Nel video che riprende l’ammiraglia della Canyon Sram che si avvicina al traguardo finale dell’Alpe d’Huez e realizza che “Kasia” Niewiadoma ha vinto il Tour Femmes, Adam Szabo è il passeggero che a un certo punto non riesce più a parlare per le lacrime. Non era stato un giorno facile, per cui ogni colpo di pedale della polacca in maglia gialla era stata una fitta al cuore, fino al momento finale della vittoria. A quel punto tutto è andato giù, anche il contegno che ti aspetteresti da un direttore sportivo WorldTour. Evviva chi non si vergogna delle proprie emozioni!
Adam Szabo ha 34 anni, è slovacco, ma vive a Girona. Si è laureato e ha poi conseguito un master in scienza dello sport all’università di Bratislava. E dopo vari incarichi nella federazione slovacca, come tecnico e analista della performance, ha conseguito l’abilitazione come tecnico UCI e tre anni fa è approdato alla Canyon Sram. La sua base è in Spagna e lì lo troviamo, alla vigilia delle ultime corse di stagione. Vorremo parlare con lui del Tour vinto con Niewiadoma, partendo da quello che ci ha raccontato Soraya Paladin. Cioè che quando Kasia si è presentata davanti alla squadra, dicendo che avrebbe potuto vincere il Tour, ci hanno creduto subito tutti. Lui accetta, il viaggio comincia. Ma dalla fine…
Partiamo da quei momenti in ammiraglia sull’Alpe d’Huez, che cosa hai provato?
Oh, è stata una vera montagna russa. All’inizio della salita eravamo fiduciosi, eravamo ancora in lotta. Però la prima parte dell’Alpe d’Huez è piuttosto ripida e infatti abbiamo iniziato a perdere terreno. Poi il distacco si è fermato fra 1’10” e 1’20”. La sensazione era che Kasia non stesse andando molto bene. In quel primo tratto ha fatto davvero fatica, poi nella parte centrale la pendenza era inferiore e ha iniziato a difendersi. Finché a un certo punto abbiamo visto che il divario di tempo si stava effettivamente riducendo e questo ci ha dato un po’ di speranza. Dal pensare che sarebbe finito tutto, abbiamo iniziato a dirci che potevamo farcela.
La seguivate dalla televisione?
Inizialmente un po’, poi non abbiamo avuto più bisogno di farlo. Soprattutto alla fine, appena prima che iniziasse il paese, vedevamo tutto perché eravamo la macchina numero uno. Prima il gruppo di Kasia, che nel frattempo stava un po’ meglio. Quando poi la valle si è aperta, abbiamo iniziato a vedere anche Demi e Pauliena (le attaccanti Vollering e Rooijakkers, ndr). Le ha viste anche Kasia e questo mentalmente è stato decisivo. Noi eravamo con Realini e Muzic, che tiravano di più. E a quel punto, quando mancavano 4-5 chilometri, abbiamo detto a Kasia di non cambiare più ritmo, ma di andare col suo passo. Perché dietro stavano rallentando e le abbiamo detto che se ne aveva, negli ultimi 4 chilometri sarebbe potuta andare da sola. Non ce l’ha fatta a staccare Muzic, invece Realini è rimasta dietro.
Quando ha detto che avrebbe potuto vincere il Tour, vi siete fidati subito?
Il primo a dirlo è stato il nostro team manager, Ronny Lauke, che è venuto a fare il primo discorso. E ha detto chiaramente che eravamo venuti per vincere il Tour. In realtà è quello che diciamo prima di ogni gara importante, ma questa volta sapevamo che Kasia fosse in una forma super buona. Perciò l’idea era di provarci e fare il possibile, ma senza certezze se non quella che l’avremmo supportata il più possibile. Ed è quello che abbiamo fatto praticamente per tutto il Tour.
Ci sono stai momenti di svolta?
Quando siamo arrivati alla sera della crono e ci siamo trovati 30 secondi dietro Demi Vollering, ho pensato che sarebbe stato tutto super difficile. Non ci aspettavamo che avrebbe vinto lei la crono. Sapevamo che saremmo cresciuti, ma anche che Demi sarebbe stata forte sino alla fine. Quindi per noi recuperare quei 30 secondi non era impossibile, ma sarebbe stata davvero dura. Però il giorno in cui abbiamo iniziato a credere che potevamo vincere è stato quello prima del gran finale.
C’era qualcosa di diverso in Kasia quest’anno? E’ parsa più sicura e anche motivata…
Sì, stiamo iniziando a vedere il frutto di un processo a lungo termine. Due anni fa ha cambiato allenatore e con lui ha avuto un approccio diverso alla stagione. Non fa così tante gare rispetto a prima, in compenso trascorre più tempo in altura. Anche prima delle Ardenne, quando poi ha vinto la Freccia Vallone, era stata sul Teide per due settimane.
Che tipo di leader è la nuova Niewiadoma? La squadra sembra un gruppo di amici, lei è una leader dalle tante pretese?
Non è esigente, è una compagna di squadra davvero brava. Penso che la forza della nostra squadra sia proprio questa. Abbiamo creato un legame tra le atlete, al punto che sono contente di venire alle corse. Non è lo sbuffare perché si deve andare, ma la voglia di stare con quel gruppo di persone. Non so che immagine diamo all’esterno e se questa sia solo una mia impressione soggettiva, ma quando c’è una corsa, non vedo l’ora di incontrare il mio gruppo. Siamo felici di stare insieme, perché siamo un bel gruppo di amici. Okay, non i migliori amici. Non andiamo a bere una birra ogni sera, ma siamo amici.
Che cosa ha rappresentato per te questa vittoria?
E’ il risultato più importante. Questa è la mia terza stagione con la squadra, ho iniziato a ottobre del 2021. Però all’inizio ero il responsabile dello sviluppo e delle atlete più giovani. Poi invece sono stato nominato per fare il primo direttore sportivo al Tour: lo hanno chiesto i corridori e volevano che fossi lì. Penso sia stato bello e anche speciale che i membri della squadra lo abbiano chiesto alla dirigenza, però ero un po’ spaventato…
Per la grandezza del Tour?
Tutti dicevano che fosse diverso e in parte lo è. L’anno scorso ho fatto il Giro e quest’anno l’ho fatto ancora e prima anche la Vuelta. Il Tour è stato lo stesso, giusto un po’ più grande. Ma non mi è parso così più grande da mettermi paura. Anche il Giro ha deciso la maglia all’ultima tappa, alla fine sono stati abbastanza simili.
Cosa hai provato quando Vollering ha attaccato?
Sapevo che lo avrebbe fatto, ma quando si è mossa sul Glandon, per Kasia è stato un momento davvero brutto. E’ rimasta sola e Demi ha preso un grande vantaggio. Ci siamo spaventati e la nostra leader in quel momento era sotto forte stress. Sapevamo che Vollering avrebbe attaccato, eravamo preoccupati di non poter rispondere. Invece alla fine la difesa è riuscita e abbiamo vinto il Tour.
Pensi che questa vittoria cambierà qualcosa per la squadra?
Abbiamo una buona strategia a lungo termine che era già stata impostata prima del Tour. Ovviamente cambierà qualcosa. Non siamo mai stati una squadra che vince molto, non siamo la squadra migliore, saremo sempre i secondi o i terzi. Ma da questo Tour abbiamo imparato come fare meglio. Abbiamo un’atleta davvero forte e la certezza che non abbiamo ancora mostrato il nostro pieno potenziale. Questo è ciò che vogliamo cambiare nei prossimi mesi e penso che siamo sulla buona strada. Ora Kasia potrà mostrare il suo pieno valore, ma abbiamo anche bisogno che la squadra cresca e sia alla sua altezza.
Stiamo parlando di rinforzarla?
E’ una cosa che dobbiamo fare per la prossima stagione. Vogliamo concentrarci di più su questo, ci saranno molti cambiamenti. All’inizio della stagione sarà come essere seduti a un tavolo da poker, ci daranno le carte e vedremo chi avrà le migliori. Poi però dovremo giocarcele al meglio. L’anno prossimo ci saranno molti cambiamenti nel mercato di tutti, ma fortunatamente per la nostra squadra non dovremo cambiare pelle. Altri avranno più punti interrogativi sul loro organico e questo dà a me e al team la sicurezza che il prossimo anno potremo fare ancora meglio. Però non chiedetemi che cosa cambierà, perché non è ancora ufficiale.