Spunta Rubio. Ma che confusione a Crans Montana

19.05.2023
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Magicamente i chilometri da Borgofranco d’Ivrea a Crans Montana sono diventati meno di 75. Magicamente si fa per dire, perché si levano le polemiche, si abbassa lo spettacolo e alla fine chi ci rimette è il Giro d’Italia. Una frazione che potenzialmente poteva essere la più dura della corsa rosa si è ridotta in una lunga volata.

Una volata che ha visto primeggiare Einer Rubio, colombiano della Movistar, ma ciclisticamente italiano. Rubio è “fratello” di Jai Hindley, nel senso che anche lui viene dalla scuola di Umberto “Umbertone” Di Giuseppe e Donato Polvere.

E nella sua vittoria è racchiuso il famoso proverbio: tra i due litiganti il terzo gode. Pinot faceva le scaramucce con Cepeda e Rubio, zitto zitto, faceva la formichina mettendo nel taschino energie preziose buone per la volata.

Certo dispiace non raccontare a fondo la storia di questo ragazzo, tanto più che i big non si sono attaccati, ma oggi la notizia è tutta sulla riduzione della tappa e soprattutto sul suo perché. Sulla sua genesi.

La giornata

Proviamo a ricostruire questa giornata, che parte dalla serata di ieri. Tra i corridori si diffonde la notizia dell’invocazione del protocollo sulle condizioni meteo estreme. Si è fatto un sondaggio. Un sondaggio, in forma anonima, che voleva l’annullamento della Croix de Coeur in quanto le previsioni davano il peggioramento meteo su quel colle proprio al momento del passaggio del Giro.

Questa mattina i gruppi sportivi hanno chiesto una riunione con il direttore del Giro, Mauro Vegni. Una riunione avallata anche dal CPA il cui presidente è Adam Hansen, con Cristian Salvato come rappresentante in corsa. In questo incontro i gruppi sportivi e i corridori hanno chiesto l’accorciamento della frazione. 

E qui ecco un primo punto. Corridori e squadre non volevano fare la Croix de Coeur, ma poi hanno trovato una mediazione con Vegni. Per cui hanno accettato di salire su questo colle e di tirare dritti fino all’arrivo, ma partendo da Le Chable ai piedi della stessa salita. 

Alla fine è andata così: alle 11, a Borgofranco d’Ivrea, il gruppo si è messo in marcia. Pioveva e c’erano 13 gradi. I corridori hanno percorso qualche decina di metri per sponsor e tifosi e poi… tutti sui bus per raggiungere La Chable tra i pollici in giù dei tifosi a bordo strada che li aspettavano sul Gran San Bernardo. 

Gran San Bernardo, a sua volta mutilato qualche giorno prima. Poi alle 15 il via da Le Chable, sotto un timido sole e 15 gradi. Il resto è cronaca.

Che confusione

Ma urge porsi delle domande. Perché l’organizzazione ha accettato di affrontare il punto a loro avviso più rischioso, sia per il meteo che per la conseguente discesa?

Ci si è appellati al protocollo per le condizioni meteo estreme, ma queste condizioni non c’erano: né per le temperature, né per il vento, né per le precipitazioni. Allora cosa è successo? Su che base è stata accorciata la tappa? Qual è il nesso tra protocollo meteo e discesa pericolosa? Come se poi lo avessero scoperto adesso che i primi chilometri di quella planata erano pericolosi. Le domande sono molte, i dubbi ancora di più.

«Dobbiamo chiedere scusa ai tifosi e agli organizzatori – ha detto Cristian Salvato, presidente dell’Accpi (associazione corridori ciclisti professionisti italiani) al Processo alla Tappa – le squadre si sono basate sulle loro App meteo, che di solito sono molto precise, ma questa volta hanno sbagliato. A volte il tempo in montagna cambia repentinamente. Questa volta è cambiato in meglio, ma se fosse stato tempo brutto?». Un po’ poco…

Mauro Vegni, direttore del Giro d’Italia
Mauro Vegni, direttore del Giro d’Italia

Vegni, spalle al muro

C’è poi la campana ufficiale, quella di Rcs Sport, società organizzatrice della corsa rosa. Questa mattina Mauro Vegni ha parlato anche con noi, dando una botta al cerchio e una alla botte.

«Le condizioni climatiche non sono le più favorevoli – ci aveva detto Vegni – non tanto per la pioggia ma per il freddo in discesa. Dobbiamo preservare gli atleti per arrivare a Roma. E così sono andato incontro alle loro richieste. Ma siamo riusciti a mantenere una tappa con caratteristiche sportive concrete.

«Come la tappa sprint del Tour? No, è diverso. Lì si partiva con l’idea di una tappa particolare appunto, qui con l’idea di salvare una corsa. Lì con il sole, qui con la pioggia».

E ancora: «C’è stata una trattativa e qualcosa bisognava cedere», aveva detto poco prima lo stesso Vegni ai microfoni della Rai.

Quest’ultima frase è importante. «Bisogna cedere». Alla fine si è trovato un accordo, ma più che un accordo legato alle condizioni specifiche della tappa, è sembrato un accordo d’insieme. Un accordo su quanto accaduto sin qui al Giro fra i tanti ritiri e la tanta pioggia presa.

Come a dire: “Caro Vegni visto che abbiamo preso tanta acqua o tu ci accorci la tappa o noi scioperiamo”. Un ricatto in pratica. A questo punto è stato sin troppo bravo il direttore del Giro a salvare la situazione e a collegare almeno le ultime due salite.

La discesa della Croix de Coeur, era tecnica nella prima parte. Ma il ghiaccio non c’era. In cima temperatura ben al di sopra dello zero
La discesa della Croix de Coeur, era tecnica nella prima parte. Ma il ghiaccio non c’era. In cima temperatura ben al di sopra dello zero

Guardando avanti

Però questa giornata e la sua gestione parlano di un Giro che ha scarso peso politico. Scarsa forza. Si è verificato qualcosa di molto simile a quanto accaduto a Morbegno nel Giro 2020.

Il Giro d’Italia non merita tutto ciò. I tifosi non meritano tutto ciò. Il ciclismo non merita tutto ciò. Siamo sicuri che gli stessi corridori con i 40 e passa gradi della “chaleur” francese, e quindi con gli estremi per attuare il protocollo, chiederebbero a Prudhomme di annullare la tappa?

C’è molto da lavorare. Sia da parte del Giro, che deve assolutamente rilanciarsi. Sia da parte dell’UCI che del CPA. Bisogna trovare regole univoche. Regole basate su numeri certi, su ispettori di percorso capaci di valutare la situazione in tempo reale e non su valutazioni soggettive.

E poi bisogna iniziare a prendere coscienza concretamente dei cambiamenti climatici. I dati di molti siti meteo dicono come negli ultimi anni nel bacino centrale del Mediterraneo aprile e soprattutto maggio siano gli unici mesi in controtendenza per quanto riguarda le temperature. In pratica fa sempre più caldo, tranne che in questi due mesi. Magari bisognerà valutare di spostare la corsa rosa, cosa che Vegni ha già detto in passato, e di scegliere percorsi differenti con le salite più alte magari solo nel finale.

Tante parole. Speriamo che non cadano nel vuoto. O forse sì. Se domani i corridori regaleranno tanto spettacolo saranno già un lontano ricordo.

«Corridori indifendibili», Bettini duro

23.10.2020
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Paolo Bettini è un fiume in piena. «La decisione di oggi non la condivido e non la capisco». Il riferimento è alla protesta andata in scena al via della 19ª tappa, Morbegno-Asti che era anche la più lunga del Giro (258 chilometri).

Protesta inattesa

«E’ stato un gran caos – dice l’ex iridato al seguito della corsa rosa con Mediolanum – Stamattina ero in hotel a Mantello, nei pressi di Morbegno. Quando sono partito pioveva e c’erano 13 gradi. Ad un certo punto mentre andavo ad Alessandria per gli impegni con il Giro, mi giunge voce che Mauro Vegni sposta la partenza a Como. Tra me e me penso: guarda Mauro come vuol bene ai corridori. Gli toglie 25 chilometri. Mai e poi mai avrei pensato ad una protesta in corso. Non c’era motivo. Mi dispiace ma i corridori e i team sono indifendibili».

Per lunghi tratti non hanno trovato pioggia i corridori
Per lunghi tratti non hanno trovato pioggia i corridori

Bettini racconta anche delle sue proteste e di quanto lui stesso fosse un portavoce del gruppo. In una Tirreno-Adriatico restò scottato tanto si espose.

«Poco dopo il via – racconta – c’era da affrontare una salita sulla quale c’era pioggia mista a neve. Si trovò un accordo tra organizzatori e corridori: dopo la firma salite sui bus, così tagliate il pezzo di salita e di discesa incriminati, ci dissero. Recuperate quei chilometri facendo un giro in più nel circuito finale a Paglieta. Ebbene nello spazio del trasferimento avvennero telefonate dall’alto che cambiarono la decisione e io restai da solo. Fu Bramati a tirarmi fuori dall’ammiraglia. Però eravamo d’accordo fino a quel momento. E io ero leader, avevo vinto le prime due tappe e verso Paglieta ero ancora il favorito». 

Mancano i “generali”

«Non dico che avevamo ragione, ma un accordo si trovava una volta. C’era un altro modo di fare. Ci si guardava negli occhi. Dove sono i corridori con gli attributi? Dove sono gli enti (Cpa, Accpi) preposti?

Sapevano da un anno che c’era quella tappa. Sapevano che sarebbe piovuto. Alcuni team sono tornati in hotel tardi e hanno dovuto fare colazione sul bus? Bene, da professionisti con gli attributi ci si parla. Si arriva in partenza, si firma e si parte tranquilli. Passato Milano si fa iniziare la bagarre. Due ore tranquille. Dormito poco, mangiato tardi: nessuno gli avrebbe detto nulla. 

«Una volta eravamo a Livigno. Pioveva e faceva freddo. Sulla Forcola sapevamo che nevicava. Chiamammo Zomegnan e gli esponemmo il problema. Lui ci disse: okay, venite al foglio firma perché sapete quanto sia importante rispettare il via e salite sui bus. Ripartimmo in fondo alla valle. Fu una scelta concertata tra organizzatori, corridori e manager».

Stefano Allocchio direttore di corsa, alla ripartenza da Abbiategrasso
Allocchio direttore di corsa, alla via da Abbiategrasso

Bettini su Vegni

«E poi sapete una cosa. Oggi la mancanza di rispetto non è avvenuta solo nei confronti di tifosi, sponsor… ma nei confronti dei fornitori di abbigliamento. Ci dicono che hanno vestiti super fighi, leggeri, impermeabili, che possono pedalare sotto la pioggia e il freddo e poi non li usano?».

«Non so da chi sia partita la protesta – conclude Bettini – di certo è stato un fallimento di tutti, tanto più dopo un anno così tribolato. Che sia stata la maglia rosa Kelderman? Non credo che un corridore e un team da solo possano aizzare tutto ciò. Evidentemente c’era del malumore. Ma allora i corridori e gli enti preposti dovevano fare le loro rimostranze già la sera prima.

«Vegni è stato l’unico ad aver applicato già una volta il protocollo per la sicurezza. Ha gestito situazioni difficili come la Val Martello. Gli è sempre andato incontro. Il tappone di domani glielo ha alleggerito. Ma oggi con 13 gradi proprio non c’era un motivo. Non bastano la scusa della pioggia, della lunghezza o della stanchezza. Allora che facciamo? Annulliamo la Liegi, che è lunga come la tappa di oggi, ma con 3.800 metri di dislivello? La discesa più lunga verso Asti era quella di qualche cavalcavia».