C’è qualcosa che vorremmo dire sulla Coppa Italia delle Regioni, presentata la settimana scorsa a Roma, nella solennità di Montecitorio. Come spesso avviene nel ciclismo, già la sera qualcuno ha iniziato a inviare messaggi di scetticismo, come a dire che non fosse vero niente. A noi invece la cosa sembra importante, a patto che tutti accettino di giocare secondo le stesse regole.
Il ciclismo a Montecitorio
Primo aspetto: la solennità della manifestazione. Nulla si fa senza immaginare un tornaconto. Perciò, se alcuni ministeri hanno elargito finanze per mettere in piedi questa collaborazione, rendergli grazie è un passaggio istituzionale e di buon senso. La presenza di tre ministri serviva a questo: a fargli spiegare la loro scelta e ricevere in cambio la visibilità che ne hanno potuto trarre.
In ogni caso, il fatto che il ciclismo sia stato ospitato nella sede istituzionale più prestigiosa, è un segnale che dobbiamo valorizzare, senza lasciar prevalere il cinismo di sempre. Prendiamo il buono che abbiamo, il male non ha bisogno di essere scelto: si impone da sé.
Facciamo che se ne parli nei salotti che contano e approfittiamo dell’occasione di uscire dai soliti circoli in cui a volte ci si sente comodi e altre volte ci si sente imprigionati. Roberto Pella, sindaco e deputato, sta compiendo passi evidenti. Lo fa perché ha un animo sensibile o per qualche tornaconto? Cerchiamo di capire cosa può darci e lasciamolo lavorare. Ci siamo spesso lamentati di non essere rappresentati nei centri del potere: adesso in parte lo siamo, proviamo ad approfittarne. Di certo nella mattinata di Roma sono emersi spunti importanti, che sarebbe un peccato non cogliere.
Il calendario italiano
Secondo aspetto: il calendario italiano. Lasciando stare l’eterna e malinconica disputa sull’assenza di una squadra WorldTour in Italia, quel che manca è un’attività credibile per tutto il resto del nostro ciclismo. Ci sono classiche di remoto prestigio e altre che trovano ancora una loro ragione di essere. Quel che manca è il coinvolgimento delle squadre italiane che, fatte salve le tre Professional, sono ormai soltanto delle continental.
Proprio nel mattino di Roma, un organizzatore è stato chiaro: io voglio portare più squadre WorldTour e non essere costretto a far correre le continental. Soprattutto perché alcune delle squadre italiane hanno a suo dire un livello tecnico che lascia a desiderare. Questo è proprio il punto su cui Lega e Federazione dovrebbero trovare un accordo. Si può ricorrere al ranking delle continental e prevederne la presenza in numero ragionevole?
Le cose si possono fare, basta la volontà. Per questo è sembrato strano che alla presentazione di Roma non ci fossero esponenti della FCI. La Lega del Ciclismo Professionistico è un’emanazione della Federazione, ha senso che ci sia una distanza?
I grandi e i piccoli
Terzo aspetto: il grande protegge i piccoli. Coinvolgere le continental e i devo team nelle gare della Coppa Italia delle Regioni significa per i grandi prendersene in qualche modo cura. Il professionismo non può essere diviso dal resto del ciclismo da altri muri che non siano il contratto. Avere sul movimento degli U23 e degli elite un occhio del professionismo significa anche lavorare per un loro miglioramento. Significa provare a esportare le tutele minime, magari in termini di sicurezza, semplicemente prevedendo un osservatore che ci metta un occhio. In modo che se succedesse di nuovo qualcosa come la morte di Giovanni Iannelli, l’Associazione dei corridori non si ritrovi a dire che il ragazzo non era un professionista e di conseguenza loro non possono occuparsene. Non è possibile creare un tavolo condiviso?
Quando si parla di ciclismo, è difficile far capire al di fuori che ci sono certe distinzioni, anche davanti alla sicurezza degli atleti. Il giovane che muore, qualunque sia il suo nome, un giorno sarebbe potuto diventare un grande professionista. La sua perdita è un lutto per tutte le categorie. Prendersi cura dei più piccoli è indice della civiltà di qualsiasi tipo di società.