C’è mai stata in Italia una squadra pro’ di ciclocross?

14.01.2021
4 min
Salva

«Quando finirà la mia avventura da responsabile tecnico nazionale del ciclocross, voglio costruire la prima squadra pro’ italiana della specialità».

L’affermazione di Fausto Scotti arriva nella chiacchierata come il montante di un pugile, ci vuole un po’ di tempo per metabolizzarla, per andare più a fondo. Possibile che in Italia non sia mai esistita una squadra professionistica? Eppure il movimento nazionale è uno dei più antichi, l’albo d’oro dei tricolori affonda nell’Anteguerra, i numeri sono a nostro favore anche in confronto a quella che è considerata la Patria del ciclocross, il Belgio.

Lorenzo Masciarelli vive in Belgio e corre nella Pauwels Sauzen, squadra pro’ di ciclocross
Lorenzo Masciarelli corre nella Pauwels Sauzen, squadra pro’ di cross

Longo e la Salvarani

Ad aiutarci a far luce sul passato per proiettarsi verso il presente è Vito Di Tano, due volte campione del mondo fra i dilettanti nel 1979 e 1986.

«Una squadra pro’ che si dedicasse solamente al ciclocross – dice – come avviene in Belgio, non c’è mai stata. C’erano squadre professionistiche della strada che guardavano con favore al ciclocross. Longo ad esempio correva per la Salvarani, che non gli chiedeva quasi nulla per la strada, lasciandolo preparare per i suoi obiettivi. Lo stesso dicasi, nella mia epoca, per Paccagnella, tesserato con l’Amore e Vita. In questo contesto non si può comunque dimenticare quanto Guerciotti sta facendo da oltre 50 anni. Già ai miei tempi c’era il suo team che seguiva tutta l’attività ed è così anche adesso».

Eccezione Belgio

D’accordo, ma non è la stessa cosa della Pauwels Sauzen di Iserbyt e Vanthourenhout o della Baloise Trek Lions dei fratelli Aerts.

«Scherziamo? Significa paragonare una squadra continental – dice – a quelle del World Tour… La differenza è dalla notte al giorno. Lì si vive di ciclocross, c’è un’immagine, c’è un indotto in ogni gara che si riversa sui team permettendo loro di garantire contratti importanti. Anche ora che manca il pubblico, grazie ai contratti televisivi».

Arzuffi racconta

Chi ha vissuto e vive sulla propria pelle la differenza è Alice Maria Arzuffi, che nel 2017 si è trasferita armi e bagagli in Belgio per approdare al Team 777 (la neo campionessa italiana di ciclocross è ritratta nella foto di apertura).

«Venivo dalla Guerciotti – dice – e il cambio è stato notevole, ma volevo assolutamente vivere della mia passione, il ciclocross. E non potevo fare altrimenti. Rispetto a quel che si pensa, le differenze ci sono ma vanno un po’ interpretate. La principale è che la squadra ti supporta in tutto e per tutto dal punto di vista economico, ma devi cavartela da solo. Ognuno ha il suo camper, ha il suo meccanico stipendiato dalla società e il preparatore che deve pagarsi in proprio. Io ho la fortuna di avere i miei genitori che gestiscono tutta la logistica, poi ci sono il meccanico Danny e sua moglie Brenda che mi aiuta in tutte le piccole cose della quotidianità, come le iscrizioni e via dicendo. Bisogna anche considerare un fatto: il Belgio è un Paese piccolo, nella maggior parte dei casi si parte la domenica mattina con il camper e alla sera si è già a casa».

Alessandro Guerciotti, Francesca Baroni, Paolo Guerciotti, Vito Di Tano
Vito di Tano, a destra, con Francesca Baroni, Paolo e Alessandro Guerciotti
Alessandro Guerciotti, Francesca Baroni, Paolo Guerciotti, Vito Di Tano
Vito di Tano, a destra, Francesca Baroni, Paolo e Alessandro Guerciotti

Un’altro clima

Detto così, sembra che non sia un idillio. «Il vantaggio è quello economico – spiega Alice – ma devo dire che l’atmosfera che si respira da noi è diversa. C’è più comunanza, si è più squadra nel vero senso della parola. Quelli in Belgio e Olanda sono piccoli gruppi che fanno parte dello stesso team, anche se poi dal punto di vista umano il legame c’è: con le altre siamo molto amiche. Gareggiando lì però si ha forte la sensazione che stai facendo qualcosa di diverso da quello a cui eri abituata e questo ti fa digerire anche un po’ di solitudine che ogni tanto si affaccia».

Due mondi diversi ma vicini, quello professionistico belga e quello semipro’ italiano. Forse non ci vorrebbe neanche tanto a unirli, il problema è sempre e solo quello economico. Ma se si trovassero i fondi, mettendoci la nostra passione, le emozioni, la tecnica, il successo del team e la crescita di autentici talenti sarebbe pressoché scontata…