Se non fosse stato chiaro dopo l’Amstel, la vittoria di Marta Cavalli alla Freccia Vallone ha acceso un riflettore potentissimo sulla ragazza di Cremona. Se infatti la prima volta ha vinto usando la testa, sul Muro d’Huy ha ragionato e atteso fino all’ultimo, poi ha riversato nei pedali la forza che ha piegato la rocciosa Van Vleuten. Non tante atlete possono dire di esserci riuscite.
In quarta elementare
Da dove viene Marta Cavalli? Sappiamo della trafila completa con la maglia della Valcar, ma cosa c’è prima? Sapevamo che suo padre Alberto per qualche anno avesse oragnizzato delle corse e da lui siamo partiti per andare all’origine della campionessa della FDJ Nouvelle Aquitaine Futuroscope. Appuntamento alle 9 del mattino, prima che il lavoro in azienda lo sommerga.
Suo padre Alberto, la madre Romina, poi Marta e la sorella Irene: la famiglia Cavalli è molto unita Il campionato italiano del 2018 si festeggia così in famiglia
Il padre Alberto, la madre Romina, poi Marta e la sorella Irene: la famiglia Cavalli è molto unita Il campionato italiano del 2018 si festeggia così in famiglia
«D’accordo con Valentino Villa – racconta – avevamo messo insieme la Freccia Rosa, una challenge di tre corse in cui la maglia di classifica aveva i colori della Valcar. Villa ci metteva i premi, davanti al primo sbocciare del ciclismo femminile. Però Marta aveva cominciato prima. In terza, quarta elementare, cominciò a dire di voler correre, anche se io cercavo di scoraggiarla».
Arriva la bici
Alberto ha giocato a calcio, poi si è appassionato alla bici, correndo da amatore. Bici in casa non sono mai mancate, per cui era prevedibile che la figlia si innamorasse dello sport del padre. Che invece faceva di tutto per sconsigliarla.
«Le dicevo – sorride – che le soddisfazioni sono poche, che è più facile perdere che vincere. Ho cercato di indirizzarla altrove. Finché un giorno tornò a casa annunciando che il suo amico Cristian correva in bici e lei avrebbe voluto fare come lui. Faceva ormai la quinta e visto che conoscevo la Gloria Guarnieri di Cremona, la portai a provare. Cominciammo il martedì e giovedì, facendo piccoli passi. Quando un figlio comincia a correre, la famiglia viene tirata dentro, soprattutto nei primi anni. Sentivo direttori sportivi dire che i genitori dovessero starne fuori, ma da quando Marta ha cominciato, io ho smesso di correre e 3-4 volte a settimana mi dedicavo a lei. Avere la famiglia alle spalle è tanta roba. Nei momenti belli non lo capisci, in quelli storti fa la differenza».


Se Marta pianta il chiodo
Marta è un tondino d’acciaio. La guardi negli occhi e riconosci una determinazione pazzesca. E’ orgogliosa. E la bicicletta non ha fatto altro che amplificarne le doti del carattere.
«Pedalare insieme – prosegue Alberto – non ha aggiunto molto alla mia conoscenza di Marta. La nostra famiglia è molto unita. Siamo insieme a colazione, pranzo e cena. Siamo sempre presenti, può capitare che il lavoro ci costringa a qualche assenza, ma i figli li abbiamo cresciuti noi per il 90 per cento del tempo. Mia moglie lavora part time proprio per questo.
«Uscendo con lei in bici, ho visto lo stesso carattere che ha sempre messo nelle sue passioni. La conosco molto bene. E’ una che, se pianta il chiodo, poi è quello! E’ consapevole di quel che può fare e questi risultati aumenteranno la convinzione. Non è semplice attaccare certe campionesse, ci vuole un bel coraggio…».
La vittoria della Coppa Rosa nel 2014 ha acceso per Marta Cavalli la luce sul futuro (foto VC Borgo) Dopo l’arrivo in Valsugana a capo della prima vittoria di peso (foto VC Borgo) Sul podio con lei elisa Balsamo e Letizia Paternoster (foto VC Borgo) Sul palco con tutta la Valcar per festeggiare la vittoria trentina (foto VC Borgo) Nel periodo della pista, lo spunto veloce non le è mai mancato Da esordiente e fino agli juniores, Marta ha vinto 4 corse: una da esordiente, 2 da allieva, una da junior)
La vittoria della Coppa Rosa nel 2014 ha acceso per Marta Cavalli la luce sul futuro (foto VC Borgo) Dopo l’arrivo in Valsugana a capo della prima vittoria di peso (foto VC Borgo) Sul podio con lei elisa Balsamo e Letizia Paternoster (foto VC Borgo) Sul palco con tutta la Valcar per festeggiare la vittoria trentina (foto VC Borgo) Nel periodo della pista, lo spunto veloce non le è mai mancato Da esordiente e fino agli juniores, Marta ha vinto 4 corse: una da esordiente, 2 da allieva, una da junior)
FDJ, un progetto di crescita
Da esordiente alla Valcar e con la Valcar è cresciuta. Poi quando è stato il momento ha spiccato il volo. Si può capire che certe partenze, come quella più recente di Elisa Balsamo, siano ferite per la squadra di Villa, ma al contempo se ne può essere fieri. Le parole di Marta su cosa significhi correre in una squadra estera fa riflettere sulla difficoltà di un trasferimento a 22 anni.
«Quando si è fatta avanti la FDJ – riflette papà Cavalli – abbiamo voluto capire se fossero davvero interessati. Bisognava decidere se fare il salto o rimanere. Con la Valcar-Travel&Service c’erano e ci sono ancora ottimi rapporti. Il secondo che mi ha scritto quando Marta ha vinto l’Amstel è stato Valentino Villa. Così prima abbiamo valutato il progetto. Poi abbiamo fatto un consulto di famiglia, dopo esserci sentiti con il suo procuratore (Fabio Perego, ndr). Si è fatto un ragionamento globale nell’ottica di un’evoluzione nella crescita di Marta. Abbiamo messo sul piatto il discorso economico, ma soprattutto il progetto. Non sarebbe partita per fare numero. Abbiamo deciso insieme e alla fine è andata in Francia».
Nel 2020 l’ultimo quartetto europeo con Fidanza, Consonni e Guazzini, poi il passaggio su strada Nel 2015 ad Atene, Cavalli campionessa d’Europa con Bertizzolo, Balsamo e Barbieri
Nel 2020 l’ultimo quartetto europeo con Fidanza, Consonni e Guazzini, poi il passaggio su strada Nel 2015 ad Atene, Cavalli campionessa d’Europa con Bertizzolo, Balsamo e Barbieri
La Coppa Rosa
Lo ha detto chiaro Cassani nei giorni scorsi: per arrivare in cima alla scalinata serve salire un gradino per volta. Perciò se tanti si sono meravigliati dei risultati di Marta, chi l’ha vissuta più da vicino era lì ad aspettarli, certo che sarebbero venuti.
«Ci sono stati passaggi importanti nella sua carriera – ricorda il padre – il primo di tutti la vittoria della Coppa Rosa a Borgo Valsugana. Lì ha capito di poter fare di più. Purtroppo ebbe quell’incidente nel 2016, cadendo a Montichiari. Rimase quasi per un mese in ospedale a Brescia e poi ferma per altri sei, con il rischio che le asportassero un rene. Però ripartì cocciuta come al solito e tornò a Montichiari per vincere il titolo italiano dell’inseguimento. Ve l’ho detto, aveva piantato il chiodo. E anche l’anno dopo, passando fra le elite e correndo contro i mostri, riuscì a centrare due vittorie. E nel 2018, con il campionato italiano, capì che era la sua strada. Adesso a certi passaggi non ci si pensa più, si guarda solo in avanti».


In ginocchio sul pavimento
Il giorno in cui Marta ha vinto l’Amstel, in casa Cavalli c’erano solo tre persone. Alberto, sua moglie Romina e Irene la figlia più piccola.
«Non siamo gente da bar – sorride – anche perché durante le corse a volte do in escandescenze ed è meglio che rimanga tutto tra le mura di casa. Quando hanno iniziato il Cauberg, mi sono messo in ginocchio sul pavimento. Ero consapevole che avesse quella forza, tutto stava arrivare a quel punto per dare la stoccata. Appena ho visto che aveva preso 30-40 metri, ho detto: “Ci siamo!”. Ha vinto da finisseur, sapevo che avrebbe tenuto. La volata non sarebbe stata così sicura, anche se è cresciuta con il mito di Cavendish. Non perché fosse o volesse diventare una velocista, ma perché Cavendish era il fuoco sotto la paglia. Vedendo quelle volate, si esaltava. Quando faceva il quartetto era più veloce, aveva più massa e abitudine. Poi si è specializzata su strada. E adesso quando usciamo in bicicletta insieme, in pianura se lo scorda di staccarmi. Ma appena inizia la salita, le dico: “Figlia mia, aspettami in cima oppure tornami incontro”. E lei fa così. Arriva su e poi gira e la finiamo insieme…».