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Ursus Miura TC, viaggio nelle scelte di Petacchi

03.11.2022
5 min
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Rigidità e leggerezza dei migliori cerchi in carbonio con un livello di comfort mai raggiunto finora da questo tipo di prodotti. Il risultato dell’equazione sembra proprio essere racchiuso nella serie TC. Le ruote Ursus Miura TC37, TC47 e TC67 sono un concentrato di comfort, duttilità e performance con prestazioni al top su ogni tipo di terreno. Oggi Parigi-Roubaix e domani Strade Bianche con queste ruote sono possibili.

Questi cerchi sono adattabili a percorsi diversi. Grazie al tubeless si può essere competitivi come un pro’ su asfalto senza preoccuparsi troppo del rischio di forature. Il giorno seguente si può decidere di mettersi alla prova su un percorso con pavé, oppure di tipo gravel: basterà abbassare la pressione di gonfiaggio delle coperture per ottenere più grip e per ammortizzare le asperità del terreno ghiaioso. Le abbiamo scoperte insieme all’ambassador d’eccellenza di Ursus che di ruote ne ha provate di tutti i tipi e serie: Alessandro “Alejet” Petacchi.

Performance aeronautiche

Il profilo aerodinamico nei cerchi della serie TC è progettato sulla base del NACA 0027, di stampo aeronautico. Le fibre di carbonio sono stese seguendo un particolare processo di bendaggio: questo consente l’ideale distribuzione del materiale, che rende la struttura delle ruote leggerissima ed estremamente bilanciata. Tutte le varianti montano l’ultimo modello di mozzi Ursus in alluminio. Un concentrato di tecnologia, preciso al micrometro, enfatizzato dalla presenza di cuscinetti a sfera ad alta scorrevolezza. Si parla di capolavori tecnici da professionisti che nella loro versione Disc aggiungono all’elenco dei pregi una frenata mai così reattiva ed efficace, ideale anche in condizioni di pioggia o asfalto bagnato.

Le tre versioni

Nella loro versione da 37 mm queste ruote mantengono alte prestazioni sia su lunghe distanze che su percorsi misti. Hanno risposto molto bene ai test di Ursus anche in ambito gravel e su bagnato, denotando una grande stabilità. Sono disponibili nella versione V-brake Miura TC37 e in quella per freno a disco Miura TC37 Disc.

Le ruote da 47 mm per bici da corsa con freno a disco sono adatte per ogni tipo di percorso. Il profilo medio del cerchio, consente ai ciclisti amanti di percorsi misti di pedalare al massimo delle prestazioni in ogni occasione. La particolare stesura della fibra di carbonio consente di controllare la distribuzione del materiale in modo che il cerchio risulti perfettamente bilanciato. Le ruote in carbonio Miura TC47 Disc montano il nuovo modello di mozzi Ursus minuziosamente assemblati a mano dai meccanici e controllati con degli appositi macchinari a controllo ottico prima di essere montati nelle ruote.

Infine c’è la versione da 67 mm, che assicura alla bici un elevato impatto estetico, ma non è di certo questo il suo pregio principale. Si tratta infatti di ruote progettate per dare il meglio a cronometro, quando l’aerodinamicità del loro profilo GOE 775 Airfoil consente di ridurre al minimo la resistenza al vento contrario. Nessun problema anche in situazioni di vento laterale, che scivolerà via senza destabilizzare.

Petacchi è product e brand ambassador di Ursus
Petacchi è product e brand ambassador di Ursus
Alessandro, che tipo di ruote sono?

Sono ruote un po’ diverse ma simili, perché le TC37 sono leggermente più leggere e con un’indole più da salita e da scalatore. Per percorsi più impegnativi. Le TC47 sono il compromesso giusto tra rigidità e guidabilità. Io mi sono trovato molto bene anche in discesa. Sono ruote molto scorrevoli, hanno un ottimo cuscinetto. Le TC67 invece sono le più aerodinamiche e veloci della serie.

Qual è la misura che ti piace di più?

La TC47. E’ la dimensione dal punto di vista amatoriale più completa. Si può fare di tutto, dalle corse più veloci a quelle più impegnative. 

Sono ruote che avresti usato anche da pro’?

Sì, assolutamente. Un professionista magari può ricercare una ruota più alta come la 67 mm, per avere più rigidità e più scorrevolezza. Questa scelta viene dettata ancora di più dal percorso. Per esempio in una gara piatta o un arrivo veloce sarebbero la scelta ottimale. 

Mentre delle TC37 cosa ci dici?

Sono fantastiche. Ma l’utilizzo dipende anche dalla fisicità del ciclista. Per esempio io questa misura la userei raramente. In salita però sceglierei proprio queste. Per fare un esempio, se dovessi correre una tappa con 5000 metri di dislivello non avrei dubbi nello sceglierle. 

Le Miura TC si prestano anche ad un utilizzo offroad come per il gravel
Le Miura TC si prestano anche ad un utilizzo offroad come per il gravel
Cosa dici della loro adattabilità a strada, gravel, pavé?

Sono studiate per avere sollecitazioni elevate, per una Roubaix o un Fiandre sono le ruote ideali. Anche per le strade bianche non hanno problemi. In quel caso le sollecitazioni non sono paragonabili all’Inferno del pavé. 

Per terreni difficili quale sceglieresti?

Una Roubaix si può correre tranquillamente con la 47 mm visto che più di una volta abbiamo visto i corridori con le alto profilo cavarsela più che bene. 

Sono ruote complete quindi?

Sì. Poi dipende molto anche dal copertoncino che viene scelto e anche se vengono messe in configurazione tubeless. Dopo si gioca con le pressioni, ma le TC rimangono la scelta migliore anche per queste condizioni. 

Che impressione hai avuto sulla scorrevolezza?

Sono ruote molto scorrevoli. Mi hanno dato delle sensazioni buone in ogni uscita. Sia a velocità basse che alte. E’ difficile trovargli dei difetti. Si ha un compromesso su tutti i terreni di affidabilità, rigidità, guidabilità e tenuta.

Le tue TC47 in che configurazione le usi?

Io da amatore le uso in configurazione copertoncino, ma è una scelta dovuta al fatto che è comodo in caso di foratura. Nulla da togliere al tubeless che sta dimostrando di essere una tecnologia che si sposa perfettamente anche con le TC. 

Ursus

Petacchi su Cavendish: «Giusto puntare su Jakobsen»

01.11.2022
5 min
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Per Petacchi non ci sono dubbi, Cavendish è ancora un campione e chi lo dava per finito tre anni fa sbagliava di grosso. La partecipazione al Tour de France 2021 è stato un colpo di fortuna che però il britannico ha saputo sfruttare, conquistandosi il record e azzittendo parecchie persone. La sua assenza di quest’anno alla Grande Boucle è stata secondo Alejet più che giusta, mettendosi nei panni di Patrick Lefevere, ha compreso lo spazio dato al ben pagato e giovane Fabio Jakobsen

Con un 2023 fuori dall’orbita della futura Soudal-Quick Step, il bivio sul cosa fare al termine della prossima stagione sembra avvicinarsi sempre di più. Petacchi ha visto un modo totalmente diverso di interpretare le volate «Parte prima e ci prova, una volta aspettava fino all’ultimo». Se si vuole leggere tra le righe questo modus operandi di Cannonball ha tutta l’aria di essere oltre che un adattamento al fisico, un atteggiamento di chi sa che di occasioni ce ne saranno sempre meno

Alessandro Petacchi e Mark Cavendish hanno condiviso duelli e volate per anni, da compagni e avversari
Alessandro Petacchi e Mark Cavendish hanno condiviso duelli e volate per anni, da compagni e avversari
Che 2021 è stato per il tuo ex rivale Mark Cavendish?

L’anno scorso è andato al Tour perché si era ammalato Sam Bennett. La Quick Step aveva fatto questa scelta. Era stato preso dopo un 2020 in cui sembrava dovesse smettere di correre. Ha trovato questo accordo con Lefevere e secondo me ha fatto la scelta migliore. Finche è girato tutto bene. Ha avuto un 2021 motivato dove è riuscito a raccogliere grandi risultati. Si è fatto trovare pronto in buona forma e ha fatto un’ottima corsa.

Le motivazioni non gli mancavano…

E’ chiaro che lui andasse alla ricerca del record di vittorie però fondamentalmente la decisione di Lefevere si è basata su altre motivazioni e non era quello che gli interessava.

Come commenti la sua assenza al Tour di quest’anno?

Giustamente credo che una squadra che investe su un giovane che paga parecchio come Fabio Jakobsen abbia la priorità di spingerlo al massimo. Purtroppo è una ruota che gira ed è toccato a Mark rimanere a casa. Poi non so se siano lasciati in brutti rapporti o se sia stata una scelta sua o della squadra di non riconfermarlo.

L’unica vittoria di Mark Cavendish al Giro d’Italia 2022
L’unica vittoria di Mark Cavendish al Giro d’Italia 2022
Nel 2023 lo vedi ancora al Tour?

Forse vuole fare un anno per chiudere al Tour che ci può stare, perché è la gara che gli ha dato di più ed è forse probabile che finisca lì. Tutto può succedere, se dovesse andarci può voler dire anche vincere ancora. Chiaro è che oggigiorno la squadra conta molto. Il fatto di essersene andato può essere uno svantaggio in più. 

A livello mentale può averlo penalizzato il non essere presente alla Gran Boucle?

Lui spesso si fa un po’ condizionare da queste situazioni che lo demoralizzano. E magari non ha avuto la motivazione giusta per allenarsi in alcuni frangenti della stagione. E’ vero che ha vinto la metà delle corse, ma bisogna contare che nel 2021 ha vinto quattro tappe al Tour. 

Dopo un 2021 dove aveva messo a tacere ogni critica, il 2022 ha convinto di meno…

Quest’anno ha vinto cinque gare e una sola tappa al Giro d’Italia e sinceramente mi aspettavo facesse di più per come era partito. C’è da dire che è stato bravo a finirlo. L’ho incontrato al termine di una tappa e mi disse che era un Giro duro e che andavano fortissimo. Tutto sommato ha dato prova di saper resistere ancora. Era già in procinto di smettere, ma ha vinto quattro tappe al Tour e una maglia verde che lo hanno rivitalizzato. Dovrà capire cosa fare. 

Un altra poderosa vittoria di Cavendish alla Milano-Torino 2022
Un altra poderosa vittoria di Cavendish alla Milano-Torino 2022
Fisicamente come lo hai visto quest’anno?

Lo davano per finito tre anni fa, poi abbiamo visto tutti cosa è stato in grado di fare. A mio avviso quest’anno stava bene fisicamente. Ha fatto un anno più o meno sulla falsariga di quelli precedenti al 2021 in cui ha avuto qualche difficoltà più mentale.

Tu che lo hai affrontato al massimo della sua condizione, hai notato differenze nel suo modo di interpretare le volate?

Sì, addirittura mi è sembrato che partisse molto prima rispetto ai suoi standard. Una volta aspettava tanto. Invece ora magari parte anche lungo rischiando di essere rimontato. Però giustamente meglio farla e magari perderla piuttosto che non riuscire nemmeno a disputarla perché hai aspettato troppo e sei rimasto chiuso. Da quel punto di vista mi ha sorpreso. Anche nella prima tappa del Giro che ha vinto era partito lungo e ci è riuscito. Poi ci ha riprovato in qualche altra occasione ed è stato rimontato.

Nel 2014 il treno di Mark aveva un Alejet d’eccezione che tirava le volate
Nel 2014 il treno di Mark aveva un Alejet d’eccezione che tirava le volate
Pensi che sia dovuto anche ad una perdita di esplosività dovuta all’età?

Con l’età si diventa più resistenti e magari un velocista può perdere un po’ di spunto. Però diciamo che un mese di brillantezza durante l’anno lo si può trovare. Se lo trovi nel periodo giusto, si può vincere tanto. Magari vinci meno durante l’anno perché quella condizione non è sostenibile troppo a lungo. Se sei abbastanza giovane è più facile e bisogna stare anche più attenti a dosarsi. A questa età che si hanno alti e bassi, si può puntare a tornare ai massimi livelli anche per un breve periodo. 

Guai a definirlo “finito” un’altra volta…

Non posso e non dirò mai che un corridore è finito. Io avrei corso un altro anno. Quindi nella squadra giusta e con il ruolo giusto, si può fare di tutto. Io potevo anche mettermi a tirare le volate perché come caratteristiche era un ruolo che potevo fare. Lui no e secondo me è una cosa che sicuramente non farà mai, vorrà sempre correre da leader. Però è chiaro che se si accorgerà che non riesce a centrare nemmeno una volata, anche lui lo capirà. 

Alessandro Petacchi nuovo product & brand ambassador Ursus

28.05.2022
3 min
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Alessandro “Alejet” Petacchi è il nuovo brand & product ambassador di Ursus, la conosciuta realtà tutta italiana produttrice di componenti per il ciclismo alto/altissimo di gamma. E per inaugurare al meglio il proprio ruolo, Petacchi ha recentemente visitato la bellissima sede Ursus di Rosà (Vicenza): il nuovo quartier generale dell’azienda che strizza l’occhio alla razionalità del lavoro ma anche alla sostenibilità ambientale.

Per Alessandro Petacchi una visita in azienda
Per Alessandro Petacchi una visita in azienda

La visita in sede

Uno dei più grandi velocisti degli ultimi decenni entra dunque a far parte della qualificata schiera di ambassador Ursus. Ad accogliere Petacchi in azienda, nel corso di questa prima visita avvenuta in coincidenza con il passaggio del Giro d’Italia dal Veneto (Petacchi è commentatore tecnico Rai), ci ha pensato direttamente Mirko Ferronato che di Ursus è il CEO. Durante questo primo incontro, Petacchi si è dimostrato incuriosito dalle tecnologie utilizzate per progettare e costruire le ruote e i manubri Ursus. Prodotti destinati sia agli agonisti ma anche a chi pedala nel tempo libero. 

«Siamo davvero molto felici e soddisfatti di aver avuto modo di dare il via a questa importante collaborazione con Alessandro Petacchi ha dichiarato Ferronato – un campione che ho sempre ammirato, sia da un punto di vista prettamente sportivo ma anche a livello caratteriale ed umano. Petacchi di velocità e scorrevolezza se ne intende, e non poco… E questa opportunità di collaborazione sarà per noi molto preziosa per far tesoro anche dei suoi consigli tecnici. Fra i nostri ambassador ci sono campioni di più discipline, ma oggi siamo molto fieri di poter inserire tra loro uno degli uomini più veloci che il ciclismo abbia mai avuto: 187 vittorie in carriera, fra cui una Milano-Sanremo, 22 tappe al Giro d’Italia, 6 al Tour de France e 20 alla Vuelta non sono davvero poca cosa».

“Alejet” ha scelto le ruote Miura 47TC e 37TC
“Alejet” ha scelto le ruote Miura 47TC e 37TC

Qualità e sicurezza

E per le proprie uscite in bici, Petacchi ha scelto le ruote in carbonio Miura TC47 Disc e Miura TC37 Disc: aerodinamiche, perfettamente bilanciate e caratterizzate dalla predisposizione di cuscinetti ad alta scorrevolezza. Queste ruote si distinguono per essere adatte su qualsiasi tipologia di percorso. Il profilo medio del cerchio, progettato seguendo l’aerodinamicità del profilo NACA 0027, consente ai ciclisti amanti dei tracciati misti di pedalare sempre al massimo delle prestazioni. La particolare disposizione della fibra di carbonio permette inoltre di controllare la distribuzione del materiale in modo che il cerchio risulti sempre perfettamente bilanciato.

Per quanto riguarda la velocità, le Miura TC47 Disc montano il nuovo modello di mozzi Ursus in alluminio, con cuscinetti a sfere ad elevatissima scorrevolezza, minuziosamente assemblati a mano direttamente in azienda e controllati con degli appositi macchinari a controllo ottico prima di essere montati all’interno delle ruote. 

La bellissima e nuova sede Ursus di Rosà
La bellissima e nuova sede Ursus di Rosà

Inoltre, non da ultimo, Ursus è impegnata a garantire ai propri clienti le migliori soluzioni tecniche incrementando anche la sicurezza in strada. Per questo motivo anche gli adesivi che sono applicati sui cerchi si evolvono in strumento di sicurezza. Ogni etichetta viene stampata su una base riflettente ad alta visibilità per così poter essere sempre riconoscibili sulla strada.

Ursus

Cavendish 2022

Cavendish e il Giro, un amore con qualche spina

08.05.2022
5 min
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Oggi sarà volata e fra quelli da guardare, occhio al numero 171. Per Mark Cavendish, questo è il sesto Giro d’Italia, mancava da ben 9 anni. E’ chiaro, la sua carriera è legata più al Tour de France, a quel record di successi – 34 – condiviso con Merckx e conquistato lo scorso anno in maniera anche rocambolesca, visto che inizialmente quel Tour non doveva neanche correrlo. Eppure anche in Italia il velocista dell’Isola di Man ha scritto pagine importanti. Infatti ha un curriculum di 15 vittorie condite da una maglia di vincitore della classifica a punti. E chi lo conosce bene sa che ogni sua conquista non è mai qualcosa di comune.

Il suo esordio, Cavendish lo ha fatto nel 2008. Era al secondo anno da professionista e stava mettendo in pratica quanto imparato su pista, dove insieme a Bradley Wiggins formava la coppia regina delle madison, con due titoli mondiali già in tasca. Il Giro di quell’anno, dal punto di vista delle volate, è caratterizzato dalle sfide con Daniele Bennati, di 5 anni più grande e decisamente più sgrezzato per quegli sprint di gruppo che in certi momenti sembrano simili alle “Royal Rumble” del wrestling, ammucchiate nelle quali bisogna saper anche lavorare di gomito.

Cavendish Rosa
Il mannese ha vestito per tre volte la maglia rosa, all’esordio della corsa nel 2009, nel 2011 e 2013
Cavendish Rosa
Il mannese ha vestito per tre volte la maglia rosa, all’esordio della corsa nel 2009, nel 2011 e 2013

Che battaglie con Bennati…

Cavendish vince abbastanza presto, nella quarta tappa a Catanzaro, battendo il tedesco Forster e l’attuale cittì azzurro, dopo una caduta ai 200 metri che ha coinvolto in molti (e quella delle cadute altrui sarà una costante nella sua storia). Dei velocisti si ritorna a parlare alla dodicesima tappa, con arrivo a Carpi. Qui Bennati e il britannico danno vita a una sfida epica, bellissima, che non si risolve sul traguardo ma solo dopo lunghissimi minuti davanti al fotofinish, per capire chi dei due abbia vinto. La spunta Bennati e quel responso resta in gola a Cavendish per un giorno intero. Verso Cittadella, Cavendish ripensa spesso a quell’esito. Nello sprint stavolta il suo treno della High Road lavora bene tenendolo coperto. Bennati ha scelto un’altra traiettoria, il britannico lo rimonta e vince nettamente.

Cavendish 2013
Cavendish in rosa sul podio con la piccola Delilah Grace, nata nel 2012
Cavendish 2013
Cavendish in rosa sul podio con la piccola Delilah Grace, nata nel 2012

Prima rosa a Lido di Venezia

Due tappe al Giro, ben 4 al Tour, nel 2009 il britannico sceglie la stessa strategia. Per andare alla Grande Boucle si passa ancora dall’Italia, ma stavolta con l’obiettivo di conquistare la maglia rosa, dopo che in primavera si è portato via la Classicissima. A Lido di Venezia la cronosquadre vede il Team Columbia-High Road fare il miglior tempo. Cavendish passa per primo sotto il traguardo, così la maglia è sua.

Nelle prime due tappe però le sue polveri sembrano bagnate, mentre Alessandro Petacchi è in grande spolvero e vince due volte. Nella prima, a Trieste, Mark mastica amaro perché ci aveva creduto. Nella seconda resta indietro per una caduta a 10 chilometri dalla conclusione che spezza il gruppo e perde così la rosa.

Potrebbe sembrare un Giro maledetto. Non è così: col passare delle tappe la condizione cresce, vince a Milano dopo la contestazione del gruppo per l’eccessiva pericolosità del circuito scelto, poi replica ad Arenzano con Petacchi terzo, che protesta per alcune irregolarità e infine vince anche a Firenze. In maniera molto netta.

Petacchi Parma 2011
La volata della discordia a Parma nel 2011: vince Petacchi e Mark ha subito qualcosa da dirgli…
Petacchi Parma 2011
La volata della discordia a Parma nel 2011: vince Petacchi e Mark ha subito qualcosa da dirgli…

Fiera rivalità con Petacchi

Nel 2011 torna per la terza volta e la sua squadra rivince la crono. Questa volta però è Marco Pinotti a passare per primo e prendersi la rosa. Il giorno dopo, Mark punta al successo per conquistare la maglia, ma lo sprint di Parma è appannaggio di Petacchi. Grazie agli abbuoni, Cavendish conquista il simbolo del primato, ma questo non attutisce la sua rabbia.

«Non ce l’ho con Alessandro – afferma ai microfoni – ma con gli organizzatori e la giuria che mi hanno trattato ingiustamente. Alessandro ha cambiato direzione, era chiaro».

Lo spezzino è laconico: «Questa faccenda offusca la sua maglia» e la chiude qui. La polemica si stempera di fronte a vicende ben più drammatiche: il giorno dopo è quello della triste fine di Weylandt.

Cavendish Teramo 2011
Cavendish in trionfo a Teramo nel 2011: è la tappa numero 6 nella collezione
Cavendish Teramo 2011
Cavendish in trionfo a Teramo nel 2011: è la tappa numero 6 nella collezione

Cavendish vince di nuovo a Teramo, 10ª tappa, battendo Ventoso e Petacchi. Due giorni dopo a Ravenna, 12ª tappa, c’è una caduta enorme che lancia verso il traguardo solo 15 corridori. Il britannico batte Appollonio e nuovamente Petacchi che ha provato ad anticiparlo, poi si ritiene soddisfatto e il giorno dopo decide di non partire.

Quindici successi. Per ora…

Nel 2012 vince subito a Herning: quell’anno si parte dalla Danimarca, dove pochi mesi prima Cavendish ha vinto il mondiale. Trionfare con la maglia iridata indosso fa sempre un certo effetto. Replica a Fano, ancora davanti all’australiano Goss come in terra danese e infine a Cervere su Kristoff. Perde la tappa e le staffe contro Guardini a Vedelago. Lotta per portare a casa la classifica a punti, ma perde alla penultima tappa, a favore dello spagnolo Joaquim Rodriguez che così si consola per la maglia rosa andata al canadese Hesjedal per una manciata di secondi.

Giro d’Italia 2012, Cavendish vince a Herning precedendo Matthew Goss
Giro d’Italia 2012, Cavendish vince a Herning precedendo Matthew Goss

L’anno dopo è l’ultimo per Mark in Italia, prima di oggi. E il britannico fa bottino ricco. Vince subito a Napoli e conquista la maglia rosa, curiosamente ancora con una caduta a 2 chilometri dalla conclusione e il gruppo di testa ridotto a 15 uomini. Ribatte Viviani a Margherita di Savoia, poi trionfa a Treviso su Bouhanni, a Cherasco su Nizzolo, a Brescia su Modolo (tutti corridori in attività, qualcosa vorrà pur dire…) e questa volta la maglia ciclamino della classifica a punti non gliela porta via nessuno. L’elenco è completo? Con Cavendish non si può mai dire…

Petacchi aveva un chilo in più? Il velocista moderno no

29.03.2022
6 min
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«Per la Sanremo ero più magro, per il resto della stagione invece avevo un chilo e mezzo, due in più. Alla fine io non avevo questa esigenza di essere super tirato. E se scollinavo con un minuto di ritardo in più non mi cambiava molto. La volata della Sanremo è di gambe, non è una di quelle esplosive a 70 all’ora». Abbiamo “girato” questa frase di Alessandro Petacchi, ad un velocista attuale, e che velocista, Simone Consonni.

Consonni (Cofidis) fu terzo a Clermont Ferrand, nel Tour 2020, tappa di 194 chilometri e 2.646 metri di dislivello
Consonni (Cofidis) fu terzo a Clermont Ferrand, nel Tour 2020, tappa di 194 chilometri e 2.646 metri di dislivello

Velocisti più magri

E’ bastato ripetergli questa frase dello spezzino che il campione della Cofidis ha capito al volo l’argomento: oggi è ancora possibile per un velocista potarsi dietro una “zavorra”, benché minima come quella di AleJet?

«Credo – dice Consonni – che negli ultimi anni siano cambiate un bel po’ di cose. Io non ho mai corso con Petacchi e i velocisti della sua generazione e faccio fatica a fare un confronto. Negli ultimi anni non esistono i velocisti super puri di una volta. Oggi per vincere in volata devi andare forte in salita e l’ultima Sanremo ne è stata la dimostrazione. Ha certificato quanto sia importante andare forte in salita.

«I velocisti che sono arrivati davanti sono andati fortissimo sulla Cipressa e sul Poggio».

In effetti sono arrivati all’attacco del Poggio in 24-25 e, tolti due o tre gregari, erano tutti leader. Dentro c’era gente veloce come Demare, Nizzolo, Pedersen, Girmay, Matthews

«In più le corse sono sempre più dure per i velocisti perché gli organizzatori inseriscono sempre più salite. Ormai di veri piattoni ce ne sono uno o due nei grandi Giri. Senza contare che in corsa ci sono corridori fortissimi che fanno “casino” anche quando non te lo aspetti o da lontano. Quindi più che curare lo sprint puro, cerchi di stare attento al rapporto peso/potenza per scollinare nel miglior modo possibile, per risparmiare energie per la volata».

Lo scorso anno a Tignes Demare finì fuori tempo massimo. Essere magri è fondamentale anche per il velocista
Lo scorso anno a Tignes Demare finì fuori tempo massimo. Essere magri è fondamentale anche per il velocista

Coperta corta

«Ed è molto difficile trovare questo compromesso. Tu, velocista, puoi anche essere più magro ma non devi perdere potenza. E’ il “vaso di pandora” del ciclismo moderno… se trovi la soluzione! E non è facile. La coperta è corta: se migliori nel breve, perdi in salita.

«Io per esempio quest’anno ho lavorato di più sulla palestra per migliorare lo sprint. E alla fine nel breve, nella volata, i watt sono gli stessi, ma mi sento meglio in salita. E peso due chili in più!».

Questo a dire il vero, nel caso di Consonni un po’ ci stupisce. Una metamorfosi del genere ce la saremmo aspettata di più lo scorso anno in vista delle Olimpiadi su pista (ricordiamo che Simone fa parte del quartetto d’oro), dove serve più potenza.

«Chiaramente sono due chili di forza e in effetti questo cambiamento è iniziato dallo scorso anno proprio per la pista e poiché ho visto che pagava ho continuato. Come detto i valori sul corto sono più o meno gli stessi, ma mi esprimo meglio sui 10’».

Simone Consonni nelle ultime stagioni ha lavorato molto in palestra per cercare di rialzare lo spunto veloce
Simone Consonni nelle ultime stagioni ha lavorato molto in palestra per cercare di rialzare lo spunto veloce

Questioni tattiche 

Tornando a Petacchi e in parte anche al discorso di Consonni, quel chiletto o due in più portavano ad avere il “vecchio” velocista ad avere un certo spunto. Ma a quanto pare oggi non è possibile. La volata te la devi guadagnare.

«Esatto, te la devi guadagnare – riprende Simone mentre sta facendo i massaggi durante la campagna del Nord – oggi quasi sempre le tappe sono uguali o superiori ai 2.000 metri di dislivello. Lo scorso anno al Giro l’unico piattone fu la frazione di Verona. E questo, insieme alla mania di attaccare di questi fortissimi corridori, cambia le cose per noi. Sarà bello per lo spettacolo, ma meno per noi sprinter!

«Faccio un esempio. Alla Tirreno in una tappa per velocisti Alaphilippe e Pogacar hanno attaccato a 40 chilometri all’arrivo e per noi è stata una sofferenza. Da uno strappo insignificante ne è nata un’azione che è stata quasi da tappa di salita».

Il treno della Saeco, emblema delle volate e dei velocisti degli anni ’90-2000
Il treno della Saeco, emblema delle volate e dei velocisti degli anni ’90-2000

I chilometri finali

E poi – rilancia appassionato Consonni – c’è anche un’altro aspetto che secondo me conta: l’approccio alle volate. Si dice che oggi c’è anarchia nel preparare una volata. Non è più come una volta che i migliori 4-5 velocisti avevano il loro treno e ai meno dieci dall’arrivo tutti si mettevano in fila. Si andava forte, ma regolari (e coperti, ndr). 

«Adesso gli ultimi dieci chilometri sono molto più intensi. Passi da una ruota all’altra. Risali, prendi vento… sono dei salti, degli sprint che richiedono potenza. Sono 10′ molto dispendiosi e se spendi quei watt lì, non ne hai dopo per la volata».

Jakobsen o Cipollini?

Al netto dei percorsi più duri, della mancanza dei treni e di velocisti più magri ci si chiede se gli sprinter di un tempo fossero più forti. O meglio se avessero un picco più alto.

«Rispetto ad altri bambini – conclude Consonni – io seguivo poco il ciclismo, quindi faccio un po’ più di fatica a dare un giudizio, tuttavia da quello che mi dicono gli esperti la nostra spinta media nel corso delle ore di gara è più alta rispetto al passato. E questo toglie lucidità e potenza. Da quello che ho sentito dire una volta le corse erano più controllate e alla fine i velocisti di un tempo credo avessero più potenza nel corto».

Non è mai facile e forse neanche giusto mettere a confronto corridori di epoche diverse. Tuttavia poiché non parliamo di secoli ma di due o tre lustri azzardiamo un “paragone”. Se si mettesse su un rettilineo un Fabio Jakobsen e un Mario Cipollini di allora, quasi certamente Re Leone lo batterebbe allo sprint, ma bisogna vedere se lo stesso Cipollini di un tempo oggi sarebbe in grado di restare in gruppo. Probabilmente i Petacchi e i Cipollini di allora, oggi sarebbero più magri. E quindi con un po’ meno spunto.

Petacchi “contro” Nizzolo: «La Sanremo resta per gente veloce»

18.03.2022
5 min
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Ripartiamo da una frase di Giacomo Nizzolo che ci ha detto qualche giorno fa: «La Sanremo non è più una corsa per velocisti». Secondo lo sprinter milanese c’è sempre più spazio, se non proprio per gli scalatori, per gli attaccanti più forti che tengono in salita. Gente che riesce a fare la differenza proprio quando la strada sale. Questo argomento lo abbiamo esposto al giudizio di Alessandro Petacchi.

AleJet una Milano-Sanremo l’ha vinta (nel 2005) e l’ha vinta in volata. Lo spezzino non è super d’accordo con Nizzolo. Nonostante la Classicissima coi suoi circa 300 chilometri veda un dislivello prossimo ai 2.100 metri, non servono trasformazioni da velocista. Lo sprinter non deve lavorare per la salita, semmai deve farlo per essere efficiente alla distanza.

Alessandro Petacchi (classe 1974) oggi fa parte della squadra Rai
Alessandro Petacchi (classe 1974) oggi fa parte della squadra Rai

Resta per sprinter

«Se non cambia percorso – spiega Petacchi – bene o male la Sanremo resta una corsa veloce o comunque vinta da gente veloce. Poi ogni tanto, due volte su dieci, succede che la vince anche qualcun altro e per qualcun altro intendo un corridore che arriva da solo, penso a Nibali, o in due o tre, penso all’arrivo tra Sagan, Kwiatkowski e Alaphilippe. Fanno la differenza sul Poggio. Stuyven lo scorso anno ha fatto la differenza sull’Aurelia, resta uno di quei corridori veloci che ha anticipato di un soffio il gruppo. Quella di Nibali è stata una particolarità: per le sue caratteristiche e perché ha fatto una differenza netta. Poi, può finire in tanti modi».

«Molto dipende anche dal vento. Se è contro favorisce i velocisti, che possono restare coperti e sfavorisce eventuali attaccanti. Dipende da quali e quanti velocisti arrivano in fondo al Poggio e come stanno. E anche se la loro squadra è presente ed è riuscita ad organizzarsi».

Nel 2017 il mitico arrivo a tre con Sagan, Kwiatkowski e Alaphilippe
Nel 2017 il mitico arrivo a tre con Sagan, Kwiatkowski e Alaphilippe

Capitolo Pogacar

Magari, facciamo notare a Petacchi, Nizzolo ha pensato ad una corsa per scalatori aspettandosi il quasi scontato attacco di Pogacar. La supremazia dello sloveno, può portare indirettamente a fare ragionamenti diversi.

«Se Pogacar vuol vincere – riprende Petacchi – dovrà fare la corsa dura. Quindi un ritmo alto soprattutto sulla Cipressa. Staccare i velocisti e metterli in croce fra Cipressa e Poggio per rientrare, visto che c’è un bel tratto. Ma certo dovrà usare anche lui i suoi uomini per farlo. A quel punto, Tadej stesso potrà scattare all’inizio del Poggio. Dovrà vedere anche chi saranno i suoi avversari e come saranno messe le loro squadre. Se gli avversari sono stanchi, lui può fare la differenza».

«Veder scattare Pogacar sul Poggio è quasi la normalità (anche se tutto ciò non si è mai verificato, ndr), ma se attacca e non fa la differenza? Se un Van Aert lo segue? Se in fondo un Ewan, che è piccolo e in salita fa meno fatica degli altri, lo rintuzza? Poi non è facile neanche per lui vincere in volata. La Sanremo si conferma una corsa molto aperta».

Nel 2004, AleJet fu quarto dietro Zabel, Freire e O’Grady. Volata per gente fresca e non per sprinter puri
Nel 2004, AleJet fu quarto dietro Zabel, Freire e O’Grady. Volata per gente fresca e non per sprinter puri

Volata per gente fresca

Petacchi più che su scalatori e velocisti, punta il dito sul fatto che bisogna arrivare in Via Roma con l’energia nelle gambe. E’ quello che fa la differenza: chi ci arriva più fresco.

«L’anno prima che vincessi – continua Alessandro – persi la volata perché ci arrivai stanco, molto stanco. E perché? Perché ero “sovrappeso”, non ero tirato. Questo mi fece spendere quel tantino di troppo in salita, che mi tolse energia in volata.

«L’anno dopo mi presentai al via della Sanremo più tirato. Non avevo fatto chissà quali diete, in realtà non ne ho mai fatte, semplicemente non mangiai formaggi o cioccolate durante l’inverno. Arrivai a 72,8-73 chili anziché ai mei 74,5-75. A me tutto sommato non cambiava nulla in un grande Giro se scollinavo con un ulteriore minuto di ritardo, però non mi assillavo col peso».

«Per la Sanremo dunque non feci allenamenti specifici per la salita. Nè cambiai altro. Solo che iniziando a dimagrire presto, con calma, non persi potenza e questo aumentò il mio rapporto potenza/peso che mi fece risparmiare nell’economia della corsa.

«Anche perché la volata della Sanremo non è una volata da 70 all’ora, esplosiva… è una volata di gambe, di benzina nei muscoli. Se anche avessi perso qualcosina in volata, era molto di più quello che avevo risparmiato nell’arco della gara. La volata della Sanremo è a sé. Arriva dopo 300 chilometri. Zabel perché le vinceva? Perché dopo 180 chilometri, dopo 220 o dopo 300 lui faceva sempre lo stesso sprint con gli stessi valori. Ci arrivava meno stanco.

«Che poi, ripensando a Nizzolo, lui è uno di quelli che in salita tiene meglio».

Gilbert è arrivato due volte terzo. Eccolo scattare sul Poggio nel 2015. Scollinò davanti ma cadde e chiuse al 55°
Gilbert è arrivato due volte terzo. Eccolo scattare sul Poggio nel 2015. Scollinò davanti ma cadde e chiuse al 55°

Spazio ai velocisti

Quindi Petacchi non è dovuto diventare “scalatore” per vincere la Sanremo. Nessun lavoro specifico per la strada che sale, ma solo un approccio diverso. 

«Gli “scalatori” della Sanremo sono i Gilbert, i Ballan, i Pozzato e quando loro scattavano sapevi che in qualche modo dovevi seguirli. Il massimo era lasciargli non più di 5”-8” e chiudere con la squadra.

«Per esempio, l’anno dopo che l’ho vinta, forse in salita andavo ancora più forte. Troppo forte. Tanto che seguii Gilbert sul Poggio. Ci ripresero a Sanremo e in volata feci terzo. Avevo pagato quel fuorigiri».

«Fu un errore seguirlo – conclude Petacchi – Avete mai visto un Freire o uno Zabel muoversi sul Poggio? E Freire soprattutto avrebbe potuto farlo».

Petacchi: «Cavendish ha accettato il compromesso»

10.12.2021
4 min
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Contratto rinnovato per un’altra stagione e la certezza che non correrà il Tour de France. Così Mark Cavendish si accinge a vivere quella che probabilmente sarà l’ultima stagione da professionista, con il brutto fuori programma della rapina subita nella casa dell’Essex che ha fruttato ai rapinatori un paio di orologi di immenso valore e portato nella famiglia britannica il seme della paura. Lasciando che la giustizia faccia il suo corso e che il tempo lenisca le ferite, ci siamo ritrovati con Alessandro Petacchi a ragionare del rinnovo di contratto firmato da Mark con la Quick Step-Alpha Vinyl: questo il nuovo nome della squadra di Lefevere.

Con lo spezzino si ragionò quando Cavendish firmò per la Deceuninck-Quick Step e lo vedemmo passare dalla perplessità iniziale alla certezza che, andando al Tour a causa dell’indisponibilità di Sam Bennett, Mark avrebbe fatto grandi cose.

Al Tour de France 2021, Mark Cavendish ha raggiunto Eddy Merckx a quota 34 tappe vinte
Al Tour 2021, Cavendish ha raggiunto Merckx a quota 34 tappe vinte

«Sapevamo più o meno tutti – dice lo spezzino – che per Lefevere il futuro è Jakobsen. Non so quanto gli costi, ma certo è nel suo interesse farlo crescere. Se non avesse avuto quel brutto infortunio, sarebbe già diventato il velocista più forte al mondo. Ha perso tempo, è tornato alla Vuelta e ha vinto. Andrà sempre più forte e tornerà al 100 per cento».

E Cavendish?

Rientrava da anni bui. Al Tour 2021 è andato perché ci sono stati quei problemi con Bennett, altrimenti non avrebbe dovuto farlo. I compagni hanno avuto il grande merito di stargli accanto e forse non c’erano avversari irresistibili, però è sempre Cavendish e va rispettato. Ha dimostrato di aver ritrovato un livello altissimo e sa che se resta lì, continuerà ad andare forte, mentre è lunghissimo l’elenco di quelli andati via da lì e che poi non hanno più vinto. Credo che in nome di questo, Mark abbia accettato il compromesso.

Vince e si commuove allo Sparkassen Munsterland Giro, nel giorno del ritiro di Greipel
Vince e si commuove allo Sparkassen Munsterland Giro, nel giorno del ritiro di Greipel
Pensi che Mark potrebbe convertirsi in gregario di Jakobsen come facesti tu per lui?

Non ha l’indole per tirare. Non puoi portare Mark Cavendish al Tour per tirare. Non ha la mentalità e neanche le caratteristiche per farlo. Per quel ruolo c’è Morkov, semmai cercherei di rafforzare il treno. La squadra del Tour è quasi fatta, con Jakobsen e Morkov, Alaphilippe e Asgreen e poi altra gente che dovrà lavorare.

Lo rivedremo al Giro?

E’ una possibilità. La sua motivazione per il Tour potrebbe essere battere il record di Merckx, ma credo che sia stato già tanto riuscire a eguagliarlo, considerato dov’era finito. Lo avevo visto aggressivo al Turchia, era super motivato e si fece trovare pronto. Magari sarà pronto anche la prossima estate, non si può mai dire.

Al Tour of Britain con Xander Graham, tifoso di 12 anni, che corse accanto al gruppo guadagnandosi una borraccia
Al Tour of Britain con Xander Graham, tifoso di 12 anni, che corse accanto al gruppo
Lasciare fuori uno che ha vinto 34 tappe al Tour, di cui 4 nel 2021, per puntare su un giovane che il Tour non l’ha mai fatto…

Lefevere per queste cose è molto bravo, non usa il cuore ma la testa. E forse battere il record di Merckx, per la squadra potrebbe non aggiungere niente. Ma lasciarlo a casa per portare Jakobsen potrebbe essere visto come un rischio e possiamo essere certi che il Mark del Tour è un’altra persona. Lo ricordo dal 2014. Lo avevo visto dieci giorni prima e quando lo ritrovai alla partenza da Leeds, mi chiesi se fosse lo stesso corridore. Cadde e andò a casa dopo la prima tappa, ma il Cavendish del Tour è davvero un’altra cosa. Non avrebbe vinto quattro tappe l’ultima volta, se così non fosse…

Tosatto, raccontaci qualcosa dei tuoi 34 Giri…

26.11.2021
5 min
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Le dichiarazioni di Alejandro Valverde, intenzionato nel 2022 a correre Giro d’Italia e Vuelta d’Espana, hanno fatto il giro del mondo. Tutti a sottolineare che, nel caso, raggiungerebbe la cifra record di 32 grandi Giri affrontati, ma non sarebbe un vero primato. Il corridore che ha disputato più corse di tre settimane è infatti veneto, Matteo Tosatto, che ha messo a frutto le sue esperienze maturate in vent’anni di militanza nel gruppo diventando una colonna portante della Ineos Grenadiers.

Tosatto non è persona che si vanti in giro, eppure questo rappresenta pur sempre un record: se ci si pensa bene, significa aver affrontato oltre 600 giorni in sella solo per affrontare Giro, Tour o Vuelta, quasi due anni senza soste: «Il bello – afferma tradendo un sorriso – è che un anno, il 1998, non disputai neanche un grande Giro, quindi le 34 prove sono ancora più concentrate…».

Tosatto 1997
Con la Mg, Tosatto fa il suo esordio nel 1997 e affronta subito il Tour portandolo a termine
Tosatto 1997
Con la Mg, Tosatto fa il suo esordio nel 1997 e affronta subito il Tour portandolo a termine
Come mai hai disputato un simile numero di grandi corse a tappe?

Una delle mie principali caratteristiche era il fondo: sono sempre andato meglio nella terza settimana che nella prima e questo ai dirigenti era un particolare che faceva molto comodo, quando si doveva lavorare per i capitani. Io andavo sempre più forte, cercavo di risparmiare qualcosa all’inizio per essere brillante quando serviva davvero.

Facciamo un po’ di conti: 13 Giri d’Italia di cui 11 portati a termine, ben 12 Tour tutti conclusi, 9 Vuelta delle quali ne hai terminate 5…

Sì, ma ognuno dei 4 ritiri è avvenuto nell’ultima settimana per precisi accordi con la squadra. Io ero sempre in predicato di correre ai mondiali e quindi chiedevo di saltare le ultime 3-4 tappe per poter staccare prima di partire per la trasferta iridata. La Vuelta finiva alla domenica e quella successiva c’è sempre stato il mondiale, se potevo risparmiare qualche energia era meglio, la maglia azzurra ha sempre avuto un valore speciale per me.

Tosatto Montebelluna 2001
Giro 2001: Tosatto vince a Montebelluna battendo Klemencic e Simoni
Tosatto Montebelluna 2001
Giro 2001: Tosatto vince a Montebelluna battendo Klemencic e Simoni
Al Giro d’Italia?

Nel 2000 mi ritirai prima della diciassettesima tappa perché avevo preso una brutta bronchite, invece nel 2003 finii fuori tempo massimo nella famosa frazione del Fauniera, con le strade piene di ghiaccio. Io ero rimasto a protezione di Petacchi, poi Alessandro mi disse di andare che con lui rimaneva Cioni, ma non potevamo rischiare in discesa. Quel giorno arrivai con un gruppo di una cinquantina di corridori, ma la giuria ci mandò tutti a casa…

Già portare a termine 12 Tour è una grande impresa: quale ti è rimasto più impresso?

Certamente il primo, nel 1997 perché era anche il primo grande Giro affrontato e concluderlo agli Champs Elyseés mi rese molto orgoglioso. Ero un neopro’, ricordo che feci tanta fatica, ma anche allora nell’ultima settimana, sulle Alpi, mi sentii meglio che sui Pirenei o sul Massiccio Centrale. Fui felice anche nel 2016, l’ultimo anno, quando riuscii a concludere sia il Giro che il Tour pur avendo ben 42 anni (nella foto di apertura è sul podio di Arezzo al Giro di quell’anno, nel giorno del suo 42° compleanno, ndr). Lavorai tanto per Sagan in Francia e le sue tre vittorie furono un po’ anche mie. La cosa che mi colpì è che in salita tenevo meglio che a inizio carriera…

Tosatto Tinkoff 2016
A fine carriera Tosatto è stato ancora capace di concludere sia il Giro che il Tour
Tosatto Tinkoff 2016
A fine carriera Tosatto stato è ancora capace di concludere sia il Giro che il Tour
In questi quasi due anni di tappe fra sole e pioggia, pianura e montagna hai avuto giornate di libertà, nelle quali era la squadra a lavorare per te?

E’ capitato, capita sempre nella carriera di un corridore. Nel ’99, alla Ballan, si correva per Simoni, ma il giorno della tappa che arrivava a Castelfranco Veneto, a casa mia, il team lavorò per la mia volata e fui battuto solo da Cipollini. Quell’anno andai bene, ebbi più piazzamenti nella top 10. Due anni dopo centrai il successo pieno a Montebelluna, in quell’edizione vestii anche la maglia rosa. Ma non posso dimenticare neanche la vittoria al Tour 2006 a Macon: la Quick Step era tutta per Boonen, ma quando il belga non si sentiva in giornata si correva in base alle sensazioni e quella fu la mia giornata.

Questo record quanta soddisfazione ti dà?

Molta, significa che della mia carriera qualcosa è rimasto. Io non mi pento di nulla, ho sempre lavorato e avuto anche le mie giornate. A proposito di soddisfazione, ricordo quando nel 2014, all’ultima Vuelta che vinse Contador, “El Pistolero” si avvicinò a me alla fine e mi disse che non aveva mai visto un corridore con la mia testa, così forte e tenace nel carattere. Per me fu un grande premio detto da lui.

Tosatto Petacchi
Davanti a Rijs, Tosatto con Petacchi, compagni e avversari, ma soprattutto amici e spesso in allenamento insieme
Tosatto Petacchi
Tosatto con Petacchi, compagni e avversari, ma soprattutto amici
Se magari decidesse di tirare avanti anche nel 2023, Valverde potrebbe eguagliarti…

Glielo auguro di cuore, ma so anche che c’è differenza: stiamo parlando di un campione che non solo li ha corsi, ma è stato protagonista. Ha vinto la Vuelta e poi è stato iridato e ha conquistato grandi classiche. Non si può fare un paragone perché abbiamo vissuto carriere diverse e a questo proposito voglio aggiungere una cosa.

Prego…

Lavorando nell’ambiente, la cosa che mi dispiace di più del ciclismo attuale è che mancano sempre più i gregari di una volta, intesi come uomini che si sacrificano. Mancano coloro che creano il gruppo e senza di esso non si va lontani. Correre 34 Giri? Dopo Valverde chissà se ci sarà ancora qualcuno che potrà farlo…

Giro: sul “piattone” della tappa 11 critiche giuste o sbagliate?

17.11.2021
5 min
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Su alcuni social è stata fortemente criticata la tappa numero 11 del prossimo Giro d’Italia, la Sant’Arcangelo di Romagna-Reggio Emilia: 201 chilometri piatti come un biliardo, quasi tutti lungo la Via Emilia (foto di apertura). «Sarà una noia mortale». «Basterà accendere la Tv solo negli ultimi cinque chilometri». E ancora: «Oggi è improponibile una tappa così». «Sembra una tappa d’inizio Tour di qualche anno fa».

Commenti negativi dunque, ma davvero è così brutta una frazione del genere? Anche se valutata nel contesto di una gara che si disputa nell’arco di tre settimane?

Ne parliamo con tre corridori che rispondono ad altrettante categorie: un velocista, Alessandro Petacchi, un attaccante da percorsi misti, Andrea Vendrame, e uno scalatore, Fabio Aru.

Parola al velocista

«Oggi organizzare un Giro non è semplice – dice Petacchi – Si parte e si arriva nelle località che richiedono l’ospitalità e che pagano. Le frazioni vengono disegnate in base a queste. Se Mauro Vegni avesse avuto a disposizione un budget maggiore probabilmente avrebbe disegnato un Giro migliore. Ma in questo caso se deve fare un collegamento tra queste due località… deve passare di lì (vanno considerate anche le località che ospitano i traguardi volanti, ndr). E se l’Italia è fatta così c’è poco da fare».

Ale Jet poi continua. E a dire il vero un po’ ci stupisce…

«Una tappa così è noiosa anche per i corridori e non solo per chi la guarda da casa. Non è come la pianura francese o quella spagnola dove spesso piove, c’è vento o sono vallonate. In quel caso non sarebbe noiosa per nessuno. Al Tour o alla Vuelta non esiste una tappa così. In Francia soprattutto anche quando è piatta fai 2.000 metri di dislivello, ma come ripeto il territorio italiano è così».

A questo punto facciamo notare a Petacchi che negli ultimi anni le frazioni per gli sprinter erano arrivate a 1.800-2.500 metri di dislivello e che gli stessi velocisti si dovevano “guadagnare” la volata. A loro dovrebbe andare bene una frazione così.

«Non è detto che una tappa piatta sia per forza per un velocista – conclude l’ex sprinter – Io non aspettavo le frazioni piatte per fare la volata. Non bisogna pensare che questa frazione sia stata fatta per i velocisti, ma semplicemente perché è capitata in pianura. Se avessero voluto le colline sarebbero passati dalla Toscana».

La tappa “icriminata”. Sant’Arcangelo di Romagna – Reggio Emilia: 201 chilometri e appena 480 metri di dislivello
La tappa “icriminata”. Sant’Arcangelo di Romagna – Reggio Emilia: 201 chilometri e appena 480 metri di dislivello

Parola all’attaccante

Andrea Vendrame è un vero attaccante e i percorsi vallonati sono il suo terreno. Da buon cacciatore di tappe, la prima cosa che è andato a guardare è stata la collocazione della Sant’Arcangelo di Romagna – Reggio Emilia. Se arriva cioè dopo frazioni intermedie, dopo un giorno di riposo o prima di una tappa di montagna.

«Duecento chilometri non sono pochi – spiega Vendrame – oggi anche 150 chilometri fanno la differenza e in tappe così lunghe e piatte già si sa che al 99,9% si arriverà in volata. Ho chiesto conferma su come fosse collocata perché se volevano creare un giorno di riposo attivo dovevano metterla prima di un tappone di montagna. L’anno scorso la tappa di Bagno di Romagna (che vinse proprio Vendrame, ndr) alla fine fece registrare 4.500 metri di dislivello e la tappa del giorno dopo, la Ravenna-Verona fu un giorno di transizione prima dello Zoncolan e di Cortina, anche per questo motivo.

«Dal mio punto di vista, essendo posizionata tra due tappe intermedie è un bene. Mi consente di recuperare un po’. Se ci fossero state due frazioni adatte a me attaccate mi sarei focalizzato di più su una. In questo modo invece posso recuperare un po’ e puntare ad entrambe. Si tratta di un recupero attivo, perché 200 chilometri non sono comunque una passeggiata, ma vedendola così sembra abbastanza soft».

Appurato il fatto che Vendrame in qualche modo può trarne vantaggio, il veneto parla poi dal punto di vista dei tifosi.

«Sarà poco spettacolare per il pubblico e “bella per noi corridori”, anche se fare 200 chilometri piatti ha poco senso. Un po’ quindi hanno ragione i tifosi quando dicono che ci sarà spettacolo solo nel finale.

«Se un corridore si annoia in una frazione così? Eh, diciamo che la distanza non è poca, ma se ci si trova un buon compagno di chiacchierate il tempo passa!».

Lo scorso anno nella piattissima Ravenna-Verona andatura turistica per lunghi tratti. La Ineos di Bernal controllò agevolmente
Lo scorso anno nella piattissima Ravenna-Verona andatura turistica per lunghi tratti. La Ineos di Bernal controllò agevolmente

Parola allo scalatore

Anche se Fabio Aru ha appeso la bici al chiodo resta uno scalatore. E ancora di più un uomo di classifica.

«Questa tappa è stata criticata: e perché, che problema c’è? – si chiede il sardo – Capisco l’attesa dei tifosi che vorrebbero sempre avere l’arrivo su uno strappo, in fondo ad una discesa o su una salita, però una tappa del genere non la vedo come un male. E poi non è detto che non possa esserci spettacolo. Se c’è vento? Anche una tappa piatta può diventare dura, credetemi. Nel vento si possono fare gli stessi wattaggi che in salita. Non è detto insomma che sia noiosa. Tante volte dalla Tv non si vede, non si percepisce la velocità o lo stress che c’è in gruppo.

Anche se la tappa 11 misura 201 chilometri è però un “mezzo giorno di riposo” per gli uomini di classifica. E Aru lo ammette.

«Se al mattino ti svegli e vedi che non piove e non tira vento, sì: la prendi come una giornata di quasi riposo. La prendi in tranquillità, soprattutto nella prima parte. Sai che magari andrà via una fuga e che dovrai stare attento gli ultimi 30-40 chilometri. Ecco, lì non è facile per gli uomini di classifica. Nell’ultima ora di gara l’insidia ci può essere sempre. Ricordate quest’anno quando è caduto Landa? Anche quella era una tappa per velocisti.

«No, io non ci vedo niente di male – conclude Aru – Pensiamo ai velocisti puri. E poi da quello che ho visto il prossimo Giro dovrebbe essere molto duro, con tante tappe che piacciono ai tifosi».