PADOVA – L’appuntamento con Alberto Ongarato è nell’Eroica Caffè che ci è parso il luogo perfetto in cui parlare di ciclismo. La città è semi paralizzata dai lavori del tram, il traffico sembra impazzito. L’ex professionista padovano è qui per raccontarci la sua Padovani e fare il punto rispetto al primo contatto di fine agosto. Nel frattempo il progetto si è gonfiato, il budget è salito, Konychev è salito sull’ammiraglia, sono arrivate le bici Guerciotti e la squadra si è riunita nel ritiro di Abano Terme. Con la Zalf Fior e il CTF Friuli che chiudono, la nascita di una continental è una notizia.
«La Padovani ha un presidente che si chiama Galdino Peruzzo – riassume Ongarato – un grande appassionato, proprietario di Polo Ristorazione SPA che si occupa di servizi per la ristorazione. E’ subentrato a un altro presidente nel 2013 e io, fatalità, avevo da poco smesso di correre. Sapevo che Peruzzo fosse un grande appassionato e l’ho coinvolto nell’anno in cui la società stava organizzando una delle ultime edizioni del Giro del Veneto, quello a Prato della Valle. Volevano portare un personaggio di spicco per incrementare l’importanza dell’evento, visto che le corse stavano già cambiando. C’erano le WorldTour, non c’erano tantissime squadre importanti e io lo misi in contatto con Cipollini».
Non aveva già smesso anche lui?
Esattamente, però bisognava riconoscergli un gettone di presenza e per questo ci serviva una sponsorizzazione. Così entrai in contatto con Galdino Peruzzo e da lì siamo sempre rimasti in contatto. E quando gli hanno proposto di diventare presidente, ha chiesto la mia collaborazione.
Lo sbocco più naturale, in fondo…
Io avevo appena smesso e per i primi due anni non ho più toccato la bicicletta. Mi sono buttato a capofitto nel lavoro nell’azienda di famiglia, mentre adesso sono per conto mio e ho un’azienda – Alabastro Italiano – in cui facciamo illuminazione su misura. Quando mi hanno chiesto di entrare, ho pensato che mio nonno era stato in Padovani, mio padre anche e così pure mio zio. A casa mia, quando si parlava di ciclismo, si parlava di Padovani. Però quando sono entrato, non avevamo niente, neanche un’idea di cosa fare.
E come è andata?
Assieme a me è subentrato Martino Scarso. Noi oggi siamo i vicepresidenti e poi c’è Galdino Peruzzo, presidente e sponsor principale, e da lì siamo partiti. Abbiamo organizzato un Giro del Veneto a fine agosto 2012, che al tempo si fece insieme alla Coppa Placci, con l’arrivo a Imola per stare vicini all’Emilia colpita dal terremoto. Ma fu un’edizione un po’ balorda…
Perché?
Perché il calendario era infelice e le squadre erano in giro per l’Europa. Dopo quella volta pensai che avremmo dovuto cambiare rotta e tornare a fare squadre. Investire su una corsa professionistica è impegnativo a livello economico e non rende niente. Per questo partimmo con gli juniores.
Hai raccontato di aver lasciato gli juniores quest’anno per passare alla continental perché vedevi comportamenti che non ti piacevano nei ragazzi e nelle loro famiglie.
Dicono che ci sia tanta professionalità, ma sono chiacchiere. Il ragazzino di 17 anni ha la testa di un ragazzino di 17 anni, altro che passare professionista. E appresso ha una schiera di familiari che mette bocca. Noi avevamo fatto tutto in maniera molto seria, ma non ne valeva la pena. Per questo abbiamo pensato di fare una continental.
Non una piccola differenza…
Al contrario, il passo è stato notevole perché noi vivevamo con i nostri sponsor, principalmente grazie a Polo e non potevamo chiedergli di più. Per cui abbiamo studiato per 7-8 mesi, finché abbiamo trovato un accordo con l’attuale direttore sportivo Franco Lampugnani, che ci ha presentato Renato Marini della Coppi Gazzera. Gli abbiamo presentato il progetto e lui ha risposto che se avessimo fatto una squadra dilettantistica, ci avrebbe dato una mano. E così siamo partiti.
In che modo?
Abbiamo presentato il progetto a Peruzzo, che lo ha autorizzato il 5 agosto. Alessandro Petacchi ha accettato di fare il team manager e non credevo che ci si sarebbe buttato con tanto impegno. Chiama i corridori, partecipa. Voleva fare un progetto giovani in Toscana, invece ha accettato di venire qui. Avevamo e abbiamo bisogno di un team manager che segua la squadra, perché abbiamo tutti i nostri lavori ed è necessario dividerci gli impegni.
Come lo hai convinto?
Nel ciclismo italiano, tolti i Reverberi che hanno una professional e Basso che sembra più una squadra spagnola, ci sono solo le continental. Forse è brutto da dire, ma la realtà è questa. Quindi, secondo me, serve che i campioni di una volta diventino punti di riferimento per i ragazzi, lo staff, il personale e gli sponsor. Questo serve.
Petacchi ha accettato subito?
Mi ha detto subito di sì. Gli ho tirato per sei anni le volate, gli ho tirato anche l’ultima per entrare in questa società. Lui ci conosceva già, perché era già stato per un paio di volte alla Gran Fondo di Padova. Conosceva il presidente, conosceva tutto il personale e di là siamo partiti il 5 di agosto con l’accordo con la Coppi Gazzera. Abbiamo creato un business plan per andare in cerca di sponsor. Avevamo dei contatti e alla fine sono entrati nuovi sponsor importanti.
Nello staff ci sono anche Slongo, Guardascione, Konychev…
E ci sono anche Simone Marini, mental coach dell’Astana, e anche Luca Simoni, perché avevamo bisogno di un nutrizionista. Lui lavora all’Università di Padova, è un ricercatore biologo ben conosciuto nell’ambiente. Attualmente lavora con l’Astana e sta seguendo i nostri ragazzi.
Avete già un’idea di calendario, a parte gli inviti?
Ne abbiamo richiesti molti. Mandiamo una mail di presentazione. Scriviamo che ci sono Petacchi e Konychev. Citiamo la storicità della squadra. E adesso dobbiamo solo aspettare le risposte. Intanto abbiamo fatto il ritiro dal 10 al 20 dicembre ad Abano Terme, all’Hotel La Serenissima Terme, che è nostro sponsor. Poi ne faremo un altro più breve il 2-3 gennaio per foto e altre attività. Dal 12 al 26 partiremo per la Spagna e chiuderemo il ritiro con una corsa il 24 a Valencia. Poi tramite Garzelli, potremmo partecipare alla prima corsa per professionisti. A quel punto inizieremo col calendario italiano a fine febbraio e faremo un altro ritiro alla metà del mese. Abbiamo chiesto di andare a Besseges, ma al momento non arrivano risposte.
Tanto estero?
Faremo un calendario internazionale. Abbiamo fatto richieste in Romania, Olanda, Belgio, Francia. Faremo il calendario più importante in Italia. Abbiamo già formalizzato la richiesta di invito alla Coppi e Bartali e tutte le prove che si possono fare. Mi auguro che ci invitino in più corse possibili fra i professionisti. Vorremmo farle tutte, vediamo se ci vogliono. Bisognerebbe favorire certe esperienze, soprattutto se l’attività in Italia è portata avanti da queste squadre.
Qual è il vostro obiettivo?
Fare sì che la Padovani torni ad avere una squadra importante. Non come negli anni 60 perché è cambiato il mondo ed è cambiato il ciclismo. Eppure per come siamo organizzati, con la tecnologia e le organizzazioni che abbiamo messo in piedi, con lo staff e i corridori, abbiamo 250 punti, che non sono pochi. Nel frattempo, nell’ultimo anno, abbiamo studiato le altre continental. Ci sono quelle serie e quelle che lo sono solo di nome. Secondo me, noi partiamo da un livello molto alto, ma l’obiettivo è crescere. E non vorrei dire altro, perché per ora siamo giusti così.
Una continental è a suo modo un’azienda?
Decisamente. I budget sono importanti, stiamo lavorando bene sotto l’aspetto marketing e social. Con gli sponsor abbiamo in progetto nei prossimi sei mesi di portare a bordo dei nomi importanti. Lavorando bene, se le cose si incastrano con un po’ di fortuna, possiamo anche pensare di fare il salto di qualità. Ma per adesso stiamo bene qua.
L’organico non è molto sbilanciato verso gli under 23.
Abbiamo 5 ragazzi elite e 8 under. Abbiamo iniziato a cercare i corridori il 5 agosto, abbiamo dovuto formare da subito l’ossatura della squadra, per cui faremo le corse più impegnative con gli elite. Siamo anche convinti che l’under 23 non sia pronto per il professionismo, malgrado qualcuno sostenga che a 20 anni si debba passare per forza. E’ lo sbaglio più grande. Per stare di là bisogna avere una certa esperienza, una certa resistenza, una certa testa. Però faremo anche attività con gli under 23. Abbiamo due ragazzi che secondo me possono tranquillamente puntare a passare professionisti e secondo me non ci vanno lontano.
E tu nel frattempo hai ricominciato ad andare in bicicletta?
Dopo quei due anni famosi, Fondriest mi invitò a fare una randonnée a Reggio Emilia. Non avevo la bici e neanche il casco e gli scarpini. E lui mi disse che mi avrebbe fatto trovare tutto in albergo. Arrivai alle dieci di sera e quando entrai nella stanza e vidi la bici, fu una folgorazione. Si è accesa la luce. Il giorno dopo ho fatto quei 40 chilometri, ma mi sono portato via la bicicletta e ho ricominciato a uscire. Piano piano, ma con regolarità.