La nuova Astana a trazione italiana. Zanini si frega le mani…

03.11.2024
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Ci sono grandi cambiamenti in atto all’Astana Qazaqstan Team e non potrebbe essere altrimenti. Archiviata la rincorsa al record di tappe al Tour di Cavendish ,c’è da fare i conti con una situazione ranking assolutamente deficitaria, che rischia di far retrocedere la squadra fra le professional a fine 2025. Per questo, come succede anche nel calcio, si è proceduto a una profonda rivoluzione nel roster, portando in squadra sia elementi giovani che avanti con gli anni ma dotati di grande esperienza e soprattutto capaci di conquistare quei punti che servono.

Per l’Astana il 2025 sarà cruciale: servono tanti punti – e quindi vittorie – per raggiungere la salvezza
Per l’Astana il 2025 sarà cruciale: servono tanti punti – e quindi vittorie – per raggiungere la salvezza

Questa rivoluzione ha marchiato ancora di più di tricolore il team kazako, considerando che ora gli italiani sono ben 12 su 29, di gran lunga la percentuale di gran lunga più altra fra le nazioni rappresentate, compresa quella di casa. E proprio guardando alla compagine italiana si nota quel mix di età e di esperienza di cui si parlava prima.

Stefano Zanini, confermato nello staff dei direttori sportivi, sente già la voglia di gettarsi nella mischia con la nuova compagine: «Siamo tutti molto carichi e il fatto che Vinokourov e la dirigenza abbiamo investito così tanto sui corridori italiani è segno che il nostro movimento è ancora forte e apprezzato, considerato ricco di corridori in grado di vincere e portare punti che sarà l’esigenza principale».

Ulissi cambia squadra dopo ben 14 anni nello stesso team. Vincendo ogni stagione
Ulissi cambia squadra dopo ben 14 anni nello stesso team. Vincendo ogni stagione
Vista la situazione di classifica, dovrete raccogliere sin dall’inizio…

La priorità è molto chiara a tutti, a noi come staff e ai corridori. E’ la nostra strategia e per questo sono stati presi corridori magari avanti con gli anni ma che sanno come si fa. Io poi sono di vecchia scuola, per me nel ciclismo conta vincere, tutto il resto viene di conseguenza. Inutile stare a guardare le classifiche, pensiamo a raccogliere il più possibile perché le vittorie portano tranquillità che aiuta a lavorare meglio.

E’ chiaro però che la campagna acquisti è stata fatta pensando proprio al ranking, prendendo corridori motivati ma anche esperti…

Esatto, Ulissi ne è l’esempio. Io sono convinto che questo cambio gli sarà utile perché potrà correre libero da pressioni e da obblighi. E’ uno che ha portato ogni anno risultati, ha vinto sempre e qui potrà concentrarsi su quello, anche se un corridore come lui resta un riferimento, capace di trasmettere tanto a chi è più giovane, di fare gruppo che è un fattore importante. Diego è fortissimo nelle corse a tappe medio-brevi, ma penso che potrà portare risultati anche nelle gare d’un giorno che, come si sa, danno più punti.

Per Malucelli approdo nel WorldTour a 31 anni, ma dopo il 2024 esplosivo con 10 vittorie
Per Malucelli approdo nel WorldTour a 31 anni, ma dopo il 2024 esplosivo con 10 vittorie
L’arrivo di Malucelli rappresenta per lui un cambio di passo, di livello. Viene da una stagione nella quale è stato tra i 10 più vincenti, ma molto ha influito il calendario…

Sa bene che il suo programma di gare sarà diverso, più qualificato e quindi emergere sarà più difficile, ma guardate quel che ha fatto: ha anche battuto fior di velocisti in questo 2024. L’anno prossimo avrà più responsabilità, ma anche più motivazione. All’inizio forse farà più fatica, ma questa esperienza gli darà stimoli per fare ulteriori passi avanti.

C’è un altro giovane che entra nel vostro gruppo ed è Kajamini, forse il miglior prospetto degli U23 per le corse a tappe. Lo portate subito in prima squadra, che cosa vi aspettate da lui?

Avrà il tempo di crescere. Ricordate quel che ho detto a proposito di Ulissi? Io credo che stargli vicino, seguire un corridore così esperto gli sarà di giovamento, proprio per quel discorso legato alle corse a tappe brevi, da lì seguirà il suo percorso. Uno che vince all’Avenir ha grandi doti, non avviene per caso e poi Samuel ha mostrato grande continuità. Io penso che possa far bene e inserirsi ad alti livelli, ma deve avere il tempo di maturare.

Kajamini, a sinistra, ha colto la Top 10 sia al Giro Next Gen che al Tour de l’Avenir
Kajamini ha colto la Top 10 sia al Giro Next Gen che al Tour de l’Avenir
L’Astana 20125 è una squadra senza leader, questo non è strano?

Non nella nostra dimensione, anzi. Teniamo presente che ci saranno settimane con in giro anche tre gruppi impegnati in gare diverse. Noi dobbiamo essere pronti a essere competitivi sempre. Io mi porto dietro l’esperienza di quando correvo, di quand’ero alla Mapei. Erano tutti campioni, tutti vincenti ma erano anche tutti corridori che lavoravano di gruppo e quindi in certe gare, per certi target si mettevano a disposizione. Ognuno aveva la sua occasione, sarà così anche qui e bisognerà farsi trovare pronti, sia per lavorare per i compagni che per finalizzare guardando all’obiettivo comune del team. Tutti avranno occasione per emergere e penso anche a gente come Masnada, Ballerini e gli altri.

Bettiol è approdato all’Astana già nell’agosto scorso. Ora vuole la prima vittoria con la nuova maglia
Bettiol è approdato all’Astana già nell’agosto scorso. Ora vuole la prima vittoria con la nuova maglia
Abbiamo lasciato per ultimo Bettiol. E’ il campione italiano, ma la sensazione è che non vinca quanto le sue capacità gli permetterebbero…

Alberto quando è in giornata è a livelli altissimi, deve solo fare quel passo in più per concretizzare. Da che cosa dipende? Difficile dirlo, questione di sicurezza di sé, di fortuna spesso, di sostegno del gruppo. Intanto vogliamo che stia bene, perché quando è in condizione può fare davvero di tutto. Io dico che deve solo crederci e allora vincerà e non sporadicamente, io sono pronto a scommetterci…

Van Garderen: «L’addio di Bettiol? Inatteso, ma restiamo amici»

11.10.2024
4 min
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KUALA LUMPUR (Malesia) – Fare dieci stagioni in un team non è cosa comune nel ciclismo attuale. Ed è quello che Alberto Bettiol ha fatto con la  EF Education-Easypost, prima di passare all’Astana-Qazaqstan a metà agosto. Un passaggio rapido, che ha stupito molti.

E’ chiaro che le motivazioni economiche e la brama di punti da parte del team kazako abbiano inciso non poco in questo passaggio di maglia ad effetto immediato, ma ci sono anche gli aspetti motivazionali, di cui ci parlò Bettiol, il quale rimarcò il fatto che alla EF non si trovava affatto male.

Stavolta però abbiamo analizzato anche il punto di vista opposto, quello della sua ex squadra. E lo abbiamo fatto con il il direttore sportivo Tejay Van Garderen. Un diesse giovane, classe 1988, che con Bettiol ha condiviso un bel pezzetto della sua carriera.

Tejay Van Garderen durante una riunione con i suoi ragazzi al Tour de Langkawi
Tejay Van Garderen durante una riunione con i suoi ragazzi al Tour de Langkawi
Tejay, secondo te cosa lo ha spinto a lasciare la squadra?

Onestamente sono rimasto piuttosto sorpreso. Voglio dire, ho corso con lui e sono stato anche suo compagno di squadra alla Bmc in quella stagione 2018 e da tre anni avevo il piacere di dirigerlo. Dunque quando ho sentito la notizia sono rimasto un po’ così. Non sapevo…

L’Astana si sta muovendo molto sul mercato: vuole restare nel WorldTour…

Sinceramente questo è qualcosa di cui non mi occupo molto. E’ più un aspetto che riguarda Jonathan (Vaughters, il team manager della EF, ndr), l’Astana e Bettiol. Immagino che Alberto abbia fatto ciò che è meglio per lui. E Jonathan ha fatto ciò che è meglio per la squadra.

Cosa ha rappresentato per la tua squadra Bettiol?

Apprezzeremo sempre i risultati che ha portato al team, l’esperienza e la leadership che ha portato agli altri ragazzi e per questo gli auguriamo solo il meglio dove andrà.

Bettiol ha ottenuto 8 vittorie in carriera e tutte nel gruppo di Vaughters, l’ultima il tricolore lo scorso giugno
Bettiol ha ottenuto 8 vittorie in carriera e tutte nel gruppo di Vaughters, l’ultima il tricolore lo scorso giugno
E per te, visto che ci hai corso anche insieme?

E’ un grande campione, quel Giro delle Fiandre tutti lo ricordano, ma come compagno di squadra, è sempre stato il migliore che si potesse chiedere. Era sempre felice ed era bello lavorare per lui. Per me era un ottimo regista, qualcuno a cui potevi chiedere consiglio perché sapeva vedere la gara e a capire come sarebbe andata. Insomma tatticamente è molto intelligente…

In corsa si faceva sentire?

Da direttore sportivo sapevo di poter sempre fare affidamento su di lui, anche solo nella stanza per fargli delle domande o nelle riunioni del team. Sapevo che Alberto avrebbe parlato ed esposto la sua prospettiva. Era una sorta di coperta di sicurezza.

Quindi avevate un buon rapporto anche come direttore e corridore?

Assolutamente sì. Un buon rapporto, come detto, sia come compagni di squadra che come diesse e atleta. Quando correvamo insieme ci si poteva prendere semplicemente un bicchiere di vino da buoni amici… Cosa che farò anche adesso che è in una squadra diversa!

Oltre ad Asgreen (contratto di un anno), uno dei sostituti di Bettiol potrebbe essere Battistella (in foto) in una sorta di scambio tra EF e Astana
Oltre ad Asgreen (contratto di un anno), uno dei sostituti di Bettiol potrebbe essere Battistella (in foto) in una sorta di scambio tra EF e Astana
Cosa succede adesso quando lo vedi con un’altra maglia?

E’ già successo in Canada. Un giorno mi sono seduto al suo tavolo da pranzo. Alberto era con il resto dei suoi compagni di squadra. Volevo salutarlo, alla fine dopo che se ne era andato non ci eravamo visti e volevo, come dire: recuperare il ritardo. Volevo dargli un abbraccio e dirgli che alla fine non c’era niente di strano. Che era semplicemente un business. 

Chiaro…

Fa parte del lavoro. Tante persone, atleti, direttori, staff, hanno cambiato squadra o si sono ritirate, ma siamo rimasti amici. 

La EF Education ora prenderà un altro corridore come Bettiol?

Sì. Penso che proveremo a rafforzare la nostra squadra per le classiche. Come ho detto prima riguardo a certe questioni, non so tutto. Io non ho a che fare con i contratti, ci pensa Vaughters. Il mio lavoro è dirigere i corridori, ma immagino che a breve uscirà qualche news.

La nuova vita di Bettiol all’Astana, iniziata a Ferragosto

04.09.2024
7 min
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Più che il cambio della bici, racconta Bettiol, la parte più originale è stato il cambio delle tacchette. Alla Ef Education usava le Speedplay, alla Astana le Shimano. Non è semplice dopo sei anni passare fra due sistemi così diversi.

«E a quel punto – sorride Alberto – ho chiesto un intervento di emergenza ad Alessandro Mariano, che era in barca a vela all’isola d’Elba. Così ho dato le scarpe a Gabriele Balducci, che era venuto a trovarmi a Livigno per qualche giorno. Le ha portate in Toscana. E’ andato a Piombino. Ha chiamato un suo amico col gommone e le hanno portate all’Isola d’Elba: ho la foto che lo testimonia, ho anche il video. Alessandro ha montato le scarpe sulla barca a vela mentre gli altri due facevano un bagno. Gliele ha ridate. E a quel punto poi, Gabriele le ha date al mio amico Andrea che veniva a Livigno a fare cinque giorni di vacanza. Lui me le ha portate e io le ho provate».

Se non è un film, poco ci manca. Bettiol è per qualche giorno in Toscana e se i giorni in bici non gli sembrano troppo diversi è solo perché i colori della maglia tutto sommato sono rimasti gli stessi. Era tricolore quella della EF Education che ha indossato fino al 14 agosto ed è tricolore quella di adesso, su cui tuttavia c’è scritto Astana. Che qualcosa bollisse in pentola ce lo aveva fatto capire l’8 agosto proprio Gabriele Balducci, da sempre suo mentore e amico comune. In partenza per Livigno con la Mastromarco, si era sentito dire da Alberto di grosse novità in arrivo, ma nessuno avrebbe immaginato che avrebbe cambiato squadra nel bel mezzo dell’estate.

Sembra passato un secolo, sono appena due mesi. Bettiol vittorioso al tricolore con la sua SuperSix Evo LAB71
Sembra passato un secolo, sono appena due mesi. Bettiol vittorioso al tricolore con la sua SuperSix Evo LAB71
Che cosa è successo nell’estate?

Così alla svelta, neanche noi ce l’aspettavamo. E’ andato tutto molto veloce. Io ero in vacanza quando abbiamo preso questa decisione, quindi anche Gabriele non sapeva niente. Avevamo parlato un po’, è da un annetto buono che parliamo. Però si ragionava comunque sempre del 2025, finché Vinokourov ha chiesto la possibilità di avermi subito e Giuseppe (Acquadro, il suo manager, ndr) ha trovato subito le porte aperte da parte di Vaughters, perché comunque non è facile soprattutto dal punto di vista burocratico. C’è da fare un sacco di richieste in modo molto rapido, perché l’UCI ti dà dei tempi molto stretti e se non li rispetti, non puoi fare niente. Quindi devo ringraziare la EF, perché avrebbero avuto tutto il diritto di aspettare. E poi l’Astana ha fatto un grande lavoro. Insomma, io ero in vacanza: hanno fatto tutto loro.

Com’è stato andare a dormire con una squadra e risvegliarsi il giorno dopo con l’altra?

E’ una cosa che adesso, a questa età e in questo periodo della mia vita, in cui insomma sono un po’ più consapevole di quello che voglio, non mi ha creato grossi problemi. Se mi fosse successo qualche anno fa, in cui ancora avevo da assestarmi bene, magari l’avrei patito. Da un punto di vista di atteggiamento mentale, non mi ha smosso per niente. E’ anche vero che l’Astana è una squadra kazaka, ma ci sono tantissimi italiani e tanti che conoscevo già. Quindi alla fine il passaggio non è stato brusco, come magari andare in una squadra dove non conoscevo nessuno. Per il resto, mi è cambiato poco. Avevo già programmato di andare a Livigno per tre settimane e sarei stato da solo. L’idea di andare al Renewi Tour è venuta fuori durante questo ritiro, non era programmata e voi sapete quanto mi dessero fastidio un tempo le cose non programmate…

Bettiol accanto a Van der Poel: entrambi in rotta sui mondiali di Zurigo
Bettiol accanto a Van der Poel: entrambi in rotta sui mondiali di Zurigo
Quindi hai tenuto lo stesso calendario?

Ho fatto una settimana in meno a Livigno, che forse è stato anche meglio. Ero andato su dopo le Olimpiadi perché comunque sarei andato alle gare in Canada e poi eventualmente al mondiale, quindi io avevo bisogno di recuperare e allenarmi. Insomma sembra un cambio radicale e in parte lo è stato, però è stato facile da gestire, mettiamola così.

Delle scarpe ci hai detto, per la bici e l’abbigliamento?

Anche questo è stato tutto improvvisato e devo ringraziare l’Astana per l’impegno che ci hanno messo. Per l’abbigliamento il loro referente è Bruno Cenghialta e ci siamo trovati a metà strada tra la Toscana e Livigno, perché io tornavo dalle vacanze e stavo andando su. Abbiamo provato l’abbigliamento e abbiamo fatto anche due foto per il comunicato stampa. Quanto alla bici, Michele Pallini che era a Parigi con noi aveva tenuto a casa quella con cui avevo corso le Olimpiadi, per cui ha preso le misure in videochiamata con il meccanico Tosello. Lui ha sistemato la Wilier e alla fine l’ha data a Panseri, altro meccanico italiano che me l’ha portata a Livigno.

Decimo nella crono di Tessenderlo al Renewi Tour, Bettiol deve trovare confidenza con i nuovi materiali
Decimo nella crono di Tessenderlo al Renewi Tour, Bettiol deve trovare confidenza con i nuovi materiali
In tempi non sospetti, forse proprio al mondiale di Wollongong, dicesti che ti trovi bene in nazionale perché ti ricorda l’ambiente della Liquigas. L’Astana non è la Liquigas, però ci sono davvero tanti italiani. Può essere un fattore importante?

Sì, è un ambiente familiare. C’è Michele Pallini, c’è il dottor Magni, tante figure che già conoscevo proprio dalla Liquigas. Ci sono i meccanici Borselli e Panseri. Poi gli atleti, che conosco benissimo. Velasco e Ballerini. Con Ballero siamo vicini di casa a Lugano e ci alleniamo spesso insieme, quindi cambia veramente poco. E’ un ambiente in cui mi sono trovato bene, almeno in questa settimana e scommetto ancora di più l’anno prossimo. Adesso è un po’ tutto improvvisato, anche come metodologie. Quelle loro sono un po’ diverse dalla EF, per cui per ora si tratta di adattarsi l’uno agli altri. La bicicletta, le tacchette, ma anche la nutrizione, l’integrazione, le barrette. Ci sono tante cose diverse. Però l’ambiente è bello, c’è tanta voglia di migliorare e quindi l’anno prossimo sono ottimista che faremo belle cose.

Perché cambiare?

Io avevo ancora due anni di contratto e sarei stato anche lì, non ho cambiato perché stavo male alla EF o perché mi mancassero gli stimoli. E’ solo che mi si è presentata questa occasione, mentre prima erano solo parole. Quando sono passati ai fatti, ho fatto le mie valutazioni. E se un corridore come Diego Ulissi, che ha fatto più anni di me nella stessa squadra, ha deciso di cambiare, allora poteva andare bene anche a me. Avevo visto che c’è tanto potenziale ed erano un po’ di anni che anch’io riflettevo sul fatto di rimanere nella stessa squadra  e sui pro e i contro di cambiare. Rischi di rimanere seduto, di veder attutire gli stimoli. Ho il mio piccolo staff che mi supporta sempre, indipendentemente dal colore della maglia, però anche trovare un ambiente nuovo può essere uno stimolo. Ma non volevo cambiare perché stavo male.

Fianco a fianco con Evenepoel, reduci dal Tour e dalle Olimpiadi, ovviamente con esiti diversi
Fianco a fianco con Evenepoel, reduci dal Tour e dalle Olimpiadi, maovviamente con esiti diversi
Come è stato il dopo Olimpiadi? Evenepoel ha raccontato di grosse difficoltà a recuperare…

Ho recuperato bene, semmai ho vissuto un periodo di spossatezza durante il Tour, soprattutto la seconda settimana quando ho avuto un calo di forma. A Parigi non ho stravinto l’Olimpiade come Remco, ma comunque ero lì davanti a giocarmi la top 10, non è che sono andato piano. Quando sono tornato a casa, ho staccato una settimana poi però a Livigno ho trovato subito delle belle sensazioni. Mi sono allenato veramente bene e infatti si è visto al Renewi Tour. Era una corsa a tappe che richiedeva degli sforzi opposti a quello che ho fatto a Livigno. Lassù si parlava di salite lunghe e tante ore in bici a bassa intensità. Invece il Renewi era tutto scatti e strappi corti su cui sono andato bene, quindi vuol dire che il mio fisico aveva recuperato e sono contento. E’ chiaro che non si possa fare il paragone con Remco. Lui è partito dal Delfinato, ha corso il Tour per fare la classifica, poi ha tirato dritto. Ero nel suo stesso hotel a fine aprile a Sierra Nevada, lo vedevo lavorare ed erano bello concentrati.

In Astana conosci i corridori, forse un po’ meno staff e tecnici?

Non è stato un salto nel vuoto, perché già in Belgio i compagni hanno lavorato per me. Mi sono scoperto ben allineato con Zanini in ammiraglia e anche per lui è stato un piccolo passettino per capire come andremo in Belgio il prossimo anno, anche per i materiali. I meccanici hanno cominciato a capire come mi piace fare le cose. Michele Pallini ormai mi conosce da tanto, con tutti i mondiali e le due Olimpiadi che ho fatto con lui. Poi quando veniva a Lugano, spesso Vincenzo (Nibali, ndr) mi chiamava per sapere se volevo fare anch’io un massaggio con lui. Ci si conosce da tanto. Invece meccanici e direttori no. Anche Bruno Cenghialta, Giuseppe Martinelli… Sono tutte facce che conoscevo, ma non ci avevo mai lavorato insieme. Però siamo un bel gruppo, anche a Lugano con Ulissi e Ballerini. La EF è stata un bel periodo della mia vita. Staremo a vedere, spero di aver fatto la scelta giusta. Per ora ne sono molto convinto.

Dov’erano gli azzurri? Ritorno a Parigi con il cittì Bennati

14.08.2024
7 min
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Parigi è un boccone che piano piano è andato giù. Bennati lo ha masticato a fatica, ripassando le scelte, le parole, gli impegni e la gara. E poi, dovendo partire alla svelta per un sopralluogo sul percorso degli europei, ha voltato la pagina. E’ innegabile che la corsa su strada degli azzurri alle Olimpiadi sia stata un buco nell’acqua, in cui la figura migliore l’ha fatta colui che meno c’entrava. Con quella fuga, Viviani se non altro ha mostrato al mondo che a Parigi c’era anche l’Italia.

Se avesse potuto aspettare la fine del Tour, Bennati avrebbe portato corridori in palla come Moscon?
Se avesse potuto aspettare la fine del Tour, Bennati avrebbe portato corridori in palla come Moscon?

Prestazione opaca

Il fatto che corressimo in tre discende direttamente dai risultati e i nostri (pochi) risultati nelle classiche hanno indicato i nomi di Bettiol e Mozzato. Se anche avessimo corso in cinque, probabilmente il risultato non sarebbe stato migliore. Ma altrettanto probabilmente, se si fosse potuta dare la squadra dopo il Tour, ci sarebbe stato margine per altre valutazioni. La tagliola del 5 luglio ha impedito di fare diversamente.

«I ragazzi stavano bene – spiega Daniele – apparentemente le cose andavano per il verso giusto. Poi la gara è andata come è andata, è inutile girarci attorno e io mi devo prendere la responsabilità, anche se rifarei le stesse scelte. Non parlo del piazzamento, ma della prestazione al di sotto delle nostre possibilità. Ho sempre detto che, a parte Evenepoel che in questo momento sarebbe sbagliato guardare, non vedo fenomeni nell’ordine di arrivo dal secondo al decimo. Dovevamo fare assolutamente meglio a livello di prestazione. Nei due mondiali che ho fatto, sia in Australia sia a Glasgow, sono sempre tornato a casa col sorriso, perché abbiamo fatto molto bene dal punto di vista della prestazione. In qualche modo abbiamo fatto divertire gli appassionati, cosa che in queste Olimpiadi non è successa».

Fino all’inizio dell’ultimo giro, Bettiol era nel gruppo alle spalle di Evenepoel e Madouas
Fino all’inizio dell’ultimo giro, Bettiol era nel gruppo alle spalle di Evenepoel e Madouas

L’avvicinamento non è stato semplice. A causa del calendario varato dal CIO con il benestare dell’UCI, non si sono potuti coinvolgere Ganna né Milan nella prova su strada. Poi, per le nuove quote della pista, il solo modo perché potesse correre l’omnium e poi la madison era che Viviani venisse convocato per la gara su strada. La decisione è stata presa e non avrebbe avuto senso mettersi di traverso.

Partiamo proprio da Elia.

Come ho detto fin dall’inizio, essendo il responsabile del settore strada professionisti, sul momento non ci sono rimasto bene. Però poi, ragionando a mente fredda, ho capito che fosse una cosa necessaria. E’ sotto gli occhi di tutti il fatto che in questo momento su strada facciamo più fatica che in pista. Va dato atto che siamo una delle Nazioni di riferimento nella pista e nelle crono, per cui si è scelto di dare la possibilità a Elia di fare le sue specialità. A un corridore come lui, bisogna stendere tutti il tappeto rosso per quello che è riuscito a dare in termini di visibilità. La pista è riuscita ad arrivare a questi livelli soprattutto grazie a lui che ci ha sempre creduto e ovviamente anche a Marco Villa.

E alla fine la mossa è stata azzeccata, vista la medaglia d’argento.

Sulle sue potenzialità e la possibilità di fare risultato non ho mai avuto dubbi. Sapevo però che Elia non avrebbe fatto un calendario mirato per la prova su strada, perché con la squadra non stava facendo l’attività più consona. Ovviamente qualcuno che sognava quel posto può esserci rimasto male. Penso che qualsiasi atleta abbia l’obiettivo e il sogno di partecipare a un’Olimpiade, ma non tutti alla fine riescono ad andarci.

Si sapeva da tempo che avreste corso in tre.

Ho iniziato a parlare di Parigi da dicembre del 2023 e una decina di atleti ha effettuato le visite a Roma. Ho indicato i più adatti a quel percorso, senza conoscere le dinamiche che si sarebbero create. Poi, a inizio stagione, ho detto a tutti che nessuno avrebbe avuto in mano la certezza di essere convocato, ma speravo che mi mettessero in difficoltà con i loro risultati di inizio stagione, delle classiche e del Giro. Nel caso specifico, Bettiol fino al Tour ha fatto una stagione molto significativa, con una continuità importante. E’ andato forte alla Sanremo e anche al Fiandre, dove è stato riassorbito nel finale. E proprio al Fiandre è arrivato con Mozzato il solo podio italiano in una gara monumento del 2024. Per cui la scelta è caduta su loro due. Avevano raggiunto risultati importanti e credo che un’Olimpiade si possa conquistare anche e soprattutto attraverso i risultati.

Hai dovuto dare i nomi il 5 luglio.

Credo l’ultima Nazione sia stata la Francia, che li ha dati l’8 di luglio. Poi ovviamente ti devi affidare alla buona sorte e alla parola dei corridori, che si impegnano ad arrivare pronti all’appuntamento. Ci siamo sentiti. Abbiamo parlato con i loro preparatori. Hanno avuto la massima fiducia. La crono ci aveva mostrato un Bettiol in ripresa. Dopo aver vinto l’italiano è andato al Tour, ha fatto una settimana discreta e poi si è ritirato per preparare la cronometro. Semmai, se qualcuno avesse sentito di non essere al meglio, avrebbe potuto fare un passo indietro. Ma erano entrambi certi di stare bene.

Come è stato il tuo approccio con Viviani?

Ci siamo sentiti spesso. Il suo ruolo era determinante e devo dire che ha confermato la sua professionalità. Il fatto che sia entrato in quell’azione è stata una decisione presa al momento da lui stesso, perché non c’erano le radio. L’obiettivo era che arrivasse a Parigi per dare il supporto agli altri due, poi ha deciso di inserirsi in questa azione che alla fine è risultata positiva per lui e anche per noi.

La fuga di Viviani è stata una sua iniziativa che ha tenuto gli altri due azzurri al coperto
La fuga di Viviani è stata una sua iniziativa che ha tenuto gli altri due azzurri al coperto
Come è stato veder scorrere via un’Olimpiade senza poterci mettere mano?

Purtroppo correre senza radio è molto limitante. E’ frustrante non avere la possibilità di fare nulla. Quando sei in macchina, non hai contatto diretto con gli atleti. Quindi stai lì, guardi la corsa nel tablet e ascolti radio corsa, ma a a livello tattico non puoi fare quasi nulla. Ovviamente diventa più semplice per il mio collega belga, che ha un corridore come Evenepoel che stacca tutti (sorride, ndr).

Non sei riuscito ad avere alcun tipo di contatto con Bettiol e Mozzato?

Li abbiamo visti un paio di volte. Sono venuti alla macchina per prendere acqua e Alberto all’ultimo giro non era fuori corsa. C’erano ancora Evenepoel e Madouas e dietro era ancora tutto in gioco. Però quando è venuto alla macchina, obiettivamente non era l’Alberto dei giorni migliori. Quindi ho capito che la faccenda si faceva abbastanza complicata. Ovviamente Luca a quel punto era già più dietro.

Si è detto che con 89 corridori e 272 chilometri sarebbe venuta una corsa pazza, invece è stata molto più lineare.

E’ vero, però analizzandola bene, al 180° chilometro prima di entrare a Parigi, c’era il terreno per attaccare. Un po’ di azioni ci sono state e pensavamo che si potesse fare più differenza. Il Belgio ha provato a muovere la corsa già da lì, anche Van der Poel scalpitava, però era anche ancora lungo arrivare a Parigi. Poi Van Aert ha corso solo ed esclusivamente su Van der Poel e, così facendo, ha aperto una grande possibilità per Remco.

Sei riuscito a parlare con i corridori dopo la corsa, almeno per quello che si può dire?

Dopo la corsa non ci siamo detti nulla, ma la sera dopo cena ho voluto parlare con loro. Gli ho detto che non potevamo tornare a casa soddisfatti, tutt’altro. Mi hanno detto di aver fatto il massimo e io ci credo. Non penso che si siano tirati indietro perché non avessero voglia di far fatica. È stata una giornata negativa dal punto di vista prestazionale e sicuramente si sono ritrovati con poche energie o con energie non sufficienti per fare una gara più dignitosa. Tanto altro da dire al momento non c’è. Voglio che andiamo agli europei e al mondiale con la voglia di riprenderci il nostro posto. E se ci saranno altre cose da dire, le tirerò fuori con loro a fine stagione. Per adesso va bene così.

Mozzato a testa alta, per convinzione e per orgoglio

03.08.2024
4 min
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VERSAILLES (FRANCIA) – La sua convocazione ha fatto discutere. D’altra parte, se i posti sono solo tre, è abbastanza facile immaginare che ciò possa accadere. Chi ha storto la bocca lo ha fatto per via di un Tour de France anonimo. Ma Luca Mozzato ha tutte le caratteristiche per potersi rendere utile, se non addirittura per essere protagonista, in una gara in linea come quella che si presenta a Parigi con in palio l’oro olimpico (in apertura, un’immagine Instagram lo ritrae con la sua nuova Bianchi Oltre).

Lo ha dimostrato al Giro delle Fiandre, arrivando dietro Mathieu Van der Poel. Lui è sereno e pronto a giocarsi le sue carte. «Sto bene, sono pronto – dice con sicurezza – ho fatto un buon avvicinamento. Sono consapevole che al Tour de France non sono stato presente come avrei dovuto, ma è anche vero che dovevo non prendere rischi per non arrivare cotto a questo appuntamento. Sono fiducioso, emozionato e proverò a far bene».

I ragazzi di Bennati (sulla destra): Alberto Bettiol, Luca Mozzato, Elia Viviani
I ragazzi di Bennati (sulla destra): Alberto Bettiol, Luca Mozzato, Elia Viviani
Sarà una corsa diversa dalle altre.

Sarà strano essere in tre. Noi professionisti siamo abituati ad avere corse gestite dalle grandi squadre dal primo chilometro fino alla linea del traguardo. Trovarsi in tre o in quattro, per le squadre più numerose, senza radio, sarà una incognita per tutti. Dipenderà naturalmente da come vorranno correre le grandi squadre. Se tutti vorranno mettere qualcuno davanti, potrà venire fuori una corsa pazza. Se invece qualcuno la prenderà in mano nelle prime ore avremo la parvenza di una corsa classica, ma non sarà facile.

Che tipo di gara ti aspetti?

Vedremo come sarà in corsa. E’ strano, è diverso. E’ una incognita un po’ per tutti. Di sicuro sappiamo che ci sono alcuni corridori che possono attaccare quando vogliono. Sono pochi, ma sono loro: Evenepoel, Pedersen, Van Aert e Van der Poel. I favoriti sono loro e faranno una corsa diversa dagli altri. Credo che la loro intenzione sia di isolarsi il più possibile, il prima possibile. E poi giocarsi le rispettive carte tra di loro. Per tutti gli altri sarà una incognita e bisognerà vedere che situazioni si presenteranno. E quindi magari entrare nel loro gioco tattico e romperlo.

A Parigi anche i meccanici Campanella (a destra) e Foccoli: rispettivamente Lidl-Trek e Ineos
A Parigi anche i meccanici Campanella (a destra) e Foccoli: rispettivamente Lidl-Trek e Ineos
Una lotta tra loro quattro potrebbe creare spazi all’improvviso per altri?

Quella è la speranza. Ultimamente il trend non è tanto quello di controllarsi tra loro, anzi, spesso collaborano per rimanere da soli. Ma noi dobbiamo cercare una situazione favorevole per giocarci le nostre carte per una medaglia e, perché no, per vincere. Siamo qui per provarci, altrimenti saremo rimasti a casa.

Che cosa ne pensi del percorso?

Mi piace. E’ adatto alle mie caratteristiche. Non è molto duro. Se fosse una corsa normale, con tanti partenti e squadre organizzate, si parlerebbe di volata quasi sicura e di un gruppo nutrito. Così invece c’è un livello alto e un gruppo non numeroso. Sarà quindi una corsa più tattica. Bisognerà entrare nelle azioni nel momento giusto, perché siamo in pochi e quindi non si possono sprecare energie inutilmente battezzando azioni che non sono buone. Sarebbe come mettersi una palla al piede.

Nel pomeriggio di ieri, l’hotel della nazionale ha aperto le porte ai media. Qui Mozzato (di spalle) con Francesco Pancani
Nel pomeriggio di ieri, l’hotel della nazionale ha aperto le porte ai media. Qui Mozzato (di spalle) con Francesco Pancani
Quale sarà il tuo ruolo?

Sentiremo Daniele che cosa ne pensa. Non abbiamo ancora fatto la riunione tecnica (l’intervista è stata realizzata ieri prima di cena, ndr). Siamo tutti d’accordo sul fatto che il nostro leader è Alberto e lavoreremo per lui. Elia ed io dovremo essere bravi a interpretare la corsa e a sfruttare le occasioni che ci capiteranno.

Non è un Grande Giro, non è una classica monumento, non è un mondiale. E’ l’Olimpiade. Senti qualcosa di diverso?

Per uno sportivo l’Olimpiade è una cosa diversa, è vero. Per il ciclismo è particolare rispetto ad altri sport, ma è una situazione che trascende da tutto. Siamo circondati da atleti di ogni sport, si respira la competizione vera da qualche settimana. Ogni giorno guardiamo i risultati di tutti gli altri ragazzi, tifiamo per gli italiani, apprezziamo gli stranieri. Si sente, si respira. E’ speciale. E’ bello esserci. E’ una cosa che ti spinge a dare il meglio di te stesso. E io questo chiedo a me stesso, questo mi chiedono i compagni di squadra e il commissario tecnico. Sono pronto, ho fiducia, vediamo come andrà.

Bettiol, parole chiare: «La corsa sarà una continua esplosione»

02.08.2024
5 min
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VERSAILLES (FRANCIA) – Tre è il numero delle Olimpiadi di Parigi. Il 3 agosto, domani, si tiene la prova in linea. Gli azzurri correranno in tre. E si corre per tre medaglie. Tutti concetti che ha ben presente la punta dell’Italia, Alberto Bettiol. Un talento che sa farsi valere nelle gare in linea e a cui forse è sempre mancato il grande colpo.

Chissà che non possa essere proprio a Parigi, in una gara che può essere imprevedibile. Tutti parlano di Evenepoel, già campione a cronometro, Van Aert, Pedersen e Van der Poel. Ma se ci dovesse essere spazio per inserirsi, e magari in una situazione del genere c’è, Alberto Bettiol è pronto.

Il toscano ha disputato una discreta cronometro a Parigi: 18° a 1’54” da Evenepoel
Il toscano ha disputato una discreta cronometro a Parigi: 18° a 1’54” da Evenepoel
Com’è fare il capitano di una squadra composta da tre persone?

E’ strano. Sono le Olimpiadi, è una gara diversa dalle altre. Sarà così per tutti, per cui bisogna adattarsi e farsi forza con ciò che si ha. Ci siamo immaginati come possa andare, ma è talmente incerta che bisogna essere flessibili mentalmente. Ci sono squadre da tre corridori, otto Nazioni ne hanno quattro, qualcuna uno. Difficile fare tatticismi. Quando la corsa esploderà, non smetterà più di esplodere. Sarà dura, anche se altimetricamente non lo è, ma è diversa da tutte le altre. Bisogna prenderla per quella che è e pensare che in Italia ci sono più di duecento professionisti e qui siamo in tre a rappresentarli. Io, Luca ed Elia siamo fieri di esserci. Faremo la nostra corsa cercando di stare uniti e di muoverci bene.

Avete già individuato la strategia?

Non abbiamo le radio, siamo in pochi, bisogna essere sempre vigili. Conterà preservare le energie, ma di sicuro non si può pensare di rimanere coperti. Se rimani dietro, nessuno tira per rientrare. Bisogna stare sempre davanti. Sarà una corsa lunga, magari anche più di sei ore. E un percorso come questo lo senti negli ultimi 30 o 40 chilometri, perché lì si sente la stanchezza. Non c’è un punto chiave che si possa individuare, non è come una Sanremo dove sai che il Poggio è decisivo. Ogni momento può essere quello giusto, bisogna essere pronti e magari anche un po’ fortunati. Non è solo questione di forza, anche di istinto e di intuizione. Ma questo ci deve far ben sperare. 

Oggi si è tenuto un incontro con la stampa nella zona di Versailles, dove risiedono gli azzurri del ciclismo. Bettiol ha parlato con chiarezza
Oggi si è tenuto un incontro con la stampa nella zona di Versailles, dove risiedono gli azzurri del ciclismo. Bettiol ha parlato con chiarezza

Che tipo di gara ti auguri?

Noi vogliamo una corsa dura. Luca ha fatto il Tour, è preparato. Elia ha lavorato tanto anche sulla pista, è pronto. Io devo stare insieme ai corridori con le mie caratteristiche, non vorrei trovarmi all’arrivo con uno più veloce di me. Devo anticiparlo. E poi qui si lotta per una medaglia, non solo per il primo posto. Bisogna tenerne conto, è una gara diversa.

Hai già provato una gara olimpica e non è andata benissimo.

A Tokyo potevo fare di più, mi è venuto un crampo e l’ho pagato. Certo, con un terzetto come quello, con Carapaz, van Aert e Pogacar, era difficile pensare al podio. Avevo un problema fisico, poi l’ho risolto. Mi è servita per abituarmi al clima olimpico. Non è tutto bello, ci sono anche le controindicazioni. Mi riferisco a quando devi muoverti per andare a Parigi, o per arrivare in albergo, devi portarti sempre il pass, sei scortato, ci sono tanti protocolli da seguire. Non puoi fare come vuoi. Insomma, ti devi adattare. 

Per Bettiol (a destra) un selfie sotto la Torre Eiffel a Cinque Cerchi con Viviani e Mozzato che correrano con lui la prova di domani (immagine Instagram – FCI)
Per Bettiol (a destra) un selfie sotto la Torre Eiffel a Cinque Cerchi con Viviani e Mozzato che correrano con lui la prova di domani (immagine Instagram – FCI)
La condizione com’è?

La preparazione è andata bene. Mi sono ritirato dal Tour perché ho percepito che sarebbe stato troppo, per questo ho evitato la parte più dura. L’appuntamento più importante è l’Olimpiade e ho pensato solo a questa gara di Parigi. Mi sono allenato insieme alle ragazze, ho provato il percorso, mi sento bene. Negli ultimi due giorni sono arrivati anche Luca ed Elia e siamo pronti a farci valere. 

L’approccio a una gara del genere è diverso?

Io affronto ogni gara allo stesso modo. La preparo alla stessa maniera, mi alimento allo stesso modo, cerco sempre di ottenere il massimo. Ma non c’è niente da fare, l’Olimpiade è un’altra cosa. Lo percepisci chiaramente. Non rappresenti il ciclismo italiano come può essere ai mondiali o agli europei. Lottiamo tutti per una medaglia che è per tutti uguale, per il ciclismo, per la scherma, per il basket, per il ping-pong. Rappresenti tutto lo sport italiano. Qui non siamo ciclisti, siamo atleti olimpici. E’ una grande responsabilità e una cosa molto bella. Dobbiamo esserne orgogliosi. 

Hai mai sognato la medaglia olimpica?

E’ una cosa difficile anche da sognare. E’ una cosa troppo grande. Come dicevo prima, non cambio il mio approccio alla gara. Quando smetterò magari mi renderò conto e saprò capire cosa ho combinato. Ora non ti fermi mai, già so che dopo questa gara avrò altri obiettivi e a fine carriera metterò tutto a fuoco. Di sicuro, però, se dovessi raccogliere una medaglia olimpica, saprei subito di aver fatto qualcosa di indimenticabile non solo per me, ma per tutto lo sport italiano. Perché l’Olimpiade è un’altra cosa. E forse questa può essere la nostra forza.

Bettini, un salto a Parigi. Ipotesi inquietanti e pronostico impossibile

31.07.2024
6 min
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Paolo Bettini da oggi è a Parigi come testimonial del made in Italy, in quanto ambassador di Manifattura Valcismon. Una toccata e fuga, poiché già domani sera sarà a casa. Pur essendo campione olimpico ed essendo stato tecnico della nazionale, non gli è toccato in sorte un accredito e così seguirà la gara di sabato in televisione. Ma che gara sarà quella olimpica, lunga 272 chilometri e con 89 corridori al via? Si può stravolgere il ciclismo per contenere il numero dei posti nel Villaggio Olimpico? C’è tutta una serie di domande che ci assillano durante questi Giochi dalle quote rimaneggiate, ma perché non sembrino le paranoie di chi scrive, abbiamo provato a sentire l’opinione di chi ne ha corse tre e una l’ha vinta. Paolo Bettini, appunto, cinquant’anni compiuti ad aprile: nono a Sydney, primo ad Atene, diciottesimo a Pechino.

Il CIO ha deciso per la riduzione del numero (anche) dei ciclisti, per ammettere altre discipline. Chi si è opposto?
Il CIO ha deciso per la riduzione del numero (anche) dei ciclisti, per ammettere altre discipline. Chi si è opposto?
Che effetto fa una gara di 272 chilometri con 90 corridori? Non è un po’ falsato il concetto di gara di ciclismo?

In effetti, mi sembra più una randonnée. Io ci sto per il chilometraggio lungo. Ad Atene 2004, il 14 di agosto con 42 gradi, mi ero quasi lamentato che fosse solo di 224 chilometri, abituato da buon cacciatore di classiche a vincere a su distanze di 250-260. Dissi che almeno avrebbero potuto farla di 240. Poi però scoprii una cosa che in realtà avevo già capito da giovane a Sydney, cioè che tenerla è un casino. Si correva in 5 per Nazione. Adesso cosa hanno fatto? La brillante idea è di ridurla addirittura a 4 come numero massimo di atleti per le Nazioni più rappresentative, per poi scendere a 3 come con l’Italia, poi 2 e poi gli isolati che correranno da soli. Se l’idea era di ridurre il numero per aprire a più Nazioni, perlomeno 130 corridori da portare alla partenza li avrei trovati. Partire in 90 per fare quel tipo di chilometraggio? Si salvi chi può…

Continua.

E’ un casino fare la riunione tecnica di come andrà la gara. E’ veramente una gara alla si salvi chi può. Se dopo 50 chilometri rimani con 30 corridori davanti e 60 dietro, che corsa viene fuori? Considerate che di 90, un bel mucchio di corridori va in crisi dopo 140 chilometri. Se la fai un po’ “garellosa”, dopo 140 chilometri rimani con 60 corridori. Ma se per disgrazia esce un po’ di sole, di quello parigino estivo vero, e corrono a 32 gradi, sarà una gara che possono finire 18 corridori. Poi è vero che a loro basta il podio per fare le medaglie, però come avete detto prima, si snatura il concetto di grande classica. Non è più un palcoscenico internazionale con la sfida tra grandi atleti. Va bene che qualcuno non è venuto, tipo Pogacar, ma quanti professionisti europei, americani, australiani non sono stati convocati perché le nazionali sono ridotte alla metà di quelle dei mondiali?

Nonostante i 224 chilometri di Atene 2004, Bettini si rese conto che la corsa fosse incontrollabile: si correva in 5
Nonostante i 224 chilometri di Atene 2004, Bettini si rese conto che la corsa fosse incontrollabile: si correva in 5
Ce ne sono fuori almeno altri 90 se non di più.

Okay, allora anziché ridurre a 4, perché non fare un numero massimo di 6 per squadra? E qui si capisce perché sono scesi a 4 senza aumentare il numero delle Nazioni. Perché così facendo, risparmiano posti nel Villaggio Olimpico. Lo scopo è questo. Meno gente da accreditare, meno gente da far girare, meno di tutto. Apertura però ad altre discipline. Pertanto se nel complesso al Villaggio Olimpico deve gravitare in due settimane un certo numero di persone, quello deve essere. E se uno sport ne porta troppe, io lo riduco.

Uno dei motivi per cui tolsero la 100 chilometri a squadre, inserendo la crono individuale…

Quello che mi dispiace è che non vorrei che in un futuro non troppo lontano, pensassero proprio di eliminare la prova su strada. Se continuano a ridurla così, mi sembra che non gli interessi nemmeno troppo. Il ciclismo viene bistrattato, basta guardare come hanno fatto il calendario olimpico. Se mi proponi una gara da 272 chilometri con 90 corridori, non è più una grande classica. E’ una gara olimpica, tutto il rispetto per chi vince ed entra a pieno titolo nell’Olimpo, però il discorso non mi torna.

Parigi ospiterà la gara dei pro’ su strada sabato prossimo: 272,2 km con i primi 225 in linea. 89 partenti.
Parigi ospiterà la gara dei pro’ su strada sabato prossimo: 272,2 km con i primi 225 in linea. 89 partenti.
Diciamo che tolta la maratona, il ciclismo è il solo sport che costringe a chiudere le strade. In fondo nel velodromo i corridori non danno fastidio a nessuno.

Esatto, esatto. Ma speriamo di no…

Tu che correvi un po’ alla Van der Poel, come avresti gestito una corsa del genere?

Con 225 chilometri prima di arrivare nel circuito, io spacco tutto prima di entrare a Parigi. Quando arrivo in città, voglio che siamo il meno possibile e poi con gli altri me la gioco nel circuito. E io sto fermo 225 chilometri, secondo voi? Questi sono ragazzi che non hanno paura di prendere vento. Evenepoel è abituato a partire lontano all’arrivo e farsela per conto suo. Van der Poel è uno abituato al ciclocross, dove si fa un’ora fuori soglia come pochi, figuratevi se ha paura a stare fuori 100 chilometri, cercando poi di vincere in volata. Sono fatti così. Quando entri in circuito, rischi veramente. Per questo io approfitterei della campagna francese che proprio pianura non è. Se poi, niente niente, tira un filo di vento… aiuto! Dopo 100 chilometri c’è uno sparpaglìo galattico. Altrimenti devi fare una gara come quella femminile, dove le più forti sanno che gli bastano gli ultimi 30 chilometri. Così vanno via col gruppetto delle migliori sempre appallato e poi negli ultimi 60 chilometri aprono il gas e fanno la corsa. Ma i professionisti non fanno così.

E poi c’è anche chi non ha interesse a fare la corsa di certi fenomeni.

Anche perché l’Italia, che sulla carta non ha grandi chance, magari sgancia prima Bettiol. E se non faccio muovere prima lui, allora faccio attaccare Viviani. Sennò che cosa è venuto a fare Elia? Gli faccio accendere la corsa, perché non credo che abbia la la gamba per chiudere un buco di 30 secondi su Evenepoel, se la corsa la accendono loro. Viviani è meglio trovarlo davanti, in un gruppetto di 7-8. Perché se arrivano Evenepoel e Van der Poel, magari anche con Bettiol, forse Elia là davanti mi serve a qualcosa. Sennò cosa fa?

Ai mondiali di Wollongong, dopo aver vinto la Vuelta, Evenepoel dimostrò di gradire gli attacchi da lontano
Ai mondiali di Wollongong, dopo aver vinto la Vuelta, Evenepoel dimostrò di gradire gli attacchi da lontano
Stare coperti forse non serve a molto…

Stai nascosto, ma non credo che si corra per arrivare tutti insieme. Le Nazioni cui interessa arrivare in fondo sono l’Olanda, il Belgio… La Spagna come corre? E la Francia? Alaphilippe se la gioca, ma deve anticipare. Lui e Bettiol dovrebbero fare coppia fissa, perché in questo momento storico sono simili per quello che vogliono e possono fare. La Spagna invece si butta e magari porta via Olanda e Belgio. Per questo dico che dopo 80 chilometri restano in 30 corridori.

Ti sarebbe piaciuto correre una gara così?

Eh, quella sarebbe la mia corsa (sorride, ndr). Quando c’era disordine, lo sapete, quando c’era disordine c’era Bettini! Anzi, quasi sempre la creavo. Mi ricordo nel 2008, pur di far gara dura, si fece partire Nibali su un ponte dell’autostrada tra Pechino e la Grande Muraglia (in apertura la partenza di quella gara, ndr). Però eravamo in cinque. Dietro c’eravamo io, il povero “Rebella”, Pellizotti e Bruseghin. Non andò male, perciò vediamo cosa faranno sabato che corrono in tre. Me la guardo per bene in televisione, così posso anche allenarmi. Il mio viaggio in Grecia per festeggiare i 50 anni e i 20 dall’oro olimpico, zitto zitto, arriva.

EDITORIALE / La sicurezza è un obiettivo, ma si agisca sulle cause

08.07.2024
6 min
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Ieri mattina il Tour de France si è fermato per rendere omaggio ad André Drege, scomparso in seguito a una caduta al Tour of Austria (in apertura la squadre del norvegese – Team Coop-Repsol – schierata al via dell’ultima tappa annullata). La statistica dei corridori morti in gara è un elenco impietoso di lapidi che fortunatamente negli ultimi anni si è andato assottigliando. Infatti, sebbene le immagini, i social e l’emotività che scatenano facciano sembrare che ci troviamo al centro di una strage, la situazione della sicurezza oggi è molto migliore rispetto a un tempo.

Scossi dall’emotività della giovane morte norvegese, negli ultimi giorni siamo tutti a chiederci che cosa si possa fare per cambiare il corso di questo destino. Si ipotizza di dotare i corridori di airbag o altre soluzioni tecniche. Se arriveranno, quando arriveranno e non stravolgeranno la pratica sportiva, saranno ben accette.

Non ci sono notizie sulla dinamica della caduta di Drege, ma si parla di problemi alla ruota posteriore. Aveva 25 anni
Non ci sono notizie sulla dinamica della caduta di Drege, ma si parla di problemi alla ruota posteriore. Aveva 25 anni

La chiarezza di Bettiol

Intervistato ieri su Rai 2 da Silvano Ploner alla partenza della nona tappa del Tour, Alberto Bettiol ha usato parole amare, ma di grandissimo buon senso.

«Purtroppo questo è uno sport pericoloso – ha detto il campione italiano – e dispiace tantissimo. Sono delle disgrazie, c’è poco da dire. Sul discorso sicurezza, lo dico sempre che fra gli sport non estremi, il ciclismo è il più estremo. Alla fine rischiamo la vita tutti i giorni, rischiamo la vita in allenamento e in gara. Io paradossalmente mi sento molto più sicuro al Tour de France che in allenamento, sinceramente, per la quantità di dottori, di ambulanze sempre al seguito, telecamere ovunque. Quindi in teoria in gara siamo abbastanza sicuri.

«Penso che in Austria sia stata una fatalità. Da quello che si è sentito, è andato dritto in una curva ed è accaduto rovinosamente. Cioè, cosa vuoi fare? Alla fine il ciclismo è questo, è duro da accettare, però non vedo quali siano gli accorgimenti che possiamo prendere. Non è che possiamo togliere le discese nel ciclismo, bisogna stare attenti. Non era in un gruppo, era da solo nella discesa del Grossglockner. Sono fatalità».

Serse Coppi, a sinistra, fratello di Fausto: morì al Giro del Piemonte del 1951 (foto CapoVelo)
Serse Coppi, a sinistra, fratello di Fausto: morì al Giro del Piemonte del 1951 (foto CapoVelo)

25 dal 1948 ad oggi

Nel solo 1904, quando si correva più in pista che su strada, morirono sette corridori in velodromo. Su strada persero un fratello i due grandissimi del ciclismo italiano. Giulio Bartali morì nella Targa Chiari del 1936, gara regionale toscana. Serse Coppi morì al Giro del Piemonte del 1951. Dal dopoguerra ad oggi, sono 60 i corridori che ci hanno lasciato per cadute, investimenti, arresti cardiaci o malori di ogni genere avuti in corsa. E’ una statistica che raggruppa anche dilettanti e corridori della mountain bike, altri rimasti vittime di cadute e altri di malori per ogni genere di motivo.

Restando in ambito professionistico, dal 1948 ad oggi, gli atleti scomparsi in gara per caduta o incidente sono 25. Nomi come Coppi, Fantini, Santisteban, Ravasio, Casartelli, Sanroma, Kivilev, Weylandt, Demoitie, Lambrecht, Mader e il recentissimo Drege suscitano ricordi in ognuno di noi. Ebbene, i numeri dicono che la mortalità dei professionisti in gara è di un corridore ogni tre anni. In proporzione muoiono molti più ciclisti in allenamento o nella vita quotidiana (197 nel 2023). Quello sì sarebbe un fronte cui dedicarsi con grande ardore, ma ciò non toglie la necessità di operarsi per la sicurezza di chi corre.

La morte di Senna diede forte impulso alla revisione di aspetti tecnici in F1 sul tema sicurezza (foto Getty Images)
La morte di Senna diede forte impulso alla revisione di aspetti tecnici in F1 sul tema sicurezza (foto Getty Images)

La sicurezza della Formula Uno

Una riflessione va fatta, affinché non sembri che si voglia guardare dall’altra parte. La Formula Uno negli anni è intervenuta in modo drastico sulle normative tecniche. I fattori di rischio sono stati ridotti, con una netta accelerazione dopo la morte di Senna quanto a dispositivi di protezione e sicurezza. Ma già prima erano state eliminate le minigonne. Eliminato l’effetto suolo. Fatti interventi sulla misura delle gomme, sui propulsori e sulla misura delle ali. Chiaramente, essendo uno sport che si svolge in circuito, è stato possibile intervenire anche sui percorsi. In più i piloti sono stati dotati di dispositivi di sicurezza personali che non devono certo trasportare con la forza delle loro gambe. Sarebbe curioso uno studio che metta in relazione la velocità e l’esposizione fisica al rischio di un pilota così protetto rispetto a un ciclista.

Nel ciclismo servì la morte di Kivilev nel 2003 per imporre l’uso del casco, ma poco si può fare sui percorsi. E’ impossibile eliminare discese e curve, anche se la nascita di SafeR dovrebbe servire proprio per valutare le scelte troppo incaute. Si possono scegliere le strade con più attenzione. Si possono evitare i passaggi inutilmente pericolosi. Ma come immaginare di eliminare la discesa del Galibier in cui Pogacar e Pidcock nel 2022 dipinsero quelle traiettorie al limite? Non si può snaturare lo sport. E non si può neppure pretendere di correre in autostrada, se le statali sono strette per le velocità attuali. E forse il tema è proprio questo: le velocità attuali, le strade di sempre e il loro rapporto con la sicurezza degli atleti.

Questa la discesa capolavoro di Pidcock dal Galibier nel 2022
Questa la discesa capolavoro di Pidcock dal Galibier nel 2022

Intervenire sui materiali

Le case produttrici spingono verso performance pazzesche, ma come recita lo slogan: la potenza senza il controllo è nulla. Allora, non potendo arrestare la fisiologia degli atleti, si può forse intervenire sulle biciclette? Tutti i corridori di ieri che abbiano usato una bici da gara attuale concordano col fatto che sia estremamente più facile guadagnare velocità, da chiedersi come facessero ai loro tempi ad andare ugualmente forte. Avevano telai in acciaio e geometrie meno estreme, ma per questo più stabili (guarda caso, come Pidcock!). I cerchi bassi e gomme più strette. Oggi che abbiamo conoscenze e materiali che potrebbero rendere più sicura la guida estrema, forse dovremmo renderci conto che trasformare le biciclette in missili da gara in alcuni frangenti compromette la sicurezza del corridore.

Le strade negli anni sono rimaste le stesse, le velocità sono aumentate a dismisura: è chiaro che le criticità aumentino. E allora perché ad esempio nei tapponi alpini non vietare l’uso di ruote ad alto profilo, mantenendo però le gomme più larghe e i freni a disco? Oppure, mantenendo le ruote alte, perché non rendere obbligatorio il passaggio a gomme da 32 con cui aumenta la superficie di contatto con l’asfalto? Se è stato possibile costringere le case automobilistiche a ridisegnare le Formula Uno, quali argomenti potrebbero opporre le aziende che producono “semplici” bici?

Alla partenza della tappa di ieri, tutto lo sgomento sul volto del norvegese Kristoff
Alla partenza della tappa di ieri, tutto lo sgomento sul volto del norvegese Kristoff

Non è a nostro avviso mettendo uno zaino con l’airbag che si risolve il problema della sicurezza, ma sia benvenuto se non peserà due chili e sarà compatibile con il semplice pedalare. E visto che non è possibile intervenire sul buon senso dei corridori e la loro capacità di rallentare, allora forse può avere un senso ridurre i dispositivi grazie ai quali la velocità si moltiplica. Tutto ciò detto, scordiamoci che uno sport che si disputa su due ruote possa diventare stabile o esente da pericoli. Battersi perché lo diventi significa cambiare la sua natura.

P.S. La causa della caduta di Drege potrebbe essere in una foratura e l’impiego di un sistema di ruote su cui ci sono più dubbi che certezze. Se così fosse, sarebbe confermato il fatto che il progresso non può avvenire a spese dei corridori. E l’incidente in questo caso sarebbe colposo e non fatale.

Bettiol a Rimini, fra l’emozione e un diavolo per capello

29.06.2024
5 min
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RIMINI – C’è un sacco di gente che aspetta i corridori, come ce n’era tantissima a Firenze in questa partenza toscana del Tour de France che resta come uno stupore sul volto di Bettiol. Eppure quando Alberto è arrivato al pullman, aveva lo sguardo torvo e i nervi a fior di pelle. Ha lasciato giù la bici, non ha risposto ad alcun saluto e poi è sparito per i tre gradini, cercando un luogo riparato in cui sbollire la rabbia. Poco dopo Ben Healy ne è sceso e si è messo a girare le gambe sui rulli, unico della squadra. Il suo attacco, mentre dietro i compagni tiravano, ha suscitato più di un interrogativo.

Ai piedi del pullman rosa della EF Education-Easy Post c’è un gruppetto di tifose di Carapaz che inneggiano al loro campione. Fanno notare quanto sia stato brutto farlo fuori dalla selezione olimpica. Proprio lui che è il vincitore uscente, ma che forse dopo Tokyo parlò troppo duramente contro il suo comitato olimpico. Giusto accanto c’è Lisa, la compagna bionda di Bettiol, che quel malumore l’ha capito benissimo e fa un sorriso a suggerire che passerà. E infatti dopo una decina di minuti, Bettiol scende dal pullman. Indossa un completo nero e il sorriso di chi ha cominciato a fare pace col mondo.

«Sono contento per come mi sono sentito – dice – soprattutto per il calore che ho ricevuto e questa è la cosa più importante. Poi in corsa è così, a volte basta poco. Sono stati bravi i due ragazzi (Bardet che ha vinto e Van den Broeck che lo ha aiutato a farlo, ndr) al momento di attaccare. Noi forse abbiamo sbagliato a far muovere Ben Healy e invece dovevamo fare un po’ più di forcing. Però va bene così, il ciclismo è questo. Comunque dai se la gamba è così, ci sono tre settimane per divertirsi».

La gialla a pochi metri

La volata del gruppo l’ha vinta Wout Van Aert davanti a Pogacar, Alberto è arrivato decimo. Difficile dire se in caso di tappa ancora in gioco, se la sarebbe giocata diversamente. Ma intanto, mentre dai bar del lungomare arrivano le prime voci della partita dell’Italia contro la Svizzera, il discorso va avanti.

«Volevamo fare la corsa più dura – prosegue Bettiol, parlando dell’attacco del compagno – e pensavamo di muoverci per costringere gli altri a collaborare. La Visma era compatta, ha fatto un ritmo forte, ma non eccessivamente forte. Anche la Lidl di Ciccone tirava. E alla fine non li abbiamo presi per pochi metri. Forse, per come mi sono sentito, per come ha lavorato la squadra, ci meritavamo di più.

«Comunque è una giornata che sicuramente mi ricorderò finché vivrò. E’ stata quasi irripetibile, ho cercato di godermi ogni centimetro di strada. Porterò questa bellissima maglia in giro per la Francia. Ma prima c’è domani che arriviamo a Bologna, poi a Torino, poi si riparte da Pinerolo. La squadra ha fatto una buona gara, ci sentiamo bene. Peccato perché alla fine, per pochi metri, non ci siamo giocati una maglia gialla…».

Una promessa ai tifosi

Forse perché c’eravamo quando quel tricolore l’ha conquistato e ha parlato del via da Firenze come di una favola, ci assale la voglia di farci raccontare la partenza. Sin dalla discesa dal pullman è stato un bagno di folla, in una folla che raramente abbiamo visto così numerosa, ancorché un po’ indisciplinata.

«Passare con il Tour de France sopra Ponte Vecchio – sorride – è stato un sogno. Mi sono divertito, è stato qualcosa di unico. E’ stato bello, mi sono divertito e mi sono emozionato: è stato bello far parte di questo spettacolo, peccato per il finale. Se quando sono arrivato qui era rabbia o rammarico? Un po’ di rabbia, ma una rabbia sana. Siamo qui per fare bene.

«Ero sicuro che la tappa veniva così. Dura, ragazzi, ma non eccessivamente, perché siamo al Tour. Questa tappa al Coppi e Bartali, con tutto il rispetto, arriva un corridore per angolo. Al Tour ne arrivano quasi 50 in volata. E’ normale, il livello è altissimo. E allora io rilancio e prometto di provarci ogni giorno. Come ho fatto oggi, come ci abbiamo provato come squadra. Lo prometto a me stesso, prima di tutto. E penso che gli italiani si divertiranno con me e spero di dedicargli una vittoria. Non domani però, domani sarà molto dura. Domani vince Pogacar».