L’avventura parigina delle Hashimi, con un messaggio nel cuore

09.08.2024
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Una fuga per far vedere di esserci, per dare risonanza al loro messaggio perché già il fatto di essere lì, a Parigi, nel massimo consesso sportivo era un successo ma anche la dimostrazione che si può fare. E’ quanto hanno inteso fare Yulduz e Fariba Hashimi, le due ragazze afghane entrate nella prima fuga di giornata della prova in linea.

Che poi siano state riprese, siano finite nelle retrovie fa parte del gioco e non influisce sulla loro prestazione, utilizzata come un gigantesco megafono per far capire qual è la situazione delle loro connazionali.

Le due ragazze afghane insieme all’ammiraglia, prima del via della prova in linea
Le due ragazze afghane insieme all’ammiraglia, prima del via della prova in linea

Libere dal 2021

La loro storia: le due ragazze, insieme ad altre sono scappate dall’Afghanistan con il ritorno al potere dei talebani, che hanno cancellato tutte le libertà dell’intero universo femminile. Per permettere loro di fuggire e di continuare a nutrire la loro passione sportiva, decisivo è stato l’impegno di Road to Equality, l’organizzazione di Alessandra Cappellotto, l’ex campionessa del mondo che non ha mai smesso di essere vicina alle due ragazze, sin da quei concitati giorni del 2021.

«Avevano visto le Olimpiadi di Tokyo proprio pochi giorni prima del ritorno dei Talebani a Kabul, sognavano di esserci un giorno ma quegli eventi avrebbero cancellato tutte le loro aspirazioni. In quei giorni a Parigi, prima della corsa ne abbiamo parlato spesso, ho ricordato loro tutto il cammino che avevano compiuto per esserci».

Le ragazze afghane all’arrivo a Parigi con lo staff della Cappellotto (a sinistra)
Le ragazze afghane all’arrivo a Parigi con lo staff della Cappellotto (a sinistra)

Il villaggio e il “tutto gratis”

Cappellotto è stata azzurra a Atlanta 1996 e Sydney 2000, sa bene che cosa sono le Olimpiadi e non ha mancato di spiegarlo alle ragazze.

«E’ qualcosa di bellissimo ed enorme, ho detto loro di prenderlo come un regalo della vita e di godersi tutta l’esperienza. E’ esattamente quel che hanno fatto e era particolare vedere la loro sorpresa per cose che per noi sembrano normali: il buffet gratuito aperto a ogni ora, i distributori della Coca Cola nel villaggio anche questi gratuiti, i contatti con gente dalle più diverse estrazioni geografiche e sociali. Sono ancora ragazzine, hanno una certa ingenuità negli occhi, vivevano tutto come un sogno».

La fuga iniziale era programmata? «Per certi versi sì. Avevo detto loro che sapevano bene come si sarebbero confrontate con atlete dai valori diversi, con una forza, una capacità, un’esperienza di molto superiori. Ma loro potevano farsi notare. Ho suggerito di alternarsi, andare in fuga prima una e l’altra sarebbe rimasta nel gruppo potendo riposare di più, poi appena riprese poteva provarci l’altra. Ma una corsa è sempre difficile da programmare, alla fine essere in fuga entrambe è stato comunque utile».

Fariba a confronto con il presidente Uci Lappartient: la presenza delle afghane è stata un valore aggiunto
Fariba a confronto con il presidente Uci Lappartient: la presenza delle afghane è stata un valore aggiunto

I problemi della famiglia

Ma come hanno vissuto quest’esperienza ciclistica? «Per loro era un sogno, quasi il compimento di un percorso iniziato quando in Afghanistan gareggiavano con scarpe da ginnastica e bici assolutamente non professionali, senza alcuna nozione di tattica o di allenamento specifico. Hanno fatto progressi incredibili, all’inizio non sapevano neanche come affrontare una curva».

Yulduz e Fariba però hanno voluto sfruttare l’occasione e la fuga anche per farne un manifesto, un messaggio rivolto alle loro connazionali: «Per questo non abbiamo voluto gareggiare nel Team dei Rifugiati – hanno spiegato dopo la corsa – le cose devono cambiare. La situazione nel nostro Paese va peggiorando di giorno in giorno. Nostro fratello più piccolo è stato ferito con un coltello alla testa e chi lo ha fatto gli ha detto che era per noi che eravamo alle Olimpiadi. La nostra famiglia ha cambiato casa quattro volte da quando siamo espatriate, ma evidentemente non è bastato».

Fariba ha chiuso al 75° posto a 11’24” dalla Faulkner. La sorella, ritirata, era stata 26ª a cronometro
Fariba ha chiuso al 75° posto a 11’24” dalla Faulkner. La sorella, ritirata, era stata 26ª a cronometro

L’importanza del messaggio

«Ci tenevano tanto a essere a Parigi proprio per farne una cassa di risonanza della loro situazione – riprende Alessandra – Da quando sono arrivati i Talebani la situazione è peggiorata molto. Inizialmente volevano sembrare più morbidi, poi è emersa la loro vera natura: non solo burka per le donne, ma niente lavoro, niente studio, niente di niente. Le ragazze sono in contatto con le loro amiche in Afghanistan. E queste le dicono come la mancanza dello studio sia quella che patiscono di più».

Alla Cappellotto arrivano ogni giorno richieste: «Il problema è che non abbiamo le forze per dare una mano a tutte coloro che vorremmo. Mi arrivano chiamate ogni giorno. Ci sono ragazze che sono riuscite ad espatriare, che ora sono in Iran ma non possiamo accoglierle. Ci sono famiglie che da un anno e mezzo sono in attesa dei permessi per poter uscire dai centri di accoglienza ma la burocrazia ha tempi lenti, lentissimi, quindi a chi chiama non possiamo dare le risposte che vorrebbero e vorremmo».

Lappartient con il gruppo afghano sotto la Tour Eiffel. Una presenza che ha lanciato un messaggio
Lappartient con il gruppo afghano sotto la Tour Eiffel. Una presenza che ha lanciato un messaggio

Sognare fino all’ultimo una medaglia

Ora le ragazze hanno messo questa bellissima esperienza alle spalle: «Fariba è già tornata e parteciperà al Tour de l’Avenir Femmes, Yulduz è ancora a Parigi e prenderà parte alla cerimonia di chiusura. Vuole godersi l’esperienza fino in fondo. Il bello è che nella loro ingenuità, quando hanno finito la corsa erano anche un po’ deluse perché in fondo al cuore sognavano una medaglia. E secondo me il bello delle Olimpiadi è proprio questo, avere potuto sognare fino alla fine».

Non solo le afghane. Il lavoro della Cappellotto va molto oltre

16.11.2022
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La storia delle cicliste afghane scappate da Kabul e diventate un’icona dello sport contemporaneo è ormai parte di questo mondo a due ruote. La vicenda di Fariba Hashimi e compagne ha portato alla luce l’attività di Road to Equality, l’associazione creata dall’ex iridata Alessandra Cappellotto che tanto si è adoperata per far uscire le ragazze dal Paese dopo la calata dei talebani. Alla lunga però l’impegno assunto con le afghane rischia di risultare riduttivo, perché Road to Equality è molto altro.

L’associazione rappresenta un impegno molto oneroso, se aggiunto a quello del Cpa Women, anche perché a occuparsene sono meno di 10 persone. Le giornate di Alessandra sono estremamente impegnative, dalla mattina alla sera è un susseguirsi di telefonate, riunioni, decisioni da prendere e trovare qualche minuto per raccontare e raccontarsi non è semplice.

«Abbiamo iniziato nel 2021 – spiega – ma sembra davvero un secolo fa… Nel 2017 avevo fondato il Cpa femminile, il sindacato delle cicliste, ma mi ero accorta che quell’impegno, dedicato solo al ciclismo di vertice, non copriva le esigenze reali di questo movimento. Il ciclismo femminile è un argomento complesso…».

Cappellotto 2021
Alessandra Cappellotto, iridata su strada nel 1997 e presidente di Road to Equality, artefice di un vero miracolo
Cappellotto 2021
Alessandra Cappellotto, iridata su strada nel 1997 e presidente di Road to Equality, artefice di un vero miracolo
In che misura?

Innanzitutto dobbiamo considerare che si parla spesso di ciclismo di professioniste ma non è così. Sono pochi i Paesi che riconoscono il professionismo per il settore femminile, in molti casi (anche da noi) è più un ibrido e questo crea problemi. Occupandosi però di ciclismo di vertice eravamo completamente tagliati fuori da quello che è il vero tema che mi stava a cuore: aiutare l’evoluzione del ciclismo femminile intervenendo nei Paesi in via di sviluppo e lo possiamo fare attraverso piccole cose, ma che risultano fondamentali.

Entrando nello specifico, che cosa fate?

Cerchiamo di dare un aiuto come possiamo. A noi si rivolgono ragazze in cerca di una squadra, organizzatori che vogliono un sostegno attraverso sponsor e premi, squadre che cercano un aiuto economico. Noi mettiamo a disposizione le nostre conoscenze, diciamo che facciamo da tramite perché le loro richieste possano essere esaudite. Queste richieste ci arrivano un po’ da ogni parte del mondo, chiaramente da quei Paesi dove il ciclismo femminile deve ancora evolversi: Africa, Asia, Sud America e così via.

La Cappellotto insieme alle ragazze afghane, che ha portato in Italia fra mille traversie (foto FB)
La Cappellotto insieme alle ragazze afghane, che ha portato in Italia fra mille traversie (foto FB)
La storia delle cicliste afghane come nacque?

Il contatto fu con il presidente della federazione afghana che si rivolse a noi per un aiuto nell’organizzazione di una gara femminile nella capitale Kabul. Grazie al contributo materiale ma soprattutto alla sensibilità della Rudy Project, inviammo caschi, occhiali e tanto materiale da dare in premio alle ragazze. Da lì nacque un contatto che, nei giorni più difficili, fu essenziale.

Quanto conta, nel vostro lavoro, il tuo nome costruito negli anni di militanza nel ciclismo mondiale?

Tanto, non posso negarlo, perché si sono creati legami fondamentali. Il nostro lavoro si basa molto sui rapporti umani. Quando prendiamo in carico un caso, mettiamo mano al telefono o al computer e iniziamo a verificare chi potrebbe darci una mano, risolvere quel dato problema. Spiego la situazione e cerco insieme al referente la soluzione migliore. Non posso negare che a tante richieste non possiamo dare risposta: molte ragazze vogliono che troviamo loro un team, noi possiamo fornire qualche contatto, ma dovranno poi essere loro a guadagnarselo. Noi possiamo intervenire nell’ottenimento dei visti necessari per trasferirsi nel Paese e posso assicurare che non è cosa da poco.

La gioia della Cappellotto sul traguardo dei mondiali gravel, con una delle ragazze afghane
La gioia della Cappellotto sul traguardo dei mondiali gravel, con una delle ragazze afghane
Parlavi della federazione afghana: siete spesso contattati dalle federazioni di altri Paesi?

Sì e questo rientra specificamente nei nostri compiti statutari. A noi interessa aiutare e incrementare l’attività nei Paesi dove non c’è parità di genere, dove c’è voglia di allestire eventi per le donne, che siano gare, training camp, insomma per fare in modo che tramite il ciclismo si possa fare un passo importante nel lungo cammino dell’emancipazione femminile. Nella maggior parte del mondo, l’emancipazione sportiva è ancora una chimera. Mi ricollego ad esempio al racconto di Taaramae dal Rwanda: in quel Paese l’assistenza sanitaria è come quella americana, se hai soldi vieni curato, se vieni investito e non hai un’assicurazione (costosissima tra l’altro) ti lasciano lì. Noi proviamo a dare una mano cercando contatti e sponsor per società.

Curate anche la spedizione di materiale ciclistico?

Certamente e vi racconto un aneddoto al riguardo: lo scorso anno, ai mondiali di Leuven, caricai la macchina come di più non si poteva, con caschi, copertoni (fondamentali, forse l’accessorio più richiesto), abbigliamento e tanto altro. Erano da consegnare ai commissari tecnici di più Paesi, dalla Costa d’Avorio al Rwanda, al Congo… Fu un viaggio difficile, non lo nego. All’arrivo i vari referenti presero quando dovuto e lo caricarono nelle valigie delle atlete e del personale. Avevamo così dato un aiuto in maniera più celere. Se le cose fossero burocraticamente più semplici, si potrebbe fare molto di più per dare una mano.

La nazionale nigeriana alla Coppa del Mondo su pista a Cali (COL), con l’aiuto di Road to Equality
La nazionale nigeriana alla Coppa del Mondo su pista a Cali (COL), con l’aiuto di Road to Equality
Nei tuoi contatti hai sempre trovato dall’altra parte mani tese?

Sì, anche perché io sono una persona molto legata alle istituzioni. Credo molto nel valore dell’atleta donna, ma credo anche che la sua valorizzazione debba passare per i canali istituzionali. E la cosa che spesso mi sorprende è trovare, in Paesi dove la parità di genere è di là da venire, uomini a capo di federazioni e di enti che sono molto sensibili verso lo sport femminile, verso quello che facciamo. Credono nelle loro atlete e in quel caso è facile aiutare.

La storia di Fariba, dalla paura al sogno del Tour

30.10.2022
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Certe vite sono scandite dalle date, quasi fossero un libro di storia. Probabilmente se un giorno Fariba Hashimi scriverà la sua biografia, la prima sarà quella del 22 aprile 2003, il giorno della sua nascita a Maimanah, nel nord dell’Afghanistan, ma noi partiamo da un’altra giornata, quella del 14 agosto 2021 perché in fin dei conti è quella della sua seconda nascita. Quel giorno la giovanissima afghana affrontò un bivio che poteva portarla verso una fine prematura o un’esistenza contrassegnata dalle privazioni, dalle umiliazioni e dalla sofferenza. Oppure, com’è stato, dalla libertà.

Fariba Hashimi in trionfo ad Aigle, una vittoria dopo tanti sacrifici per tornare a correre (foto Maxime Schmid)
Fariba Hashimi in trionfo ad Aigle, una vittoria dopo tanti sacrifici per tornare a correre (foto Maxime Schmid)

Un volo per l’Italia

Kabul. I talebani sono tornati a comandare in Afghanistan. Appena gli americani si sono tirati fuori dopo una guerra ultradecennale, loro sono calati come cavallette su villaggi e città, riannodando la storia esattamente a quel che avevano lasciato. Con loro cala il terrore: i più giovani sanno che cosa significa la loro dittatura religiosa solo attraverso i drammatici racconti di chi ha qualche anno in più. In città c’è confusione: gli occidentali stanno scappando via con gli ultimi aerei e con loro anche tanti afghani pronti a viaggiare verso l’ignoto, chi può farlo, chi può permetterselo.

Squilla il cellulare di una delle sorelle Hashimi. Messaggio: «Vieni subito a Kabul, forse c’è un volo per l’Italia». Le ragazze sono nel Faryab, oltre 800 chilometri a nord. Inizia un viaggio attraverso la paura, mille insidie come quando prendono un taxi per andare a cambiare il cellulare. Posto di blocco: le ragazze vengono fatte scendere violentemente e strattonate perché lo hijab non è indossato correttamente. Per fortuna vengono lasciate andare e proseguono con mezzi di fortuna.

«Strisciavamo muro muro – racconta una di loro – arrivammo all’Abbey Gate il 24, in un caos apocalittico. Sentivamo i colpi di mitraglietta e le esplosioni, ma non so come ci ritrovammo sull’aereo, appena due ore prima dell’attentato che sparse sangue e morte».

Le ragazze afghane insieme all’ex iridata Alessandra Cappellotto, titolare di Road to Equality
Le ragazze afghane insieme all’ex iridata Alessandra Cappellotto, titolare di Road to Equality

L’Afghanistan è un ricordo

Arrivano in Italia, sono in 5, grazie all’incredibile lavoro dell’ex iridata Alessandra Cappellotto e della sua organizzazione Road to Equality. La fine del viaggio è anche l’inizio, perché inizia una nuova vita in un luogo lontano, dove ci si fa forza l’un l’altra, dove però c’è tantissimo da fare per potersi inserire nella società. L’Afghanistan è diventato un ricordo, soprattutto l’Afghanistan dove erano libere di fare sport, di pedalare. Fariba e le sue sorelle hanno sempre amato il ciclismo e gareggiavano nelle prove locali, sognavano un giorno di rappresentare la loro nazionale alle Olimpiadi. Ma nel “nuovo” Afghanistan una donna che fa sport commette peccato mortale, come anche studiare o lavorare.

Alessandra si dà un grandissimo da fare per aiutarle. Trova una scuola per straniere gestita dalle cooperative venete, dove le ragazze vanno ogni mattina e stanno pian piano imparando l’italiano e l’inglese, poi dopo pranzo tutte in bici. Valentino Villa ha provveduto a far avere loro tutto il materiale e dall’1 agosto 2022 Fariba è entrata a pieno titolo nella Valcar Travels & Service. Un’altra data, un altro capitolo…

Yulduz chiede il cambio a Fariba: le due ad Aigle si sono date battaglia senza sconti
Yulduz chiede il cambio a Fariba: le due ad Aigle si sono date battaglia senza sconti

Il giorno di Aigle

Le giornate proseguono attraverso una quotidianità affrontata con entusiasmo misto a quel normale pizzico di malinconia per la terra e la famiglia lontane. E si arriva a un’altra data fatidica: 23 ottobre 2022.

Aigle, città svizzera sede del centro Uci di allenamento. Il massimo ente allestisce in terra svizzera il campionato nazionale afghano, recuperando la gara del giugno 2021 che era stata sospesa per l’esplosione di un camion bomba. Partecipano oltre 40 atlete, tutte fuoriuscite dal Paese in quei giorni tremendi. Sono ora sparse nel mondo, ma si ritrovano per una gara che vale molto di più del titolo nazionale, almeno a livello morale. Ci sono tutte le 5 ragazze arrivate in Italia, due di loro, Fariba e Yulduz, dopo appena 3 chilometri salutano la compagnia e fanno il vuoto.

Procedono di buona lena le sorelle Hashimi, si danno cambi regolari e il vantaggio cresce. «Che si fa?» chiede una: «Semplice, ce la giochiamo alla pari» risponde l’altra. E’ una gara tra sorelle, senza esclusione di colpi, ci si gioca il successo sul filo dei centimetri. Vince Fariba, le due si abbracciano, aspettano l’arrivo delle altre con Zahra e Nooria loro compagne di squadra che arrivano terza e quarta per il tripudio della Valcar. Si avvicina a loro un distinto signore: si chiama Sylvan Adams, è un miliardario canadese che ha messo su un team arrivato al WorldTour, la Israel Premier Tech. Sta sviluppando il corrispettivo femminile e le fa una proposta clamorosa: entrare a far parte del team, con un contratto di due anni e la promessa di essere al via del prossimo Tour de France.

Le ragazze afghane hanno preso parte anche al mondiale gravel, con Fariba 33esima
Le ragazze afghane hanno preso parte anche al mondiale gravel, con Fariba 33esima

Insieme nel WorldTour

Fariba vorrebbe dire sì, ma ripensa a quei centimetri che hanno fatto la differenza, magari se erano a suo sfavore la proposta andava a Yulduz. Accettare significa separarsi, lasciare la sorella e le amiche. Fariba non sa che fare, Alessandra Cappellotto vede il suo sgomento e si mette in mezzo, iniziando una lunga contrattazione con Adams. Alla fine il contratto viene esteso anche a Yulduz che gareggerà però nel team satellite, mentre le altre avranno un supporto per continuare ad abbinare studio e ciclismo.

Le ragazze si abbracciano e scoppiano in un pianto dirotto. E’ come se quel lungo viaggio, iniziato in una Kabul illuminata dagli scoppi di bombe, abbia trovato un suo termine. In attesa che arrivi un’altra fatidica data, magari quella dell’inizio del prossimo Tour de France Femmes…

cicliste afghane

Le cicliste di Kabul, storia di sport e amore

29.08.2021
4 min
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E’ il 9 marzo 2021: un giorno come tanti, ma non a Kabul. Non per 56 ragazze, che salgono sulla loro bici, indossano caschetti e divise e pedalano, ma quella pedalata è un grido, una rivendicazione di libertà. Un gesto che non era passato inosservato allora, un gesto che è rimasto nella memoria di tanti e non tutti erano d’accordo, anzi.

Con il repentino e drammatico cambio di direzione dell’Afghanistan, con il ritorno al potere dei talebani, molti hanno ricordato quella giornata. L’hanno fatto i talebani stessi, pronti a punire quelle donne che avevano infranto un tabù, che avevano dato scandalo, che non avevano rispettato la Shari’a. L’hanno fatto le cicliste stesse, che per giorni hanno vissuto con il cuore in gola coltivando la speranza di poter partire.

Kabul cicliste 2021
Un passaggio della pedalata del 9 marzo, in una Kabul dove le testimonianze dei bombardamenti sono ancora visibili
Kabul cicliste 2021
Un passaggio della pedalata del 9 marzo, in una Kabul dove le testimonianze dei bombardamenti sono ancora visibili

La porticina verso la libertà

Partire, lasciare l’Afghanistan, la loro terra, un prezzo altissimo da pagare per difendere la propria vita. Così, nella calca verso l’aeroporto, passando fra mille pericoli, parte di loro sono riuscite a salire sull’aereo, a volare verso l’Italia, verso la vita, ma con la morte nel cuore pensando ai propri cari rimasti, pensando alla propria patria destinata a un futuro immediato carico di incognite e sofferenze.

Parliamoci chiaro: il loro volo verso l’Italia è stato una vittoria, una di quelle che non si possono misurare. Alessandra Cappellotto, ex campionessa mondiale su strada e presidente di Road to Equality, associazione che lavora per la parità di genere in ogni campo e soprattutto a ogni latitudine, si è data un gran daffare. L’ex iridata è rimasta in contatto costante con quelle ragazze mentre anche attraverso i media cercava attenzione e sostegni per realizzare quella che sembrava un’utopia: «Le sentivo nascoste in case e rifugi, le sentivo quando si avvicinavano a prezzo di mille pericoli verso quella minuscola porta di accesso all’aeroporto, le sentivo anche quando venivano respinte, quando dovevano tornare a nascondersi».

Cappellotto 2021
Alessandra Cappellotto, iridata su strada nel 1997 e presidente di Road to Equality, artefice di un vero miracolo
Cappellotto 2021
Alessandra Cappellotto, iridata su strada nel 1997 e presidente di Road to Equality, artefice di un vero miracolo

Un successo dovuto a un lavoro corale

Nel suo racconto la Cappellotto ha sottolineato un aspetto: «Per loro partire era davvero l’unica soluzione: sono ragazze che avevano propri profili social, quindi erano più visibili e per questo maggiormente in pericolo, come tutte le atlete. Alcune si sono unite alle calciatrici di Herat, altre sono partite con il volo successivo, l’ultimo per l’Italia. C’era anche chi voleva portarsi dietro la bici… ne troveranno una qui, nuova fiammante, glielo abbiamo promesso».

Il loro arrivo a Fiumicino è un vero e proprio miracolo, reso possibile da un’azione corale che proprio Alessandra con la sua abnegazione ha messo in moto, ma un importante contributo è arrivato anche dall’ex presidente della Federciclismo Renato Di Rocco: «Io ho fatto ben poco, se non sensibilizzare alcune autorità, a cominciare dal Ministro degli Esteri Di Maio, sulla vicenda. Il successo dell’operazione è stato un lavoro corale, al quale ha dato un forte contributo, oltre a molte Ong presenti sul territorio, anche l’Uci che si è mossa anche verso Francia e Svizzera per dare ulteriore asilo».

Kabul marzo 2021
Un altro passaggio della pedalata del 9 marzo, culmine di un’attività ciclistica femminile partita già da qualche anno
Kabul marzo 2021
Un altro passaggio della pedalata del 9 marzo, culmine di un’attività ciclistica femminile partita già da qualche anno

Il vero lavoro comincia ora…

Di Rocco torna anche a prima del repentino cambio al governo dell’Afghanistan: «Con la federciclismo locale eravamo in contatto da tempo, avevamo anche programmato uno stage di almeno un mese delle ragazze a Riolo Terme, poi non si poté far nulla a causa del Covid. Già si erano mosse molte aziende e società ciclistiche per dar loro una mano. Sono convinto che ora le stesse aziende s’impegneranno per permettere alle ragazze di riprendere la loro pratica ciclistica. Daremo loro una mano, espletate le formalità di richiesta di asilo, per continuare a correre e sentirsi un po’ più a casa».

E’ chiaro che ognuna di loro spera che questa sia solo una parentesi, il più breve possibile. Lo spera chi ha lasciato la famiglia. Lo spera chi ha assaporato un Afghanistan diverso, dove le donne lavoravano, stringevano relazioni interpersonali, facevano sport. Non erano puri “oggetti di famiglia” da coprire. Lo spera chi, e sono tutte, conserva nel proprio cuore un profondo amore per il suo Paese, ora lontanissimo.

Il WorldTour delle donne con “Ale” Cappellotto

20.02.2021
5 min
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Alessandra Cappellotto ha il tono compiaciuto. Il Cpa delle donne continua ad avanzare e così negli ultimi due anni una netta accelerazione ha portato il professionismo fra le ragazze, l’aumento dei team WorldTour e anche quello dei minimi salariali. Siamo in piena fase di crescita e c’è da combattere contro l’ordinamento italiano, ad esempio, per il quale non è contemplato il professionismo per le donne che corrono in bicicletta. Avendo osservato più da vicino negli ultimi mesi la vita delle atlete, a che titolo non dovrebbero essere considerate delle professioniste? Quella che è in corso è un’emancipazione bella e buona, ma dato che non siamo troppo lontani dalla posizione di Giorgia Bronzini su alcuni punti, soprattutto sulla rapidità del passaggio, parlarne con la capo del Cpa mondiale ci è sembrato il modo migliore per fare il punto.

Alessandra Cappellotto, nominata a luglio 2017 alla guida del Cpa donne
Alessandra Cappellotto, nominata a luglio 2017 alla guida del Cpa donne
Allora Alessandra, com’è la situazione?

Quello che sta succedendo è evidentemente una miglioria. Il gruppo è ancora disomogeneo, ma le ragazze di vertice sono pronte ad avere quel tipo di struttura alle spalle e, anzi, se la meritano.

Giorgia Bronzini si è detta inizialmente in difficoltà per un movimento che passa da situazioni spesso improvvisate all’efficienza dei grandi team.

Posso capire che si sia sentita spaesata, a volte nelle riunioni del Cpa lo sono anche io vedendo le differenze fra i team WorldTour e gli altri. Però mi rendo conto che le ragazze che arrivano ora fra le elite trovano una situazione più organizzata e certamente migliore. Anche se in Italia il Governo non riconosce le donne professioniste, chi corre in una squadra WorldTour può certamente dire di esserlo. Lo abbiamo raggiunto e non è un risultato incredibile, perché lo abbiamo chiesto e abbiamo lottato per anni. Passo dopo passo. Ovviamente la riforma non è ancora a regime, ma lo sarà nel 2023.

Il team DSM, ex Sunweb, ha aderito di slancio (foto Team DSM)
Il team DSM, ex Sunweb, ha aderito di slancio (foto Team DSM)
Perché hai detto che il movimento è disomogeneo?

Perché c’è tanta disparità. Stiamo percorrendo la strada che fu degli uomini, aspettando che le nuove leve prendano tutto questo per acquisito. Le giovani non sono come Giorgia o come me che possiamo pensare a qualcosa di inaspettato. Quello che fa ben sperare è che accanto alle squadre WorldTour agganciate a team maschili, ce ne sono alcune autonome.

In realtà è tutto fuorché scontato che i team maschili vi seguano su questa strada…

Sarebbe facile dire che se ti chiami Trek-Segafredo, avere le donne è il minimo sindacale (in apertura il team guidato da Elisa Longo Borghini, ndr). Poi ci sono alcune realtà come la Jumbo Visma che crescono gradualmente e hanno chiesto di allinearsi al WorldTour un anno dopo. Oppure ci sono le squadre che per motivi culturali non potrebbero aderire, come ad esempio quelle arabe. Il fatto è che il regolamento Uci non dice che c’è l’obbligo di avere la squadra femminile. Dice che il team WorldTour può scegliere fra diverse ozpioni. Avere il team femminile. Avere il team continental. Avere gli juniores. Finanziare l’Uci che a sua volta sosterrà i comparti più deboli dell’attività.

Sofia Bertizzolo, Fiamme Oro
Sofia Bertizzolo, Fiamme Oro, non ha potuto essere ingaggiata dalla Movistar
Sofia Bertizzolo, Fiamme Oro
Sofia Bertizzolo non ha potuto correre in Spagna alla Movistar
Come la mettiamo in Italia con i gruppi sportivi militari?

Se sei professionista, ovviamente non puoi farne parte. Ma qui c’è ancora questa incongruità, per cui non essendo professioniste, restano nei corpi militari. Probabilmente in futuro, quei gruppi sportivi saranno aperti soltanto per le atlete extra WorldTour.

E’ il motivo per cui Movistar non ha preso Sofia Bertizzolo?

In parte, il caso è diverso. Movistar assume i suoi atleti, li inquadra come lavoratori dipendenti. Quindi Bertizzolo, che aveva già il contratto con le Fiamme Oro, non potevano assumerla. Negli altri team sono quasi tutte lavoratori autonomi.

Come si colma il gap fra le WorldTour e le altre?

Quello che stiamo facendo ora è alzare il livello delle continental e fare due fasce: ProTeam e Continental. Anche perché fra i team Uci ci sono, tutte insieme, la Jumbo Visma, la Lotto Soudal e la squadra – sia sempre benedetta – di Lucio Rigato. E’ questione di numeri, come fra gli uomini.

Alessandra Cappellotto, con Marta Bastianelli, iridata 10 anni dopo la veneta e 2ª italiana della storia
Stoccarda 2007: Cappellotto, con Bastianelli, iridata 10 anni dopo
Come ti troveresti in questo ciclismo?

Non ci ho mai pensato. A volte chiedo a Fortunato Lacquaniti (tecnico attuale della Ale-BTC_Ljubljana, ndr), che è stato il mio direttore al Tour de France quando avevo la maglia iridata e arrivai terza, che cosa veda in giro. A volte, come dico, mi capita di cadere nel romantico-ridicolo. E lui mi dice che è cambiato tanto, che noi eravamo più rustiche, perché eravamo abituate ad arrangiarci e a fare le cose anche in modo precario.

Eppure la Deignan vorrebbe un Tour di tre settimane…

Come Cpa abbiamo già fatto cinque incontri con Aso e con Prudhomme, per le loro gare e per il Tour de France che dovrebbe tornare nel 2022. Con noi c’era anche Anna Van der Breggen, che ha la testa sulle spalle. E anche noi abbiamo sentito qualcuna reclamare corse di 180 chilometri. Ma cosa te ne fai? Puntiamo alla qualità, a tante squadre e tante corse. E se qualcuna vuole fare certe distanze, può sempre farsi qualche randonnée.