Silvio Martinello è il detentore italiano del primato di successi nelle Sei Giorni, ben 28 su 99 corse, fra il 1989 e il 2002. Ha quindi vissuto l’ultima epopea dei grandi eventi in pista, delle serate che univano sport e mondanità perché il mondo delle 6 Giorni è qualcosa che va al di là del puro aspetto agonistico, spesso non era neanche quello principale: andare a una serata della Sei Giorni di Milano, cenare al tavolo guardando una gara dopo l’altra aveva un gusto simile a quello di una serata al Lido di Parigi…
Le cose sono da allora profondamente cambiate: la prossima settimana si disputa la Sei Giorni di Gand che forse è quella più prestigiosa rimasta in calendario, un’espressione del bel tempo che fu e in queste giornate il cuore di Martinello per certi versi sanguina, proprio pensando al passato: «Il circo delle Sei Giorni come lo conoscevamo è in grande difficoltà, direi in agonia e la causa affonda ai tempi del ciclismo malato: a cavallo del secolo l’epicentro dell’attività era la Germania, con le prove di Dortmund, Monaco, Berlino, Stoccarda. Lo scandalo doping che coinvolse la Telekom diede una frenata terribile all’intero ciclismo tedesco, che non si è più ripreso e anche il mondo delle 6 Giorni ne ha risentito, perdendo i suoi riferimenti».
Quali sono state le ripercussioni?
La mancanza di credibilità del ciclismo ha fatto scappare gli sponsor e gli organizzatori sono rimasti a corto di fondi: allestire una Sei Giorni è molto oneroso, non si tratta solo di pensare ai corridori, ma c’è tutto il contorno da curare, dove investire per avere un ritorno economico, dal catering agli spettacoli d’intrattenimento alternati alle gare. Se non hai fondi sufficienti non puoi fare niente.
Eppure una formula come quella in voga ai tuoi tempi avrebbe ancora riscontri, almeno in una società libera dal Covid…
Sicuramente, ma va considerato anche il fatto che perdurando la crisi delle Sei Giorni, vengono meno i personaggi ed è sempre più difficile coinvolgere i campioni della strada come avveniva ai miei tempi e prima, quando i Moser, i Saronni, i Gimondi non facevano mancare la loro presenza. Io spero che non sia una crisi irreversibile, anche se di appuntamenti importanti ne sono rimasti davvero pochi.
La televisione non potrebbe essere un veicolo per rilanciarle?
Anzi, secondo me è stata un danno e spiego il perché: in nome dell’audience televisiva i programmi delle Sei Giorni sono stati disegnati a suo uso e consumo, dimenticando che si trattava di gare di resistenza. Non dico che dovessero avere i regolamenti di una volta, nei quali un ciclista della coppia doveva sempre essere in azione, ma i programmi di gara erano più ricchi e diluiti nelle giornate, dalla mattina alla sera. Ora si concentra tutto quando c’è la Tv, è un’altra cosa che toglie fascino alla competizione. Poi c’è un’altra cosa…
Quale?
La Sei Giorni è una corsa che devi seguire dal vivo perché accade sempre qualcosa, magari non in testa alla corsa. Quando ho fatto il telecronista per Raisport ho capito quanto sia difficile cogliere da fuori ogni aspetto di una gara ciclistica, in una 6 Giorni è impossibile. Devo però dire che Eurosport ha il merito di seguire le poche gare rimaste, dà un contributo importante del quale gliene va dato atto.
Che tipo di gare erano quelle che disputavi tu?
Erano gare di resistenza pura. Ti trovavi a disputare una madison di 90 minuti, oppure una corsa di 100 chilometri e stavi in pista per ore. Si finiva quasi sempre alle 3 del mattino salvo alla domenica che gareggiavi solo al pomeriggio. Le gare a eliminazione erano sempre le più amate dal pubblico. Era un altro mondo, che rimpiango molto. Ora di quel mondo l’unica Sei Giorni rimasta è proprio quella di Gand, che fa leva su una sua cultura.
Che cosa bisognerebbe fare per rilanciarle?
Andrebbero innanzitutto ripensate, in base al ciclismo attuale. I rapporti che si usano oggi ad esempio erano impensabili un tempo. Io penso che se ben strutturate possano ancora avere un futuro richiamare anche grandi nomi. Pensate un momento a che cosa significherebbe avere il ritorno della Sei Giorni a Milano, con Viviani e Ganna: sarebbe un richiamo eccezionale, che andrebbe anche oltre i confini del ciclismo. Ma questo non basterebbe ancora: io credo che il movimento abbia anche bisogno di ricreare quel mondo di specialisti come erano un tempo Sercu, Pijnen, Fritz, Thurau, vedette che sapevano come coinvolgere il pubblico.
Non dimenticando che le Sei Giorni non sono solo un evento sportivo…
No, sono anche molto di più: gli organizzatori guadagnano soprattutto con l’indotto, dalle cene al merchandising, in Germania e nel Nord Europa in genere scorrono veri fiumi di birra. In Italia a Milano erano un appuntamento mondano quasi come andare alla Scala. Anche questo è un aspetto da considerare se si vuole rilanciare questo bellissimo mondo.