Mirko Celestino resta alla guida della nazionale di mountain bike. Dopo i tanti cambiamenti nella Federazione, il suo ruolo di commissario tecnico non ha subito variazioni, segno di una fiducia confermata e meritata. La sua nazionale continua a crescere, con un gruppo di atleti che si sta affermando pur non senza difficoltà, e con uno sguardo rivolto a Los Angeles 2028.
Assieme a Mirko (nella foto di apertura con Martina Berta) abbiamo fatto il punto su questa nuova fase del suo lavoro, sulle prospettive degli atleti a sua disposizione e sulle sfide che attendono il movimento azzurro della mountain bike.
Mirko, tra i tanti rimescolamenti della Federazione, tu sei rimasto al tuo posto esattamente con le stesse mansioni che avevi prima del “Dagnoni bis”. Che sensazione hai?
Diciamo che alla fine abbiamo lavorato bene, i risultati sono arrivati e sono contento di poter continuare. Ringrazio chi mi ha dato fiducia, sia in passato che adesso. Vado avanti con orgoglio in questo nuovo quadriennio olimpico, sperando di arrivare a Los Angeles con un pizzico di fortuna in più. A Tokyo e Parigi soprattutto abbiamo visto cosa è successo con Luca Braidot: se fosse arrivata quella medaglia, sarebbe stata un’altra storia.
Ecco Los Angeles 2028, hai già messo l’argomento sul tavolo. Con che gruppo speri di arrivarci? Abbiamo giovani su cui lavorare?
Qualche nome verrà fuori, questo è sicuro. A parte Luca Braidot, che ha fatto un gran salto, abbiamo almeno un paio di giovani interessanti dietro di lui. Uno è Simone Avondetto, davvero un atleta che è già importante, e l’altro è Yuri Zanotti. Entrambi stanno crescendo bene e sono già nella mia testa per Los Angeles. Questo non vuol dire che Luca non possa esserci, anzi. Lui è una garanzia, ha dimostrato tanto, ma tra quattro anni avrà una certa età e dobbiamo anche guardare avanti. Mi auguro che Yuri continui la sua crescita.
E in campo femminile?
Tra le ragazze, Valentina Corvi ha dimostrato tanto. E’ al secondo anno da under 23 e ha già fatto vedere belle cose anche sul fronte internazionale. Io credo che lei e Martina Berta siano le più promettenti. Martina arriverà a Los Angeles davvero all’apice della carriera. Il tutto senza dimenticare lo zoccolo duro: Chiara Teocchi. Mentre sempre parlando di atlete giovani c’è anche Giada Specia. In generale il movimento giovanile femminile mi sembra vivace, mentre in campo maschile, specie tra gli under 23 si fatica un po’ di più a produrre nuovi talenti.
A proposito di Valentina Corvi, lei è anche un’abile ciclocrossista ed è già stata tentata dalla strada. Hai paura che talenti simili possano essere richiamati dalle sirene della strada? Che insomma te li portino via?
Sì, è una possibilità concreta. Non abbiamo tante atlete in questa categoria e se va via una biker come Valentina si crea un bel buco. Allora penso a Giada Martinoli, che è un altro talento, ma parliamo davvero di atlete giovanissime, per il resto il gruppo è ristretto. Con la Federazione bisognerà lavorare per trattenerla almeno fino a Los Angeles. Le sirene della strada sono forti, ma la mountain bike ha ancora tanto da offrirle.
Spesso quando parliamo con Bragato, capo della performance della FCI, ci dice dei test a Montichiari, test per valutare i ragazzi e i ragazzini di più discipline. Il tuo settore partecipa?
Sì, facciamo diversi test con i nostri biker. La settimana scorsa, per esempio, abbiamo fatto uno stage con dieci junior dopo la gara di Verona. Abbiamo provato percorsi tecnici – sulla tecnica insisto molto specie tra i giovani – abbiamo girato su una pista di BMX e poi abbiamo svolto i test in pista a Montichiari con il team performance. Tutto questo è utile per raccogliere dati e aiutare i gli atleti a crescere tecnicamente. E a noi è utile per scovare i ragazzi più promettenti su cui lavorare.
Si è parlato della possibile uscita della mountain bike dal programma olimpico. Cosa ci dici in merito?
Le voci in effetti ci sono state, soprattutto l’anno scorso a Parigi si diceva che poteva essere l’ultima volta che avremmo visto una prova di mtb alle Olimpiadi. O che al massimo si arrivasse a Los Angeles 2028. Ora tutto tace, ma non sappiamo quanto sia vero. Sarebbe un peccato, perché a Parigi c’era tantissima gente a seguire le gare e i numeri del seguito in generale mi dicono siano stati ottimi.
Piuttosto che togliere discipline come il cross country e magari immettere la break dance nel programma olimpico, bisognerebbe aggiungerle: pensiamo alla downhill. Questo aiuterebbe anche le aziende e il mercato della bici.
Esatto, però questi discorsi non dipendono da noi, ma dal CIO. Per ora sappiamo che arriveremo ai Giochi 2028 e su questi ci basiamo e siamo contenti. Spero che si faccia marcia indietro.
Dopo tanti anni da commissario tecnico della mtb, come senti di essere cresciuto nel tuo ruolo?
Nel tempo è cambiato molto. Il cittì oggi è più un selezionatore che un allenatore. Gli atleti hanno i loro preparatori e in una settimana di ritiro non puoi cambiare il loro lavoro. Il mio compito è organizzare al meglio le trasferte, farli stare bene, garantire serenità e concentrazione. E ammetto che quando si va alle gare mi diverto di più, anche perché ho più responsabilità.
E quando c’è da richiamare i ragazzi?
In questi anni passati con loro, probabilmente hanno capito che per me la prima cosa non è il risultato ma l’educazione, il rispetto. Il rispetto delle regole, per i rapporti umani… E questa mentalità ha pagato perché vedo ragazzi educati. All’inizio erano un po’ più montati, un po’ più pretenziosi, invece adesso hanno capito cosa voglio io. Okay vincere, però ti devi comportare bene. Alla lunga questo modo di fare mi ha dato grosse soddisfazioni perché i ragazzi mi ascoltano, c’è dialogo e quando siamo in gruppo si vive bene.
Il Celestino uomo invece quanto è cambiato in questi quasi 10 anni da tecnico?
All’inizio accusavo di più le critiche, ora ho imparato a fare filtro. A distinguere quelle costruttive da quelle inutili. Ho capito con chi ho a che fare e cerco di prendermela meno, rispettando sempre tutti.