buone in vista della Liegi.

L’altro ieri hai fatto anche la Freccia. Sei arrivato 49°: come è andata? 

Sapevo già prima di partire che il Muro di Huy era troppo duro per me. E così l’ho presa come un allenamento per non perdere il ritmo gara. Certo, mi sarebbe piaciuto cogliere un buon risultato, ma come ho detto, sapevo che sarebbe stato difficile.

Adesso sei un atleta maturo. I giovani vanno molto forte. Cosa puoi fare tu per cercare di batterli?

Io ho già più di dieci anni di professionismo sulle spalle e contro questi ragazzi posso cercare di usare la mia esperienza. Questa è la mia arma. Sono d’accordo quando dite che ci sono giovani forti. Qui i ragazzi di primo, secondo anno vincono subito. Il ciclismo cambia in continuazione: preparazioni, alimentazione, materiali… Io ricordo quando sono passato nel 2013. Al primo anno non ho vinto nulla. Poi ho iniziato con una vittoria, poi due… Non ho portato a casa un Fiandre all’inizio. Sono andato a migliorare piano, piano. Anche nei grandi Giri: per entrare nei primi 7-8 al Tour ci ho impiegato tante stagioni.

Lutsenko ha vinto il Giro di Sicilia dominando l’ultima frazione, la tappa regina
Lutsenko (classe 1990) ha vinto il Giro di Sicilia dominando l’ultima frazione, la tappa regina
E proprio perché tutto va avanti, tu hai cambiato qualcosa per adeguarti ai tempi? A questi ritmi?

Di base dico di no. Ho sempre cercato, e dato molta importanza, all’inverno. Al costruire una grande base. L’anno scorso ho fatto due grandi Giri di fila, Tour e Vuelta, e ho ripreso la bici a fine novembre. Quindi altura, palestra…  Non ho cambiato, perché alla fine noto che quel che conta davvero è stare bene. Se stai bene hai voglia di correre, di fare fatica e di conseguenza vai forte, sei motivato. Se non stai bene tutto questo non c’è. Non è così questione di sola preparazione.

A 30 anni ti senti più un corridore da corse di un giorno, da grandi Giri o da gare di una settimana?

Anche qui conta stare bene soprattutto. Se sto in condizione riesco a tenere duro anche nelle tre settimane. Ma adesso che siamo qui in Belgio, quando c’è la motivazione, riesci a stare sei ore davanti, anche con la pioggia e il freddo come ho fatto all’Amstel. Per quanto riguarda i grandi Giri preferisco essere un po’ più leggero. Qui ho un chilo e mezzo in più… di muscoli, perché non ci sono salite più lunghe di 5 chilometri e bisogna essere esplosivi. Quando poi tornerò in altura per preparare il Tour, per esempio, devo perderlo. E perdere un chilo e mezzo di muscoli non è facile!

A proposito di Tour. In Italia, visto anche l’abbraccio che ti ha riservato la Sicilia, sei molto apprezzato: quando verrai al Giro d’Italia?

Eh, dovreste chiederlo alla squadra. Ogni anno faccio quasi sempre lo stesso programma: classiche, Svizzera o Delfinato, Tour de France. Un anno, nel 2018, ho fatto il Giro. In Italia mi trovo bene. La gente è più simpatica e mi piace correre da voi.

E allora visto che sei già arrivato 7° e 8° al Tour, non hai pensato che al Giro potresti davvero puntare ad un podio? Ti piacerebbe?

Sì, mi piacerebbe. Perché quando devi fare classifica devi essere sempre concentrato al massimo tutti i giorni. Devi soffrire sempre. Il giorno che stai “così e così” puoi perdere dieci minuti o anche mezz’ora. Devi tenere duro, sei sempre sotto stress. E al Tour lo stress è altissimo. Alla Vuelta, che arriva a fine stagione, che c’è bel tempo e le strade sono larghe, ce n’è meno. Al Giro è una via di mezzo. 

E allora dillo a Vinokourov (il team manager) che vorresti venire al Giro!

Eh, vediamo l’anno prossimo – pausa – o magari già anche quest’anno. Intanto domenica faccio la Liegi. Nel ciclismo di oggi le cose cambiano spesso. 

Quindi c’è una piccola possibilità…

E perché no! Prima però mi piacerebbe fare qualche giorno a casa… Perché tra Teide, Sicilia, Ardenne e poi Romandia sarò stato fuori per cinque settimane ed è difficile per me e per la mia famiglia, visto che ho tre bambini!

Vinokourov ha vinto una Liegi. Quanto è popolare questa corsa in Kazakistan? E ancora, Vino ti ha dato qualche consiglio in particolare?

E’ importante in quanto è una classica monumento, ma così come lo sono Sanremo e Fiandre. Se vinco anche queste corse è uguale. “Vino” è stato più scalatore di me forse e per questo ha vinto la Liegi. Ma spero di fare bene anche io visto che stavolta ho una buona gamba. Sono sempre stato sfortunato con questa gara. Una volta l’influenza, l’anno scorso la caduta nella quale ho rotto la clavicola… speriamo bene.

Tra Amstel e Freccia, Lutsenko è stato molto spesso vicino a Pogacar e ammette che ora lo sloveno è pressoché imbattibile
Tra Amstel e Freccia, Lutsenko è stato molto spesso vicino a Pogacar e ammette che ora lo sloveno è pressoché imbattibile
Pogacar sta dominando. Arriverà Evenepoel e si vocifera possa esserci Van der Poel. Tu che li vedi in gruppo, c’è questa grande differenza?

Io ci pedalo accanto per sei ore e sì: c’è una differenza netta. In questo momento Tadej è ad un livello superiore rispetto a tutto il gruppo, non solo rispetto a me. Però il fatto che domenica ci sarà Evenepoel è buono anche per noi. Perché se magari si guardano, si corrono contro, possiamo approfittarne. Ma altrimenti in questo momento Pogacar è più forte. Ha vinto tutto: pavé, salita, muri. Ci manca solo che vinca in volata!

Mentalmente come si a fa partire per una corsa sapendo che c’è chi è nettamente più forte?

Devi sperare che rimanga da solo, senza squadra – poi Lutsenko fa una pausa – Anzi no, anche se resta solo è più forte! In UAE Emirates va forte solo lui. O meglio, tutta la squadra lavora solo per lui. Ho visto che lo proteggono benissimo, se poi ci mettiamo che è un fenomeno c’è poco da fare. Anche l’altro giorno alla Freccia ha schivato quella caduta in modo incredibile.

Okay, chiudiamola così: ti aspettiamo al Giro…

Ah, ah, ah vediamo. Ho molta voglia di provare il Giro come si deve. Quando venni nel 2018 ero caduto poco prima nelle classiche e non ci arrivai al meglio. Però sai quando tu stai bene, sei in forma, il corpo ha voglia di correre.

Quella fuga al mondiale che a Lutsenko non va giù

31.12.2022
5 min
Salva

Quando pensa al mondiale di Wollongong, Lutsenko vorrebbe mangiarsi le mani. Sono le cinque di un pomeriggio mite in Spagna, Alexey si scusa per il suo italiano che è indubbiamente migliore del nostro kazako. Si ride, il clima è disteso, anche se il ricordo batte dove il dente duole. Nel momento in cui Evenepoel lo ha staccato, il kazako infatti ha capito di aver peccato di ingenuità dandogli tutti quei cambi, ma ormai era tardi. E il 24° posto finale ha assunto più il sapore della beffa.

«Mi sentivo benissimo – sorride il leader della Astana Qazaqstan Teamla squadra mi aveva mandato alla Vuelta per preparare i mondiali. Sono entrato nella fuga più grande. E quando è partito Remco, ho commesso il grosso errore di tirare subito. Se avessi tenuto di più, magari avrei salvato il podio. Avevo provato ad attaccare anche prima, c’erano già due belgi. Se lui voleva vincere il mondiale, meritava di fare più fatica anche all’inizio».

Intervista in russo e poi in italiano: la lingua madre di Lutsenko è però il kazako
Intervista in russo e poi in italiano: la lingua madre di Lutsenko è però il kazako

L’esempio di Colbrelli

L’esempio di Colbrelli agli europei di Trento, per quanto discusso dai tifosi del belga, aveva già dimostrato che Remco si può battere in un solo modo. Ma in quel momento Lutsenko non ha avuto la lucidità di pensarlo.

Kazako, 30 anni, residenza spagnola. Lutsenko piombò nei discorsi giusto dieci anni fa, quando vinse il mondiale degli U23 a Valkenburg. Aveva 19 anni e poteva fare in apparenza tutto, come dimostra il suo palmares, pieno di vittorie e piazzamenti importanti, senza però il senso di un terreno su cui essere più forte. Se poi ci si mette anche la sfortuna, il quadro è completo e tutti ricorderanno sicuramente il video del suo volo in discesa mentre si allenava a Tenerife con la bici da crono.

Eppure la stagione non era cominciata male…

Ho vinto la prima corsa (Clasica Jaen Paradiso Interior, ndr). Mi sono piazzato nella seconda. Poi sono caduto all’Het Nieuwsblad e peggio ancora sono caduto a Tenerife, mentre mi preparavo per le Ardenne. Era marzo, sono rientrato a maggio e mi sono ammalato prima di andare al Giro, ma intanto lottavo con la paura nelle discese. Al Tour ho fatto il massimo. Puntavo a un posto nei dieci  e l’ottavo non è stato da buttare, considerata la caduta al Giro di Svizzera. Invece la Vuelta, come dicevo, è servita da preparazione per il mondiale, con delle fughe e poco più. Invece in Australia mi sono perso alla fine, dopo quasi sette ore di fuga.

Sai fare tutto, ma cosa ti riesce meglio?

Vorrei mettere un punto su classiche come il Fiandre e la Strade Bianche, perché mi trovo bene sulle strade sterrate. La vittoria alla Serenissima Gravel non fu per caso. Si va sempre a tutta, il mio modo preferito senza troppe tattiche, anche se al mondiale di Cittadella si è visto che con l’arrivo di tanti pro’, le tattiche cambiano. Si può andare da lontano o aspettare, questa volta è arrivata la fuga. Mi piacciono questi percorsi, perché da ragazzo ho cominciato con la mountain bike e anche d’inverno la uso sempre.

Invece nei Grandi Giri?

Tre settimane sono tante e sono dure. Le corse a tappe meno lunghe invece sono alla mia portata, anche quelle dure. Nel 2021 sono stato secondo al Delfinato per 17 secondi da Porte, quelle si possono fare. Però nel 2023, se tutto fila liscio, punterò su Strade Bianche, Fiandre e Ardenne.

A Wollongong un altro kazako ha vinto il mondiale U23. Ti sei rivisto in lui?

Siamo entrambi kazaki, ma io avevo 19 anni e venivo dal nulla. Lui ne ha 22 e aveva fatto prima la Vuelta. Fedorov ha un grande motore, ma è giovane. Abitiamo a 200 metri l’uno dall’altro e ogni giorno controllo i suoi allenamenti, come mangia, che vita fa. Secondo me è perfetto per corse come Fiandre e Roubaix. Le differenze? Io non ho avuto la fortuna di un corridore che mi abbia seguito. Avevo Sedun, ma ero davvero piccolo. E adesso seguo lui, come farei con un bambino.

Cosa hai fatto finora quest’inverno?

Più riposo, quattro settimane di stacco. Ho chiuso appesantito dalla Vuelta e dal viaggio in Australia. Dopo il Tour ho staccato solo due giorni per correre in Spagna. In più nel frattempo sono diventato papà per la terza volta ed è stato duro avere la testa nelle corse e alla famiglia. Avevo bisogno di recuperare e poi ho ripreso con mountain bike, palestra e corsa a piedi. Fare un bell’inverno, è importante per andare bene dopo. Lo schema è quello. Inizio in Oman, che mi porta bene perché l’ho vinto due volte ed è meglio del UAE Tour che ha solo volate. Voglio arrivare bene ad aprile. Prima il Fiandre e poi la Liegi. Se sto bene, la Liegi è il posto giusto per avere grandi sogni.

Velasco, riflessioni del primo italiano al Tour

07.08.2022
4 min
Salva

C’è un particolare elenco che da un paio di settimane, al fianco di campioni come Coppi, Gimondi, Pantani comprende anche Simone Velasco. Ed è l’elenco dei primi italiani classificati al Tour de France. Intendiamoci: è solo un puro dato statistico.

E’ chiaro che c’è una bella differenza se si parla di campionissimi che hanno vinto la Grande Boucle o di un corridore arrivato 31° e Velasco lo sa bene. Ma è pur sempre qualcosa, considerando anche che l’elbano era partito per la Francia certamente non per fare classifica. Il compito era lavorare per gli altri, nella fattispecie Lutsenko.

Velasco ci risponde dall’Elba, dove è approdato dopo la classica di San Sebastian per qualche giorno di meritato riposo con la famiglia.

«E’ un caso che sia risultato il miglior italiano – dice – certamente non correvo con questo obiettivo. E’ venuto dopo ritiri importanti, come quello di Caruso. Io sono soddisfatto a prescindere, dovevo aiutare Lutsenko, poi entrando in qualche fuga ho anche migliorato la mia classifica. A dir la verità è più il rammarico per come sono andate le cose proprio in un paio di occasioni».

Velasco Tour
Velasco, 27 anni il prossimo 2 dicembre, ha chiuso 31° un Tour molto regolare
Velasco Tour
Velasco, 27 anni il prossimo 2 dicembre, ha chiuso 31° un Tour molto regolare
Che cosa è successo?

Io volevo il risultato di tappa, ma dal secondo giorno di riposo ho cominciato ad avere bronchite e raffreddore e me li sono portati dietro per tutto il Tour. Comincio a stare meglio ora, dopo qualche giorno di mare e aria aperta.

Per te è stato il primo Tour?

Non solo, è stato il primo grande Giro… E’ stata un’esperienza enorme, il Tour è più che stressante: mai tranquillo, devi stare sul pezzo ogni singolo metro, con il caldo che ti soffoca e l’asfalto che si scioglie sotto le ruote. Ma è bellissimo, quando passi in mezzo alla gente. Sentire quel tifo enorme è un’emozione indimenticabile.

Velasco tifosi
Simone è rimasto sorpreso dal calore del pubblico lungo le salite. Un’esperienza unica…
Velasco tifosi
Simone è rimasto sorpreso dal calore del pubblico lungo le salite. Un’esperienza unica…
Pur dando a quel piazzamento il giusto valore, è anche la conferma che comunque sei un corridore da corse a tappe come si diceva da tempo…

Le caratteristiche sono quelle e sono contento che anche una corsa così particolare, affrontata in questo modo, le abbia confermate. Io penso che nelle brevi corse a tappe posso dire la mia perché in salita mi difendo e a cronometro non sono certo fermo. Ma per emergere serve essere sempre al massimo. La differenza fra chi vince e chi arriva dietro è quella: i primi non hanno mai cedimenti.

Che cosa ti aspetta adesso?

L’emozione più grande della mia vita! Sto per diventare papà di una bella bimba, dovrebbe arrivare intorno al periodo del Lombardia. Il programma della stagione prevede una bella serie di classiche, di gare d’un giorno. In squadra sanno però che appena arrivano le avvisaglie stacco tutto e raggiungo mia moglie per vivere quel momento insieme.

Velasco Caruso 2022
Velasco al fianco di Damiano Caruso, costretto al ritiro per Covid quand’era ancora il miglior italiano
Velasco Caruso 2022
Velasco al fianco di Damiano Caruso, costretto al ritiro per Covid quand’era ancora il miglior italiano
Dopo l’Elba che cosa farai?

Un paio di settimane di altura, in Val di Fassa. Poi riprenderò con le due classiche del WorldTour in Canada. A seguire il Pantani e per il resto si vedrà.

Torniamo al Tour, com’è stato giudicato in squadra?

Abbastanza positivamente. Dovevamo portare Lutsenko nella Top 10 e lo abbiamo fatto in una corsa decisamente non facile. Ci è mancato forse qualche risultato di tappa in più, ma va bene così.

Lutsenko Tour 2022
Per l’Astana l’obiettivo di portare Lutsenko nella top 10 è stato centrato: 9° a 22’56” da Vingegaard
Lutsenko Tour 2022
Per l’Astana l’obiettivo di portare Lutsenko nella top 10 è stato centrato: 9° a 22’56” da Vingegaard
Il fatto che il tuo risultato abbia avuto un tale clamore fa anche capire qual è lo stato del ciclismo italiano nei grandi giri, decisamente non positivo.

Io penso che molto sia casuale. Caruso era partito con grandi ambizioni, ma se non sei al top c’è poco da fare contro simili campioni. Altri che avrebbero potuto far bene avevano un altro calendario. E’ difficile essere competitivi, ma penso che presto torneremo a farci vedere. Il movimento c’è, in questo momento sembra che vada tutto male ma gli aspetti positivi ci sono. A volte basta anche un pizzico di fortuna in più e quest’anno obiettivamente al nostro ciclismo è andato tutto male…

Tu che vivi una realtà come l’Astana, che ha sì uno zoccolo duro italiano ma che resta una squadra straniera come tutte le altre del WorldTour, che cosa ne pensi dell’assenza di un team di vertice tutto italiano?

Che ci penalizza e molto. Devo però dire che nell’Astana non ci sono preclusioni né preferenze in base alla nazionalità e così credo avvenga anche negli altri team. Alla squadra interessa che si facciano risultati, che si vinca: i corridori vengono valutati in base a gambe e condizione atletica, certamente non per il passaporto.

Lutsenko riprende da dove aveva lasciato: sterrato e vittoria

15.02.2022
4 min
Salva

Come aveva chiuso, ha riaperto. Lo stesso terreno che aveva lasciato, Alexey Lutsenko l’ha ritrovato. Il kazako vince la prima edizione della Clásica Jaén Paraiso Interior, nuova corsa andalusa con gli sterrati. Oltre confine l’hanno già ribattezzata la Strade Bianche di Spagna.

Una grande cavalcata tra gli uliveti più grandi della penisola iberica. Da queste immense coltivazioni arriva quasi il 30 per cento dell’olio spagnolo. Tante colline, molti strappi, un bel po’ di vento…

Clásica Jaén Paraiso Interior: una nuova corsa nella regione andalusa della Spagna
Clásica Jaén Paraiso Interior: una nuova corsa nella regione andalusa della Spagna

Assolo da paura

Lutsenko era al debutto stagionale. Il kazako si era ben preparato durante l’inverno. Ma forse neanche lui si aspettava di andare così forte alla prima apparizione. Con il diesse Stefano Zanini riviviamo la sua corsa.

«E dire – racconta Zazà – che non era partita benissimo. Anzi, direi proprio un inizio bello sfigato. Presto abbiamo perso Davide Martinelli e altri ragazzi. Solo Miguel Angel Lopez e Lutsenko sono riusciti a ripartire subito. E poco dopo Grudzev, è stato l’unico a riagganciarsi a loro due. Poi la corsa si è un po’ stabilizzata.

«Ad un certo punto, su un tratto in sterrato sono rimasti in 14 al comando e il drappello si è spezzato. Lutsenko si è ritrovato davanti e se ne è andato. Presto. Troppo presto! Mancavano quasi 60 chilometri alla fine. Poi è stato ripreso. Ed è ripartito nuovamente… Aveva la gamba che gli scappava!».

L’uomo gravel

Due indizi non fanno ancora una prova… ma quasi. Lutsenko aveva vinto, anzi dominato, la Serenissima Gravel, la sua ultima gara del 2021. E ha ripreso vincendo la Clásica Jaén Paraiso Interior. Di certo meno tecnica, ma pur sempre con 30 chilometri di sterrato. E’ un format che piace particolarmente al kazako? E perché?

«Mah – spiega Zanini – Alexey approccia questo genere di gare come le altre, ma forse riesce a dare qualcosa in più. Gli piacciono. Ma di base le vince perché è forte e va forte. Alexey uomo gravel? Per adesso possiamo dire di sì! In ogni caso il programma resta lo stesso, non andremo alla ricerca di gare gravel o con sterrato. La sua prossima corsa sarà la Ruta del Sol, come da programma».

L’anno della svolta

Che ci punti o no, Lutsenko si candida ad essere uno dei favoriti della Strade Bianche. Tanto più che la corsa spagnola era a dir poco impegnativa: 187 chilometri e quasi 3.000 metri di dislivello, numeri più che confrontabili con la gara senese. Per vincere quindi devi stare bene. E tanto. Specialmente se sei protagonista di assoli così importanti.

Lutsenko è un campione vero. Non si vince per caso un mondiale U23. Da quando è passato pro’ è sempre andato in crescendo, ma non ha mai dominato. Questo potrebbe essere l’anno della svolta.

«Ormai Lutsenko è un professionista vero – dice Zanini – Ha l’età (29 anni, ndr) giusta per fare le cose fatte bene e deve sfruttare questi anni per vincere. Adesso sa arrivare pronto alle gare. Lo abbiamo visto anche oggi, al debutto stagionale. Significa che ha lavorato bene. E ha vinto perché era pronto. Ha vinto perché era davvero dura».

«E poi si sa gestire. Non ha paura. L’attacco di oggi forse è avvenuto presto, ma poi ha controllato alla grande. Anche dopo che è stato ripreso. Tanto più che noi, Giuseppe Martinelli ed io, in ammiraglia non siamo potuti andargli subito dietro. Siamo arrivati su di lui solo ai 15 chilometri dall’arrivo. Per radio gli davamo i distacchi e qualche indicazione sulle curve. Ma per alimentazione e tutto il resto ha fatto da sé».

Il podio finale con Lutsenko, Tim Wellens e Loic Vliegen. Tutti si sono dichiarati stremati al termine della gara
Il podio finale con Lutsenko, Tim Wellens e Loic Vliegen

Sterrato… Filante

L’Astana Qazaqstan Team corre con bici Wilier. Lo scorso autunno in Veneto avevano sfoggiato la nuovissima gravel Rave Slr, e Lutsenko aveva dominato la Serenissima con quella bici. Ieri invece aveva la Wilier Filante.

«Sì, bici normale – conclude Zanini – alla fine i chilometri di sterrato non erano tantissimi e il fondo era molto compatto. C’erano dei sassi e delle ondulazioni dove passavano i trattori, ma in generale erano sterrati veloci. In più il settore finale, quello che si faceva tre volte, lo avevamo visionato in ricognizione. Quindi eravamo abbastanza preparati. Le coperture? Tubolari da 26 millimetri, gonfiati a 6,8 bar all’anteriore e a 7 bar al posteriore».